Politica. Articoli vari del mese di Dicembre 2007, blog de "La Stampa"

29/12/2007
Le paure del card. Bertone

L'anticipazione dell'intervista a «Famiglia Cristiana» del cardinal Tarcisio Bertone, chiarisce lo stato di "malessere" del Partito democratico veltroniano, su cui pesa l'ipoteca vaticana già intravista nelle prime mosse. Ed in certe candidature periferiche. Nate esclusivamente in ambiente ecclesiastico...
La verità viene a galla prima o poi. Le parole di Bertone confermano una realtà delle cose che prima o poi dovrà essere chiarita. Veltroni non potrà in futuro far finta di nulla.
Il cardinale segretario di Stato vaticano ha chiesto a Veltroni che «i cattolici non siano mortificati» nel Partito democratico.
Bertone ha spiegato poi che la norma antiomofobia nel decreto sulla sicurezza è stato un «incidente di percorso».
Non si capisce questo accanimento su di una norma di diritto così semplice nel suo rimando ai trattati della Comunità europea ed alla Costituzione italiana.
Oltre Tevere ci si è pericolosamente fissati sulla linea del Piave della senatrice Binetti.
Inoltre, con Veltroni il cardinale ha auspicato che nel Pd «ci si ispiri alla tradizione dei grandi partiti popolari, che avevano un saldo ancoraggio nei principi morali della convivenza sociale».
Come se quella piccola ma fondamentale norma antiomofobia fosse stata qualcosa di rivoluzionario e sovversivo rispetto all'etica pubblica.
Sinceramente spiace di dover constatare che tutti i temi fondamentali di una società, siano ridotti a questo particolare aspetto che diventa una specie di paradigma assurdo per valutare la morale dello Stato e lo stato della morale...
Inquietante il passo in cui Bertone ricorda di aver conosciuto grandi intellettuali comunisti e socialisti che «avevano una visione laica ma morale».
Passo sa cui non vogliamo dedurre che, secondo il segretario di Stato vaticano, esiste per lui l'equazione laico=immorale.
In breve, segnalo un articolo apparso sul «Corriere della Sera» di stamani del teologo del dissenso Leonardo Boff che scrive: dobbiamo imparare a trattare «in modo umano tutti gli esseri umani». Inaugurare un mondo che pratichi la vera giustizia.
Che ne dice on. Veltroni?

28/12/2007
Binetti, si ricordi di Gedda (1938)

Walter Veltroni in una lettera alla «Stampa» (27.12) aveva definito «sbagliata e pericolosa» la tesi della sen. Paola Binetti la quale considera l'omosessualità una malattia da curare.
Binetti
La sen. Binetti oggi risponde dalle colonne del quotidiano torinese, con un'intervista a Giacomo Galeazzi: «Come neuropsichiatra ho esperienza decennale di omosessuali che si fanno curare. Non sono andata a cercarli io, sono loro che sono venuti in terapia da me perché dalla loro esperienza ricavano disagio, sofferenza, ansia, depressione e incapacità di sentirsi integrati nel gruppo. Non sono io a sostenerlo, è un dato oggettivo».
La posizione della sen. Binetti non si discosta da quella della Chiesa anglicana (sì avete letto bene, anglicana).
Ciò che in tale posizione spaventa, è espresso in un altro passo dell'intervista, in cui la sen. Binetti la rivendica e giustifica in nome di un «dato oggettivo»: «Fino a poco tempo fa il Dsm4, la "bibbia degli psichiatri"» utilizzata da tutti gli enti pubblici, «ha sempre inserito l'omosessualità tra le patologie del comportamento sessuale».
Fino a poco tempo fa, dunque. Non so se sia il caso di chiedersi il perché della recente cancellazione.

Da vecchio pedagogista, quindi senza alcuna pretesa di confutare le tesi scientifiche ("scientifiche"?) della dottoressa Binetti, mi permetto di esprimere una opinione molto amara, perché essa rimanda al ricordo storico di quando un noto endocrinologo cattolico come Luigi Gedda teorizzò la superiorità della razza ariana, aderendo alla campagna antiebraica. Dalla quale derivarono quelle leggi razziali del 1938 che restano la vergogna somma di Casa Savoia, assieme alla guerra.

Per ulteriori informazioni scientifiche, vedere il blog Bioetica (a cura di Chiara Lalli): Binetti e intolleranza.

27/12/2007
La morte di Benazir Bhutto


Era tornata promettendo «democrazia» e impegno verso i poveri, cioè del 73 per cento dei 160 milioni di pachistani che vive con meno di due dollari al giorno. Sono parole che leggo sul servizio on line della Stampa, su Benazir Bhutto uccisa oggi da un attentato.
Fu la prima donna capo di governo in un Paese musulmano, dice un sottotitolo nella biografia della signora Bhutto, che era nata nel 1953.
Nei nostri piccoli angoli di mondo, lontanissimi dal suo Paese, giungono impotenti gli echi della violenza omicida che fa un'altra vittima. Con lei sono morte altre venti persone.

Si sente il peso doloroso della Storia in questi momenti, e vien fatto di paragonare la tragica notizia, con quelle di casa nostra. Dove la vicenda più grave delle ultime ore, sembrano le dichiarazioni di Lamberto Dini. Il quale dice del capo del governo da lui appoggiato: Prodi procura più danni di Berlusconi.
I signori come Lamberto Dini hanno mai pensato alla responsabilità politica da loro assunta davanti alla Storia appoggiando un governo, o si sono limitati a leggere certi copioni da avanspettacolo?
Correttamente Prodi nella conferenza-stampa di stamani ha detto che «un governo si abbatte con un voto di sfiducia, non con le interviste». Come appunto quella di Dini. Che poi uno stia al governo e mandi baci al capo dell'opposizione, è un fatto che andrebbe spiegato da quegli specialisti abituati a cercare l'ago nel pagliaio anche laddove non esiste il pagliaio.

All'estero:

Benazir Bhutto tuée (Le Monde)

Benazir Bhutto, asesinada (el Mundo)

Benazir Bhutto killed in attack (BBC)

Benazir Bhutto assassinated in suicide attack (IHT)

Benazir Bhutto assassinated (CNN)

Bhutto had turbulent history (CNN)

27/12/2007
Veltroni si sveglia?


Walter Veltroni comincia (forse) a rendersi conto della trappola che si è costruito con le proprie mani quando ha pensato che il "suo" nuovo partito potesse tranquillamente ospitare oves et boves, avanti tutti con jucio, ma soprattutto a luce spenta.
È bastata l'accensione di una candelina per illuminare a sufficienza la drammatica contraddizione fra un partito moderno e l'atteggiamento pericolosamente reazionario di chi ha un progetto soltanto sanfedista.
Partito moderno significa (mi scuso per l'ardire che dimostro introducendo la spiegazione) una realtà in cui tutti i cittadini siano considerati uguali davanti alla legge.
E soprattutto un partito in cui la legge sia la norma di diritto, non la cosiddetta legge naturale che nessuno sa con precisione che cosa è. Perché si può credere che gli uomini siano naturalmente buoni e poi si guastino per colpa della società, come pensava Rousseau. Oppure si può ritenere che l'uomo nasca con un peccato originale che lo conduce al male, se non interviene il perdono di Dio.
Dunque, la norma di diritto che fa nella nostra Costituzione tutte le persone uguali davanti alla legge, deve essere il punto di partenza da rispettare e rendere operante in ogni atto della nostra Repubblica.
Su questo non ci piove. Se ne è accorto pure il buon Veltroni che ha scritto oggi, in una lettera alla «Stampa» che è «sbagliata e pericolosa» la tesi della sen. Paola Binetti la quale considera l'omosessualità una malattia da curare.
Finora Veltroni aveva perdonato alla Binetti tutte le più strane prese di posizione politica, espresse in nome dell'adesione ad una fede religiosa.
Adesso il segretario del Pd è (finalmente!) intervenuto perché ha compreso che la Binetti aveva superato ogni logica ed ogni decenza in un partito politico che si definisce «democratico».
Lo spazio per trovare sostegno alla proprie affermazioni, la sen. Binetti lo può cercare altrove, ed è infinito: alla sua destra in parlamento può avvicinare autorevoli compagni e compagne di viaggio e d'avventura. Con reciproche soddisfazioni.
Ciò che meraviglia è che, prima di Veltroni, non sia pubblicamente intervenuto nessuno da parte cattolica in maniera ufficiale, se non vado errato, a smentire le opinioni della Binetti. Di fronte alle quali vale l'osservazione manzoniana: «il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».
Una cosa è il discorso religioso che merita serietà e rispetto anche da parte di chi è laico, come dimostra esemplarmente proprio oggi l'editoriale di Eugenio Scalfari su «Repubblica». Ed un'altra cosa è la superstizione travestita da verità scientifica.
Prescindendo dal fatto particolare (omosessualità = malattia), deve interessare l'atto intellettuale che evita il discorso scientifico e realistico sulle condizioni diverse ed opposte che possono esistere anche in campo biologico.
Ricordiamoci di quando nel Settecento di discuteva delle malformazioni (i cosiddetti mostri) che i teologi negavano ma gli scienziati descrivevano. Che cosa conta di più, il pre-giudizio che nega i fatti, o l'esame freddo prescindendo dalle sue pseudo-motivazioni teologiche?
Scalfari spiega alla Binetti, con citazioni pontificie, che non è religiosamente serio sostenere che un errore di scrittura di una legge (dovuto ad un fattore di 'ignoranza' umana) è il frutto di preghiere rivolte a Dio dalla stessa senatrice del Pd.
Riprendo dal fondo di Scalfari le parole contenute nell'enciclica "Spe Salvi" di Benedetto XVI, a pagina 64 nell'edizione dell'«Osservatore Romano»: "Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore. Nella preghiera l'uomo deve imparare che cosa egli possa veramente chiedere a Dio, che cosa sia degno di Dio. Deve imparare che non può pregare contro l'altro. Deve imparare che non può chiedere le cose superficiali e comode che desidera al momento, la piccola speranza sbagliata che lo conduce lontano da Dio. Deve purificare i suoi desideri e le sue speranze".
Aggiunge Scalfari, rivolto alla Binetti: "Le rilegga, senatrice, e cerchi di capirne bene il senso. Soprattutto non si autogiustifichi: il Papa, nella pagina seguente, ne fa espresso divieto".
Alla Binetti, mi permetto di suggerire: rivolga le sue preghiere al Padreterno perché aiuti poveri, emarginati, malati, le vittime della Storia di cui sono piene le cronache di ogni giorno: donne, bambini, vecchi. E non perché confonda le menti della burocrazia governativa che non ne ha bisogno, essendo già sufficientemente dotata di impreparazione che porta agli errori che poi la senatrice si vanta di aver provocato grazie ad un intervento soprannaturale.
Dio, la fede e la religione sono cose troppo serie perché siano lasciate in gestione a chi scambia il cielo per il proprio cervello, come la manzoniana donna Prassede.

26/12/2007
Da Ettore Masina

Mi giunge la nuova «Lettera» di Ettore Masina, il noto scrittore cattolico che ama intelligentemente provocare in tema di religione.
Ne riproduco un brano dalla parte iniziale: «Nella sua recente enciclica il Papa esclude che le speranze umane abbiano un vero valore se non si fondano in Cristo, e - forse senza saperlo - Salman Rushdie, scrittore fra i più importanti della nostra epoca, gli risponde che le speranze proposte da quelli che egli sprezzantemente definisce "i preti" sono inganni micidiali e pesti fondamentaliste. Il messaggio che si ricava da questi interventi è dunque che la speranza sine glossa - quella dei bambini, degli analfabeti, dei poveri, dei poeti, degli atei (tali per estenuazione, per scandalo o, più semplicemente perchè nessuno gli ha mai parlato di Dio), - è stupidità, miopia culturale o rimbambimento. Che ve ne pare?».
Più avanti, Masina scrive: «L'anno prossimo compirò ottant'anni; se osservo la carta geopolitica della Terra così com'era disegnata quando sono nato (l'Africa e l'Asia schiacciate dalla ferocia del colonialismo, l'America centromeridionale ridotta a un grappolo di repubbliche delle banane, in Italia il fascismo, in Unione Sovietica la sedicente dittatura del proletariato, la Germania spinta dalla miseria verso il nazismo, il Portogallo nelle mani di Salazar, nell'Europa orientale un coacervo di regni da operetta, milioni di italiani, irlandesi, greci, polacchi costretti a un'emigrazione che, nella sua disperata inermità, prefigurava quella odierna dei popoli del Sud, la tragedia negra negli Stati Uniti, la condizione femminile ovunque segnata da una feroce minorità eccetera) posso tracciare facilmente un censimento di speranze che allora apparivano al limite della follìa ma che hanno mutato il mondo. Ottusa è la cultura della realpolitik, aveva ragione Paolo VI, invece, quando diceva che vi sono periodi della storia in cui l'utopia è l'unico realismo possibile».
Nella conclusione troviamo scritto: «Credo che noi cattolici dobbiamo pregare per questo nostro papa e Natale è un buon giorno per farlo. Egli sembra racchiuso, come certi antichi orologi, in una campana di vetro che impedisce che vi entri la polvere (la polvere della storia, nel suo caso: le grida di dolore e quelle di gioia di tanta parte dell'umanità). Desideriamo che l'Angelo dei pastori (non si definisce pastore anche il papa?) lo stani dal suo vegliare fra i libri e lo spinga là dove risuona incessantemente il grido che ogni cristiano dovrebbe fare suo: "O voi che giacete nella polvere, alzatevi e cantate"».

26/12/2007
Le ragioni di Prodi

Romano Prodi ha ragione. Non si può concepire la politica come eterna rissa da cortile, con protagonisti isterici i quali soltanto amano tirare i cappelli all'avversario, offendendolo con caricature e ridicolaggini che non dicono nulla alla persone serie. Non ostante tutto ed i telegiornali pubblici o privati, esse continuano ad esistere.
La politica è cosa per persone serie. L'avanspettacolo è bello ed utile. Ma non certamente quando si deve decidere la sorte di un Paese. Lasciamo le risse da cortile ai ricordi di quelle donne che si contendevano lo stesso uomo a colpi di ciabatte in testa alla nemica.
Adesso sono cose che non si usano più neppure in questi casi di conflitto d'interessi amorosi. Gli schiaffi hanno ceduto il posto alla compartecipazione all'utile e al dilettevole.
Il concetto di sesso oggi affermatosi in modo allargato nel più cattolico dei territori cattolici, rassomiglia vagamente allo spirito della ex Casa della libertà. Che lo stesso Berlusconi ha chiuso per colpa dei Casini ivi regnanti, intesi come cognomi.
Verrebbe la voglia di pregare Prodi di lasciare Palazzo Chigi soltanto per carità cristiana e risparmiarci le esibizioni del Cavaliere. Non ne possiamo più.
Prodiansa
Purtroppo per Berlusconi, Prodi ha vinto le lezioni, di stretta misura come il presidente degli Usa, anzi con più voti di scarto di lui.
Il presidente del Consiglio non rappresenta i suoi elettori ed i loro eletti. Guida un governo di un Paese, non la giostra di una periferia urbana o di una spiaggia. Berlusconi lo dovrebbe sapere, essendo circondato da fior fior di intellettuali, giuristi ed esperti di tutto lo scibile umano, come l'ispirato Giuliano Ferrara che amo e stimo moltissimo (guai se lo sapesse: mi fulminerebbe con uno di quegli sguardi da istrione che spesso ci offre). Ferrara tra un editoriale sul «Foglio» della signora Veronica Lario in Berlusconi, ed una trasmissione sulla «Sette», immagino trovi tempo per esercizi spirituali atti a rafforzare la sua modestia e la sua dialettica antiprodiana.
È inutile ogni giorno andare in fregola con la storia che Prodi se ne deva andare. Quindi ha ben fatto Prodi a dire: «L'affannosa gioia della spallata inseguita da Berlusconi non serve proprio a niente, non serve a lui perché poi non riesce a darla, né serve all'Italia». Anzi, «fa molto male alla democrazia italiana».
Non mi piace applaudire chi comanda. Ma sarà colpa delle feste o delle parole di Prodi, approvo anche un altro passaggio della sua dichiarazione natalizia: «Prima delle elezioni io sono stato sottoposto ad uno spionaggio sistematico, durissimo, illegale, ma ho sempre detto: lasciamo fare alla Magistratura. E io credo che un uomo politico debba fare queste cose».
A Prodi, se posso permettermi, suggerisco di andare cauto con certi amici che lo circondano nel novello Pd.
Al treno veltroniano si sono accodati personaggi che non hanno la minima idea della differenza fra destra e sinistra, anzi hanno fatto pubblica professione di imparzialità fra le due parti. Che è come dire che votare Prodi o Berlusconi è la stessa cosa.
Ecco, caro presidente, la spallata se verrà, giungerà da questi ambigui personaggi che fanno i giocolieri, fingendo di guardare al bene comune, ma in sostanza pensando soltanto a guadagnarsi la pagnotta con la politica perché altrove non hanno raggiunto alcun obiettivo grazie alle capacità personali ma soltanto in virtù di sacrosante protezioni.
Insomma, alla fine potrà più la «casta» che il «casto» Silvio Berlusconi, quando si tratterrà di far cadere il governo Prodi. E succederà per mano di esponenti del partito voluto fortemente dal professore. E nel più perfetto e perfido stile che una volta si diceva democristiano.
Per rallegrarvi, guardate l'imitazione di Alberto Angela fatta da Neri Marcoré (foto in alto, a destra).

24/12/2007
Caro Carlino (e tutto il resto)

Mi hanno detto che il «Carlino» ha festeggiato i 50 anni della sua pagina riminese. Auguri.
Sono affezionato alla redazione del 1960-62, quando da studentello vi feci un apprendistato fondamentale sotto la guida del capo-pagina prof. Amedeo Montemaggi, un giornalista di vaglia e soprattutto un maestro di cronaca dalla rara efficacia e intelligenza delle cose.
L'idea di riempire le giornate con un diversivo allo studio universitario, mi venne appena conclusa la sessione d'esami dell'abilitazione magistrale (la nostra non era allora chiamata maturità).
Dissi a mio padre se mi poteva presentare a Montemaggi che lo conosceva bene.
Una mattina di fine luglio andammo mio padre ed io in piazza Cavour, ed incontrammo Montemaggi proprio sulla porta del palazzo dove ha tuttora la sede il «Carlino» riminese.
Montenaggi Dopo i convenevoli di rito, Montemaggi (foto) mi disse una cosa che ho sempre conservato in memoria come prima regola del lavoro di cronista: «Bisogna imparare a lavorare di corsa. Ieri sera ho fatto in tre quarti d'ora un pezzo di due cartelle e mezzo per l'edizione nazionale».
In quella regola c'è tutto quanto è utile ai cronisti (e anche ai blogger) in certi momenti. Ovvero concentrarsi sull'argomento, saper tirare fuori tutto quello che serve, scrivere, rileggere e spedire...
Allora non c'erano né telescriventi né computer, si andava col «fuori sacco» in stazione o al massimo per le cose urgentissime si ricorreva telefono. Che andava però usato con parsimonia per non essere sgridati dall'amministratore bolognese, celebre, temuto e tiratissimo.
Il vice di Montemaggi (che cominciava allora le sue ricerche sulla Linea gotica) era Gianni Bezzi, studente in legge, bravo, intelligente e soprattutto amico, nell'impostarmi sul lavoro di ricerca della notizia e nella stesura dei breve testi di cronaca. Bezzi ha poi lavorato a Roma al «Corriere dello Sport».
Corrispondente da Riccione era Duilio Cavalli, maestro elementare, e conoscitore dei segreti dello sport, materia affidata per il calcio al celebre Marino Ferri. Mentre «Isi», Isidoro Lanari, curava le recensione cinematografiche.
E poi c'erano i padri nobili del giornalismo riminese che frequentavano la nostra redazione. O che collaboravano allo stesso «Carlino». Giulio Cesare Mengozzi, antico amico della mia famiglia, sostituiva Montemaggi durante le sue ferie. Luigi Pasquini, una celebrità che non si fece mai monumento di se stesso, ed ebbe sempre parole di incoraggiamento con noi giovani. Ai quali Flavio Lombardini offrì di collaborare alle sue iniziative editoriali.
C'era poi la simpatica e discreta presenza di Davide Minghini, il fotoreporter, l'unico che aveva un'auto con cui andare sul luogo di fatti e fattacci. Arrivò ad un certo punto Marian Urbani, il cui marito gestiva l'agenzia di pubblicità del «Carlino». Si mise a fare la simpatica imitazione di Elsa Maxvell, la cronista delle dive americane. Dove c'era mondanità c'era Marian che le ragazze in carne corteggiavano per avere appoggi in qualche concorso di bellezza....
C'era poi un collega giovane come me, che era figlio di un poliziotto, e che andava in commissariato a rubare le foto degli arrestati dalle scrivanie dei colleghi di suo padre. E noi le dovevamo restituire...
C'era una bellissima ragazza, Nicoletta, che da allora non ho più rivisto a Rimini. Ricordo una simpatica serata che Gianni ed io trascorremmo con lei ed una sua amica inglese al concorso ippico di Marina centro. Cercavamo di insegnare alla giovane d'Oltremanica tutte le espressioni più strane del parlare corrente italiano, al limite di quello che il perbenismo di allora poteva considerare turpiloquio. Ma la frase più ardita era semplicemente: «Ma va a magnà er sapone».
Leggo sul Carlino-on line le parole di Piero Meldini per i 50 anni dell'edizione riminese: «Chiunque sapesse tenere in mano una penna (tenerla bene) è passato dal Carlino».
Posso di dire di aver fatto con Montemaggi, Bezzi e Cavalli una gavetta che mi è servita sempre. Forse appartengo ad una generazione che è consapevole dei debiti verso i maestri che ha avuto. Forse ho la fortuna di essere consapevole dei miei molti limiti per poter riconoscere l'aiuto ricevuto nel miglioramento dalle persone con cui sono venuto a contatto allora e poi. Fatto sta che quei due anni nel «Carlino» per me sono stati fondamentali.
Studio e passione per argomenti diversi hanno la radice in quella curiosità che mi insegnarono essere la prima dote di un cronista.
Gianni Bezzi scomparve giovedì 17 febbraio 2000, a 60 anni.
Lo ricordai sul web con queste righe.
Aveva debuttato al "Carlino" riminese, come vice-capopagina. Ma uno scherzetto fattogli mentre doveva essere assunto a Bologna nella redazione centrale, lo ha buttato sulla strada.
Ha diretto poi a Rimini il periodico "Il Corso". Nel 1969 è stato assunto a Roma al "Corriere dello Sport", dove è rimasto fino alla pensione. Ha scritto anche un volume su Renzo Pasolini ed ha curato, lo scorso anno, un libro sullo sport riminese nel XX secolo.
Persona buona ed onesta, professionista serio, amico di una lontana giovinezza nel mio debutto giornalistico, lo ricordo e ne piango la scomparsa con animo rattristato. E queste parole possano farlo conoscere anche fuori della Rimini astiosa dove venne tradito e ferito dal disonesto comportamento di chi volle ostacolargli una carriera meritata per la correttezza umana e professionale.
Sul settimanale Il Ponte pubblicai questo articolo.
Ciao, Gianni
Quando qualcuno si metterà a scrivere con completezza ed onestamente una storia del giornalismo riminese di questi ultimi cinquant'anni, dovrà dedicare un capitolo a Gianni Bezzi, appena scomparso a Roma, dove aveva lavorato per tre decenni al "Corriere dello Sport" come cronista ed inviato speciale.
Lo ricordo con infinito dolore. Ho perso un amico onesto, buono, corretto.
Ci eravamo conosciuti nel 1960 alla redazione riminese del "Carlino", dove guidava con serenità e buon gusto il lavoro di un gruppo di giovani, molti dei quali poi hanno cambiato strada, chi ora è architetto, chi docente universitario.
C'era uno di noi, figlio di un questurino, che a volte voleva fare degli scoop e prelevava in Commissariato le foto degli arrestati, poi arrivava una telefonata e noi le dovevamo restituire.
Gianni amava lo sport che aveva in Marino Ferri la penna-principe del "Carlino". Fece il corrispondente locale del "Corriere dello Sport". Aveva un linguaggio asciutto, il senso della notizia, era insomma bravo.
Un bel giorno, mentre frequentava già di sera la redazione bolognese del "Carlino", dopo aver lavorato al mattino in quella di Rimini, e mentre gli si prospettava un trasferimento sotto le due torri, successe questo, come si ascoltò a Palazzo di Giustizia: risultò che lui in ufficio c'era andato così, per sport.
Diresse poi un nuovo giornale "Il Corso", che usciva ogni dieci giorni. Mi chiamò, affidandomi una pagina letteraria (che battezzai "Libri uomini idee", rubando il titolo ad una rubrica del "Politecnico" di Vittorini), ed anche una rubrica di costume ("Controcorrente") che firmavo come Luca Ramin.
Fu un sodalizio di lavoro intenso ed appassionato. Mi nominò persino redattore-capo, e credo che sia stato l'unico errore della sua vita.
Per Marian Urbani inventai una sezione definita "Bel mondo", nel tamburino redazionale. La cosa fece andare su tutte le furie il giornale del Pci che ci dava dei "fascisti" ogni settimana, avvantaggiandosi su di noi che, come ho detto, andavamo in edicola solo tre volte al mese. E non sempre.
Nel gennaio del '67 il nevone ci fece saltare un numero. Due anni dopo, Gianni fu assunto a Roma.
Queste mie misere parole possano, in questa città di smemorati, ricordare un giornalista che proprio a Rimini ha dedicato la sua ultima fatica, un libro sullo sport del '900. Ciao, Gianni.
L'anno scorso è scomparso Silvano Cardellini, anche lui celebre firma del «Carlino». Oggi lo celebrano, ma non fu sempre trattato bene da quel giornale. Allora osservai in ricordo del caro amico:
«Ti hanno costretto a fare il cronista sino ad ieri, non so per colpa di chi, forse per il fatto che (come hai scritto tu) «normali non siamo» o non sono pure quelli di fuori (leggi: Bologna). Se avessi diretto un giornale cittadino, avresti avuto il gusto di alimentare le polemiche, che sono il sale del pettegolezzo, anche se esse stanno ben lontane dall'informazione della quale a Rimini non frega nulla a nessuno».

24/12/2007
Letterina di Natale
Da fanciulli, ci costringevano a scrivere (sotto dettatura) la lettera a Gesù Bambino, che immancabilmente si concludeva con la promessa di obbedire ai genitori.
La nostra generazione, nata durante la guerra, è stata costretta a credere ed obbedire. Per fortuna non a combattere. L'altra sera da Fazio, lo scrittore Enrico Vaime ha detto una battuta che mi è cara. Non abbiamo fatto la Resistenza, non abbiamo fatto il Sessantotto, insomma non abbiamo fatto niente.
Dicevamo signorsì al signor Maestro, nelle elementari, stando sull'attenti. Dovevamo scrivere sotto dettatura a Gesù Bambino quella promessa di obbedire ai genitori come se avessimo compiuto chissà quale azione rivoluzionaria. Forse ci siamo soltanto permessi qualche volta di essere bambini come natura comanda.
Mia madre mi mandava in giro con un ciondolo d'un santo o d'un beato che riproduceva uno slogan di pietà e d'educazione: «La morte ma non i peccati». Non sapevamo nulla dei peccati, ma ce lo spiegavano anziani e pii sacerdoti negli interrogatori al confessionale.
Ci aprivano le finestre sul mondo, mostrandocelo come se fosse un vero e proprio inferno di cose immonde e nefande.
Le minacce delle fiamme dell'inferno teologico che avrebbe ripagato per l'eternità i nostri eventuali errori di un minuto, fecero il loro effetto su di me sul piano gastro-enterico.
Una mattina dovetti andarmene a casa fingendo indifferenza, ma affrettando il passo perché la paura dell'inferno aveva agito come la dolce euchessina prima di uscire dalla parrocchia alla ricerca affannosa del lontano riparo domestico, rigorosamente a piedi, e noncurante del fatto che avevo già cominciato a pagare quello che con linguaggio popolare si diceva un tempo il «debito naturale». Insomma me la ero fatta addosso dalla paura instillatami dai pii confessori.
Adesso che sono vecchio, voglio scrivere una letterina di Natale, ma non posso scomodare Gesù Bambino, mi risponderebbe che ormai certe cose le so, e che quindi, è inutile rifare la solfa di quando si era fanciulli promettendo obbedienza.
Se dovessi scegliermi un intermediario con Gesù Bambino, chiederei aiuto ad Enzo Biagi che adesso viaggia lassù, e chissà come si diverte a fare interviste.
Caro Enzo, per favore non dire oggi o domani a Gesù Bambino che prima o poi, gliela faranno pagare. Succederà quando tra qualche mese tutta la gente sarà felice come adesso, con una sola differenza. In questi giorni essa mangia il panettone per rispettare le tradizioni, più avanti gusterà le uova di cioccolato.
Comunque, è già tutto previsto. Ci sarà un tale Giuda che poi farà discutere per millenni. Se deve recitare quella parte, dicono, non è che poi sia tanto malvagio. Un attore, cioè uno che segue il copione voluto dal Capo. Sia fatta la volontà di Dio, dovrà dire Gesù. Che poi avrà anche il momento più bello, quando umanamente sospira al Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Piffero
Caro Biagi (adesso che non sei più tra noi fisicamente, permettimi la confidenza del tu rivolto ad un maestro di stile e quindi anche di vita), questo Gesù che spupazzano tra un presepio allestito per attirare turisti ed un supermercato che svende tutto in occasione delle festività, forse è più crocifisso a Natale che a Pasqua, da noi uomini di Buona Volontà, a cui è destinata la sua pace.
Cose strane, incomprensibili, misteriose. A lui in un certo senso è andata bene, di Giuda ne ha incontrato soltanto uno.
Come vedi, il mio testo non sarebbe adatto ad una letterina per Gesù Bambino.
Basta il pensiero, dicevano una volta. Ma oltre al pensiero ci vuole anche qualcosa che rallegri la nostra vita. Se a rattristarla sono proprio quelli che in nome suo parlano ma poi tradiscono come Giuda, ti viene un dubbio: oltre che ipocriti e falsi, chi si credono di essere?

23/12/2007
Piange il telefono

Un illustre giurista, Guido Neppi Modona, scrive oggi nel «Sole-24 Ore» un importante articolo sul problema delle intercettazioni telefoniche che sta riscaldando il clima politico italiano.
Il punto centrale del suo breve saggio è in questo passo: «a essere censurato e condannato non è stato il comportamento penalmente illecito o politicamente scorretto e squalificato» di chi aveva detto certe cose al telefono.
Bensì si è spostata l'attenzione «sull'imprescindibile esigenza di impedire per il futuro che notizie di quel tipo potessero divenire di dominio pubblico». Neppi Modona parla esplicitamente delle «serie preoccupazioni» suscitate dagli atteggiamenti del ceto politico che mirerebbe alla sua tutela in sede giudiziaria per garantirsi una specie di salvacondotto (mi scuso del riassunto troppo sintetico per argomentazioni molto articolate, ma la morale della favola è questa).
Per fortuna, aggiunge il professore, la Corte costituzionale ha di recente stabilito che «anche in caso di diniego dell'autorizzazione», le intercettazioni «potranno essere utilizzate processualmente nei confronti di terzi»...
Le cronache odierne a proposito del problema delle intercettazioni, sono piene delle parole di Grillo contro Bertinotti (accusato di essersi «preoccupato per la privacy di un signore che voleva comprare un senatore. Invece di espellere questo (basso) insulto alla democrazia dalla Camera ne tutela la privacy»).
Non so se nei prossimi giorni si discuterà seriamente secondo il ragionamento di Neppi Modona. Se a dettare legge, come si suol dire, dovesse essere più un comico che un illustre giurista, allora ne trarremmo le conseguenze logiche circa le opinioni negative che girano all'estero sopra il nostro Paese.

22/12/2007
Douce France

Quando ho scritto il post su Sarkozy "canonico lateranense", non l'ho fatta lunga perché giustamente ai blog si chiede un'informazione veloce, sintetica, e facile da digerire. Anzi spesso si invoca la battuta di spirito, come quella che ho fatto sulla «canonica» compagna del presidente francese.
Ringrazio Fino che si è aggiunto al discorso con il commento sulle curve «canoniche» della signora Bruni. Infatti la bellezza ha le sue regole, i suoi canoni classici che nessuna modernità potrà cancellare perché sono (pre)stampati nel nostro cervello.
Ringrazio Emilio per gli auguri e per il suo testo. E perché così mi permette di tornare sopra il tema, magari con qualche annotazione noiosa che mi perdonerete: sotto le feste, come suol dirsi, siamo tutti più buoni.
Quando ho scritto su quel canonicato (che altri capi di Stato francesi in precedenza rifiutarono), non pensavo al tema oggi molto attuale e scottante del multiculturalismo.
Per un riflesso condizionato che genera la vecchiaia, andavo leggermente più indietro, all'inviso Voltaire che principia il suo «Trattato sulla tolleranza» con un capitolo dedicato ad un drammatico episodio di guerra di religione. La morte di Jean Calas (v. anche qui).
Riporto le frasi iniziali del capitolo: «Le meurtre de Calas, commis dans Toulouse avec le glaive de la justice, le 9 mars 1762, est un des plus singuliers événements qui méritent l'attention de notre âge et de la postérité. On oublie bientôt cette foule de morts qui a péri dans des batailles sans nombre, non seulement parce que c'est la fatalité inévitable de la guerre, mais parce que ceux qui meurent par le sort des armes pouvaient aussi donner la mort à leurs ennemis, et n'ont point péri sans se défendre. Là où le danger et l'avantage sont égaux, l'étonnement cesse, et la pitié même s'affaiblit; mais si un père de famille innocent est livré aux mains de l'erreur, ou de la passion, ou du fanatisme; si l'accusé n'a de défense que sa vertu: si les arbitres de sa vie n'ont à risquer en l'égorgeant que de se tromper; s'ils peuvent tuer impunément par un arrêt, alors le cri public s'élève, chacun craint pour soi-même, on voit que personne n'est en sûreté de sa vie devant un tribunal érigé pour veiller sur la vie des citoyens, et toutes les voix se réunissent pour demander vengeance».
Il tema è affrontato da Voltaire in un altro scritto: «Un des grands aliments de l'intolérance, et de la haine des citoyens contre leurs compatriotes, est ce malheureux usage de perpétuer les divisions par des monuments et par des fêtes. Telle est la procession annuelle de Toulouse, dans laquelle on remercie Dieu solennellement de quatre mille meurtres: elle a été défendue par plusieurs ordonnances de nos rois, et n'a point encore été abolie. On insulte dévotement, chaque année, la religion et le trône par cette cérémonie barbare; l'insulte redouble a la fin du siècle avec la solennité. Ce sont là les jeux séculaires de Toulouse; elle demande alors une indulgence plénière au pape en faveur de la procession. Elle a besoin sans doute d'indulgence; mais on n'en mérite pas quand on éternise le fanatisme».
Fortunatamente internet mette a disposizioni tutti questi testi, ai quali la pazienza dei lettori può fare ricorso.
Ecco, è molto lunga la distanza che corre dal «Discorso sulla tolleranza» (una volta un alunno mi disse: ma come lei parla di queste cose, in ritardo compresi che aveva equivocato fra tolleranza e case di tolleranza...), per arrivare al gesto di Sarkò: è molto lunga soprattutto per una repubblica che si festeggia in un giorno ben preciso, il 14 luglio, con tutto quello che la data significa e comporta.
Ecco perché vedere il poligamo Sarkò rivendicare le radici cristiane della Francia, mi ha fatto effetto. Non si tratta di negare quelle radici che la storia è lì ad indicarci (come ha scritto giustamente Emilio). Si tratta semplicemente di un mio stupore (quindi un sentimento che può tranquillamente essere definito infondato od illogico), che però non è un fatto del tutto isolato neppure in Francia.
In questo momento sul sito de Le Monde, il sondaggio sulle dichiarazioni di Sarkò in San Giovanni in Laterano, dà quasi un 60 % di contrari ed un 33 di favorevoli.
Post scriptum. Mia moglie ha dapprima fortemente disapprovato la foto della «canonica». Poi, si è convinta che il discorso era serio. Non ditele che ho scritto qui di questa sua tirata d'orecchi...

21/12/2007
Un esempio di dialogo

Giorni fa nel sito di Vittorio Pasteris, il nostro "amministratore", ho trovato citato un luogo di discussione molto interessante: «Io dico la mia» (in "votaeargomenta").
Vi ho partecipato con una semplice (improvvisata) battuta sul concetto di «bene». La riproduco qui.

Il bene è ciò che scaturisce dalla nostra azione nella società, non è semplicemente l'assenza del male, è qualcosa che si realizza considerando non soltanto l'aspetto egoistico dell'agire, ma l'effetto che il nostro stesso agire provoca anche negli altri.
(Il concetto di bene è stabile?)
«Stabile»: se significa immutabile e duraturo, l'aggettivo mi sembra fuorviante. Il vivere è divenire, cioè cambiamento. Le risposte di oggi non andavano bene ieri, e non funzioneranno domani. Tutto nella vita finisce per essere instabile, per cui il bene è creare ma non imporre, è escogitare la soluzione (nuova) del problema nuovo, non pensando che le vecchie risposte possano funzionare nella realtà diversa che si è venuta a creare. Poi: il dovere più che un piacere è un dovere. Far bene o fare il bene, vien prima che godere del bene fatto.
(Per brevità non ho potuto riportare le affermazioni a cui faccio riferimento nelle risposte. Che consiglio di leggere nel sito).

21/12/2007
La «canonica»

Il canonicato d'onore della basilica del Laterano concesso a monsieur le président Nicolas Sarkozy, rimanda a ricordi medievali, ai privilegi attribuiti dalla Chiesa di Roma ai sovrani cattolici europei. Se Parigi valeva bene una messa, un canonicato serve pur esso ad un appoggio politico.
Fa semplicemente sorridere, nel pieno rispetto delle libere scelte individuali, la predica di monsieur Sarkozy sui valori cristiani, sempre per la vecchia storiella di questi potenti che non vivono personalmente la religione, ma la strumentalizzano tra gli applausi di chi poi strumentalizza gli stessi potenti.
«A Rome, on n'en attendait pas tant», scrive oggi «Le Monde».
Canonica In Francia chiamano «italiano» ciò che per noi è «machiavellico». Adesso che la compagna del canonico Nicolas Sarkozy è un'italiana, quale altro aggettivo useranno per indicare appunto ciò che per noi è «machiavellico», per non screditare la signora?
Una curiosità, la compagna del canonico Sarkosy ha diritto ad essere chiamata «canonica»?

20/12/2007
Un ragazzo

Dame Seye è un ragazzo senegalese di 17 anni residente a Rimini.
Di recente è stato protagonista del salvataggio del fratellino di sei mesi intrappolato nell'abitazione in fiamme.
Comune
Dame Seye rimase gravemente ferito, con ustioni ad un terzo del corpo.
Oggi il sindaco di Rimini Alberto Ravaioli (a sx, foto Gallini/Uff. Stampa Comune), e l'assessore alle Politiche dell'integrazione, Vittorio Buldrini, lo hanno ricevuto e premiato nella residenza municipale.

20/12/2007
A proposito...

A proposito del tema della laicità affrontato nel mio post di ieri («Santa ipocrisia»), molto interessante mi sembra il testo apparso oggi sulla Stampa a firma di Gian Enrico Rusconi, «Democratico, ma non democristiano».
Ne riporto la conclusione:
«Il laico deve far valere il principio universalistico della cittadinanza costituzionale. Il problema della laicità in Italia oggi non riguarda soltanto la riconferma dei grandi principi del pluralismo, ma l'affermazione di una cultura che dà sostegno concreto alla cittadinanza costituzionale. Questa è la democrazia laica, nel senso che quando in essa si manifestano credenze e convinzioni incompatibili tra loro, ai fini dell'etica pubblica e delle sue espressioni normative, non decidono «verità sull'uomo», ma le procedure democratiche che minimizzano il dissenso tra i partecipanti al discorso pubblico.
«La verità» - se vogliamo usare questo concetto impegnativo - consiste nello scambio amichevole di argomenti nella lealtà reciproca. Chi accetta questo atteggiamento e ragionamento è laico. Chi non lo accetta e lancia contro di esso l'accusa di relativismo, non solo non è laico, ma usa il concetto di relativismo come una parola-killer che uccide ogni dialogo.»

19/12/2007
Santa ipocrisia

Ricevo da un collega blogger questo bel biglietto d'auguri: «Caro Antonio, nel laico dubbio che uno sia cristiano oppure no io ricorro spesso alla formula "Buone Feste di Fine Anno", che dovrebbe andar bene per tutti».
Grazie di cuore del messaggio ed anche dell'attenzione.
A me va benissimo il Natale con relativo riferimento augurale. Considero la nascita di Cristo un evento fondamentale nella storia del mondo.
Non per nulla nel presepe davanti a tutti stanno i reietti del tempo, i pastori.
Educazione e sentimenti religiosi, mi piace però onestamente tenerli separati dall'idea dell'impianto politico della società: ecco perché molto spesso scrivo invocando il nome della laicità. (È nel Vangelo che si trova la distinzione fra Dio e Cesare...)
L'ultimo spunto al proposito è dato da un articolo di Miriam Mafai su «Repubblica» di ieri e dalla risposta odierna alla Mafai di Walter Veltroni.
L'episodio è esemplare. «Prima sconfitta per il Pd» intitolava ieri il quotidiano romano il pezzo della Mafai sul fatto che nel consiglio comunale capitolino non è stato possibile arrivare a deliberare l'istituzione di un «registro» delle unioni di fatto (semplifico molto per riassumere la discussione).
Miriam Mafai parlava di «una sconfitta per chi aveva scommesso su una possibile convergenza e unità di due riformismi, uno di origine popolare, l'altro di origine socialista».
Oggi Veltroni smentisce la Mafai, sostenendo che nulla è stato compromesso perché il problema non riguarda il consiglio comunale di una città in cui in questi anni «i diritti sono stati tutelati e rafforzati». Ma tocca la politica che deve dare «risposte legislative adeguate e moderne» per realizzare «la laicità delle istituzioni repubblicane».
Sotto l'aspetto formale, Veltroni ha ragione. Ma è la questione sostanziale che va esaminata. E la questione sostanziale è quella denunciata dalla Mafai ieri, e da Scalfari di recente («laicità è sinonimo di democrazia»): le pressioni d'Oltretevere sui politici del Pd...

Pirata
Veltroni passa la palla a Prodi: è la politica che deve dare «risposte legislative adeguate e moderne».
Non può cavarsela, WV, dicendo che lui come sindaco di Roma governa una città tollerante.
Non basta. Lui è il segretario del Pd. Due ruoli, due parti sono utili se servono a sommare la forza del personaggio.
Ma se il personaggio si sdoppia, fingendo che non ci siano state le pressioni vaticane su quel «registro» (considerato indegno per la città «sacra»), allora ha ragione Miriam Mafai nel sostenere che la vicenda capitolina è stata una sconfitta per tutto il nuovo partito prodiano-veltroniano-rutelliano (e... vaticano).
Allora ha ragione il ministro Emma Bonino quando oggi denuncia «l'intromissione giornaliera, petulante delle gerarchie» cattoliche. E dichiara: «Qui è una saga di baciapile, ce ne fosse uno che ha una famiglia normale, sono pluridivorziati e va benissimo, però poi non vadano a predicare il contrario».
Uno dei cardini su cui si regge lo spirito evangelico, è quello della testimonianza. Ovvero della coerenza fra le cose credute e quelle praticate. Ma quella coerenza non esiste nei tanti predicatori che ci affliggono con le loro litanie finalizzate soltanto a raccogliere voti. Possibile che le gerarchie ecclesiastiche non vedano? Finisco qui perché non vorrei essere scambiato per un teologo, anzi peggio per un teologo del dissenso, come si diceva una volta.
Adesso è tutto consenso. Chi racconta le balle più grosse è premiato. Contenti loro... Speriamo che ci permettano di non essere d'accordo con la santa ipocrisia.
Circa la mossa di WV di passare la mano alla «politica» (che deve dare «risposte legislative adeguate e moderne» alla laicità dello Stato), sono da leggere con attenzione le parole di Riccardo Barenghi sulla «Stampa» odierna, proprio sul doppio scacco politico del governo e quindi di Veltroni come segretario del Pd per il decreto sulla sicurezza e per la legge elettorale («ha sbagliato il metodo»).
Conclude Barenghi che «nel suo partito non sono pochi quelli che non vedono l'ora di sgambettare il leader e ridimensionarlo. Figuriamoci nel resto del Palazzo».
Il discorso prosegue qui (20.12.2007): "A proposito...".

18/12/2007
Noi e la Francia

La facevano già difficile prima, i commentatori politici di casa nostra: qui ci vuole un Sarkozy italiano...
Adesso che la fiamma dell'amore rallegra il presidente francese attraverso la figura di una connazionale, Carla Bruni, il problema diventa più arduo.
Va bene un Sarkozy, ma se lo avessimo, poi potremmo meritarci pure una compagna del leader, che non ci faccia sfigurare davanti a Carla Bruni ed ai cugini francesi?
«Lei lo ha sedotto in tre settimane», titola «La Stampa» di oggi.
Scattano i cronometri per la più famosa coppia italiana, Walter e Silvio. Chi sedurrà chi, e in quante settimane?

17/12/2007
Troppo zucchero per Prodi

Se anche per le interviste televisive esistessero le pagelle come per le partite di calcio, non mi sentirei di dare un gran voto ai "duellanti" di ieri sera, Fabio Fazio e Romano Prodi.
La correttezza del primo a volta è velata da un eccesso di zucchero nella bibita che ci offre. Figurarsi ieri sera che Zucchero c'era di persona in trasmissione... Meglio il pepe della Littizzetto.
L'onestà intellettuale del presidente del Consiglio è fuori discussione. Lo dico in modo partigiano, tanto per evitare piagnistei. Meglio lui del cavaliere, se la piazza offre questo. Però anche Prodi ha avuto qualche uscita molto poco felice.
Ad esempio quella sulla «ragion di Stato» a proposito della visita del Dalai Lama e dei rapporti con la Cina.
Caro Prodi, sono cose che si pensano ma non si dicono. Non è apprezzabile la sincerità, in questi casi. La diplomazia chiama diplomazia. Invocare la «ragion di Stato» quando le ragioni morali sono ben superiori, non è un'uscita particolarmente brillante.
Poi la vicende di quel treno fermo per dodici ore. «Ohi, uno era fermo ma ne correvano altri mille...» ha detto all'incirca Prodi. Beh, e se ci scappava un morto assiderato?
Ultimo appunto. Quando ha detto giustamente che democrazia è controllo di tutti i cittadini su qualsiasi fatto, anche sulla cultura...
Forse Prodi non è molto al corrente. Un recente episodio, quello della Dante Alighieri di Firenze. L'ho ricordato qui l'8 dicembre. Parole del prof. Emilio Pasquini: «Una cordata di politici e di presunti studiosi mi ha defenestrato con un colpo di mano per nominare un nuovo consiglio direttivo ed un nuovo presidente» (il vecchio era Pasquini).
Se passa dalle mie parti, caro presidente, e va magari alla Fiera di Rimini transitando davanti a casa mia, le offro un caffè casalingo e facciamo due chiacchiere sul tema, l'unico che conosco, il condizionamento politico-affaristico della cultura.
Magari lei mi spiega che cosa succede nelle università. Per verificare se è vero quanto si legge e si ascolta. Una botta di democrazia, insomma, due chiacchiere informali ma non troppo. Dopo le riporto qui, la avviso in anticipo...
Pirata Fazio avrebbe potuto chiedere a Prodi ad esempio se non trova contraddittorio che le nostre opere missionarie chiedano soldi ai cittadini per i bambini che agonizzano in Africa, mentre da noi non so quanti miliardi sono stati spesi per la chiesa di padre Pio, un francescano, ovvero seguace di «sorella povertà».
Forse è un problema di coscienza ben più serio di quelli che affliggono la senatrice Binetti per le unioni di fatto o le norme cosiddette «antiomofobia» quando se ne parla in àmbito politico.
Luciana Littizzetto mi rivolgo a lei: ponga questa domanda a «eminence».

16/12/2007
Assolse Galileo

«Il frate che assolse Galileo». Il titolo della mezza pagina della «Stampa» di stamane, nel ricordo di padre Enrico di Rovasenda, scomparso ieri a 101 anni, rimanda al 31 ottobre 1992, quando Giovanni Paolo II cancellò la condanna a Galileo, frutto (disse il papa) di «una tragica reciproca incomprensione» tra scienza e fede.
Riprendo la citazione dal bell'articolo di Alberto Mattioli, pubblicato a pagina 36.
Dalla Radio Vaticana, riporto la biografia del padre domenicano:
«Un testimone straordinario dell'apostolato intellettuale: è questo il tratto distintivo, nella sua lunga vita terrena, del domenicano Enrico di Rovasenda, spentosi stamani nel convento di Santa Maria di Castello, a Genova, all'età di 101 anni. Nato nel 1906 a Torino, a soli vent'anni si laurea in ingegneria nel capoluogo piemontese. Nel 1929 entra nell'Ordine dei Frati predicatori e inizia la formazione presso il convento di San Domenico a Chieri, fino all'ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1933. Amico fraterno di Piergiorgio Frassati, collabora con il futuro Papa Paolo VI, negli anni in cui Montini è assistente della FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Dopo la licenza e il dottorato in Teologia, studia filosofia a Parigi. Ritornato in Italia a metà degli anni Trenta, ben presto diventa punto di riferimento della cultura cattolica della città. Nel 1974, Papa Montini lo nomina direttore della cancelleria della Pontificia Accademia delle Scienze. Incarico confermato da Giovanni Paolo II, fino al compimento degli ottant'anni. Tuttora era membro onorario dell'Accademia. Dal 1977 al 1992 è anche assistente ecclesiastico prima del Movimento laureati di Azione Cattolica e poi del Movimento ecclesiale di impegno culturale. Da 15 anni si era ritirato nel convento di Santa Maria del Castello di Genova. Proprio qui, lunedì prossimo alle ore 11.30, saranno celebrati i suoi funerali. (A.G.)»
Il caso ha voluto che oggi pomeriggio, ripulendo un po' sedie e scrivanie, trovassi una pagina di «Repubblica» dello scorso 19 giugno. Titolo «I calcoli di Newton: l'apocalisse nel 2060». Sottotitolo: «Gerusalemme, in mostra inediti del grande scienziato su cabale e alchimia».
Alberto Stabile spiega che Newton non vedeva nessuna contraddizione fra scienza e fede. E che compose 15 pagine di quaderno sull'alchimia che all'epoca «godeva del prestigio di cui godono la fisica nucleare e l'ingegneria genetica messe insieme».
Ciò a dimostrazione che il cammino della scienza è molto lento e contorno. Non un piatto precotto di verità. Anzi ciò che oggi appare tale, domani potrà essere smentito da altre scoperte. Ecco perché la verità della scienza non è mai un dogma.
Contro il dogma dovette scontrarsi Galileo. Un pensiero di gratitudine, dunque, al domenicano padre Enrico di Rovasenda deceduto ieri, per la sentenza vaticana del 1992.

15/12/2007
Allegro, Veltroni!

Pure l'allegro Renzo Arbore ha sempre avuto i suoi «momenti di tristezza», racconta la sua "leggenda".
Figurarsi noi. Anche prima di leggere la diagnosi del «New York Times». Il suo corrispondente da Roma ha scritto che siamo il popolo più triste d'Europa. L'Italia è una nazione «attanagliata dalla paura». Alla frutta. «L'Italia non si vuole più bene: c'è un senso di malessere generale nel Paese».
Commenta Luca Cordero di Montezemolo su «Repubblica» di oggi: «Qui chi nasce povero rischia quasi sempre di morire povero». L'Italia non ha al centro dei propri pensieri l'educazione, quindi il futuro dei giovani. Trascura il bene comune. Troppa evasione fiscale («che è un furto») e troppi incidenti sul lavoro. Dobbiamo puntare sulle capacità delle persone, premiandone il merito, e non sulla cooptazione.
Oggi Veltroni ritorna sull'articolo del NYT, e propone la sua ricetta: «L'Italia ha bisogno obiettivamente di ritrovare fiducia, sorriso, serenità, energia e speranza».
Mettendo sulla bilancia del realismo politico l'intervista di LCM e le parole di WV, il piatto sale per il presidente di Confindustria. Sintomo allarmante, se appare più moderna Confindustria che è per dote genetica l'immagine del conservatorismo.
Qualche sera fa il sen. Giorgio Tonini, ospite di Giuliano Ferrara, dichiarava il Pd un partito di centro. Era nato con la pretesa di rappresentare il riformismo di centro-sinistra. Ha perso per strada già qualcosa della dote che aveva offerto agli elettori. Avanti di questo passo, e Veltroni sarà meno progressista e riformista di LCM.
La cosa rende ancora più tristi. Non per non condividere le opinioni di LCM. Ma per constatare come l'Italia stia perdendo tempo prezioso. Tra le solite recite di Silvio Berlusconi che si proclama perseguitato dai magistrati, e le sdolcinate prediche di WV. Dove trovare (anzi ritrovare) «fiducia, sorriso, serenità, energia e speranza»?
Il «dubbio» odierno di Pietro Ostellino sul «Corriere della Sera», tratta di «poteri separati e ben squilibrati».
Partendo dal caso Forleo-De Magistris, scrive: «indagavano su personalità del centrosinistra [e] sono stati censurati dal Consiglio superiore della magistratura».
Poi va giù pesante con il capo dello Stato. Sulla cui figura osserva in generale: «a me pare farisaico continuare a ritenere - chiunque egli sia - una sorta di Immacolata Concezione al di sopra delle parti politiche».
In particolare su Napolitano, riporta le sue parole d'invito a magistrati e giudici «a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti».
Ostellino le commenta così: «più di una raccomandazione 'tecnica' [...] sono parse un messaggio 'politico'».
Conclusione: «siamo ancora uno Stato di diritto?».
Personalmente propendo per la risposta negativa, non soltanto per le vicende Forleo-De Magistris, ma per il fatto stesso che in Italia oggi la Giustizia non funziona. E se non funziona essa, appunto lo Stato di diritto o è un ricordo o è una chimera.
Dovendo scegliere tra ricordo e chimera, propenderei per la seconda. Infatti i guai denunciati da LCM sono molto antichi. Non soltanto di oggi.
In Italia pochi sorridono e molti ridono. Anzi deridono. È questo l'aspetto tragico della nostra situazione politica. Non abbiamo paura del nuovo, come pensa Veltroni. Abbiamo timore del vecchio che non vogliamo scrollarci da addosso: l'evasione fiscale, gli incidenti sul lavoro, la cooptazione di cui ha parlato LCM. Ma Veltroni non legge «Repubblica»?
A gridare «Allegria» è rimasto soltanto Mike Bongiorno. Chissà perché.

13/12/2007
Povero me!

Confesso tutte le mie colpe. Al signor Demata che scende nell'arena sparando offese a più non posso, io non sono in grado di rispondere.
Cerco per onestà verso me stesso di riassumere i passaggi del tema in discussione.
Il discorso ero partito il 30 novembre con «Diabolico Bacone». Citavo l'enciclica papale e la sua condanna del pensiero moderno.
L'11 scorso aggiungevo che «purtroppo inesatta» è l'immagine di Francesco Bacone presentata dall'enciclica papale, secondo uno scritto di Paolo Rossi, storico della Scienza.
Ieri 12 dicembre, avendo ricevuto un commento in cui si definiva ottuso Bacone, aggiungevo che lo stesso filosofo è considerato «fra i costruttori della nuova immagine della Scienza».
Anziché entrare nel merito della questione, il signor Demata mi accusa di essere arrogante, superficiale ed inutile, perché mi sono occupato di un sistema di pensiero che non mi appartiene, di una materia che non ho studiato.
Tutto vero, vengo dal ramo umanistico, dove per passare gli esami ci siamo fatti un ... così studiando storia della filosofia e della scienza.
Ma se permette il signor Demata, egli non ha diritto di definirmi arrogante e superficiale, ma inutile sì.
Io non so che cosa c'entri un mio ricordo di gratitudine verso i docenti di 40 anni fa, con tutta la sua polemica antiprodiana ed antibolognese.
Un discorso che veramente non ha nulla di scientifico.
Se poi il signor Demata desidera che il sottoscritto, arrogante e superficiale oltre che inutile soltanto per aver citato un articolo pubblicato dal supplemento culturale del «Sole-24 Ore», chiuda questo blog perché gli procura allergia ideologica, non ha altro che dirmelo. Lo posso accontentare immediatamente.

12/12/2007
Bacone affumicato

Tirato per i pochi capelli che ho in testa (dove la confusione regna sovrana come dimostra il lapsus di ieri, avendo scritto l'errato Ruggero al posto dell'esatto Francesco), sono costretto a tornare su Bacone, con nessuna autorità, ma soltanto per impegno morale dopo quello che ho letto in alcuni commenti.
Francesco Bacone è fra i costruttori della nuova immagine della Scienza: cfr. il cap. 2 del volume «Dalla rivoluzione scientifica all'età dei lumi», testo di Paolo Rossi (p. 44, ed. TEA, 2000).
Qui leggiamo anche che Copernico nel difendere la centralità del Sole «invoca l'autorità di Ermete Trimegisto» (p. 47).
La storia della Scienza non è un percorso lineare tipo supermercato, dove tutto si trova (fino a che non cambiano l'ordine negli scaffali...).
Dividere lo scienziato dal filosofo, per me è molto difficile. Non credo che sia un'operazione facile per nessuno. Sopra una persona non sappiamo percentualmente quale sia l'influsso 'genetico' del padre e quale quello della madre (vedasi Mendel).
A meno che non si faccia come nelle scenette di litigio domestico, dove uno dei due coniugi rimprovera all'altro le corbellerie di «tuo figlio»...
Quanto alla storiella del Bacone «ottuso», beh, ognuno può raccontare le balle che vuole se prescinde dagli scritti della persona che si accusa.
Ma questo non è un metodo scientifico.
Al primo corso di Filosofia teorica ebbi come docente uno spiritualista rimasto del tutto ignoto sia ai posteri sia ai contemporanei, il quale amava spiegare che soltanto lui aveva compreso l'essenza del pensiero greco. Insomma secoli e secoli di storia della filosofia erano da lui buttati nel cesso, con quella leggera piega del labbro che si forma davanti ad oggetti non propriamente profumati. Per cui a lui si addiceva la massima «dalla escatologia alla scatologia il pensiero corre veloce».
In un commento ritrovo l'atteggiamento che 50 anni fa caratterizzò «Le due culture» di Sir Charles P. Snow (1905-80), fisico e scrittore inglese, un volume ristampato anche nel 2005.
Da vecchio (aspirante) umanista, non trovo nulla che vieti di conciliare scienza e filosofia in un percorso che è comune nella storia della cultura.
Ne ho scritto qualcosina a proposito di un testo del 1600, di un galileiano che si accorge però come sia difficile leggere tutto e subito nel libro della Natura (riassumo un concetto più ampio).
Se qualcuno desidera avere il testo in formato .doc per mail mi scriva, e sarà esaudito.
Non capisco, lo dico con franchezza, il gioco di parole che dal bacon porta alla mortadella, e poi la chiusa sui quattro Maestri, rei di non averci informato che Bacone era «ottuso».
Quando si discute di persone di alto livello come sono o sono stati i quattro docenti che ricordavo, beh, gradirei che il lettore che commenta lasciasse perdere le spiritosaggini e discutesse seriamente.
Parlare di Storia medievale o di letteratura del Cinquecento non significa dimenticare la dimensione "contemporanea", ma non riguarda né l'euro (che ci ha salvato da un'inflazione che sarebbe stata tremenda) né la gestione delle Coop (l'altro ieri ho comprato a 29 euro, con sconto socio, un telefonino uguale a quello pagato 49 in negozio l'estate scorsa...).
Le citazioni di Anna Rosa Balducci da un testo che ho letto tempo fa con grande attenzione, «Un'etica del lettore», è la più ampia dimostrazione di quell'umanesimo di cui parlano le persone serie come Ezio Raimondi.
Cioè una visione della vita che non sia egotista contemplazione del proprio ombelico, ma senso di partecipazione a qualcosa che coinvolge anche l'«altro»: «Non si dà vero dialogo col testo senza avvertire la responsabilità dell'altro in sé».
Ripeto: «responsabilità dell'altro in sé». E non si pensi che siano cose secondarie o ininfluenti. Se le si comprende, si ragiona a tono. Altrimenti è meglio lasciar perdere.
«Cosa dire?» dei quattro illustri Maestri, si è chiesto un lettore. Io so che cosa dire, lui ha saputo soltanto deriderli, con la tecnica del lupo della favola che dice all'agnello di essere stato offeso da suo padre... [«Repulsus ille veritatis viribus: / "Ante hos sex menses male - ait - dixisti mihi". / Respondit agnus: "Equidem natus non eram!" / "Pater, hercle, tuus - ille inquit - male dixit mihi!"»]. Scherziamo con i fanti e basta.

11/12/2007
Bacone «non dixit»

«Purtroppo inesatta» è l'immagine di Francesco Bacone presentata dall'enciclica papale «Spe salvi». Lo scrive il supplemento culturale «Domenica» del «Sole-24 Ore» del giorno 9 dicembre 2007, nel sottotitolo del pezzo composto dal prof. Paolo Rossi. Il quale è uno dei maggiori studiosi di Storia della Scienza in tutto il mondo, non soltanto in Europa.
Non ho la pretesa di riassumere cose che Rossi spiega in maniera molto chiara, come sua consuetudine. Segnalo soltanto alcuni punti del suo articolo, sperando che a qualcuno venga la voglia di leggerlo integralmente.
Le considerazioni pontificie, dunque, non «sembrano accettabili», secondo Rossi. Bacone, facendo la distinzione fra magia e scienza, conclude che «il fine della scienza» non ha a che fare con l'orgoglio e l'ambizione (come per la magia), ma riguarda «il benessere di tutti i viventi, è la carità».
Bacone «non pensa per nulla all'esistenza di un rapporto necessario fra aumento del sapere-potere e crescita morale».
Per Bacone, «la tecnica è ambigua per essenza», perché (sono parole dello stesso Bacone), «può produrre il male nel contempo offrire il rimedio al male»: «faciunt et ad nocumentum et ad remedium».
La citazione è presa da «De sapienta veterum» (1609).
Dove si narra la storia di Dedalo che per consentire a Pasife di accoppiarsi con un toro (e poi, commento mio, parliamo di corruzione contemporanea, relegando il peggio nella mitologia...), costruisce una macchina adatta alla bisogna. Ecco un esempio di invenzioni applicate al male...
Conosco il prof. Rossi da circa 45 anni, è stato mio docente di Storia della filosofia al Magistero di Bologna, nella sua materia mi sono laureato discutendo una tesi che ha avuto come controrelatore l'italianista prof. Ezio Raimondi, altra figura di studioso conosciuta in tutto il mondo. Fummo molto fortunati ad avere quali insegnanti delle persone come loro due, ma voglio ricordare anche Luciano Anceschi (Estetica), Giovanni Maria Bertin (Pedagogia) e Gina Fasoli (Storia medievale e moderna). Sono nomi che ritrovate in ogni testo che riguardi le loro discipline, tanto alto è stato il loro contributo alla cultura italiana.
L'intervento discreto ma fermo di Rossi su Bacone documenta come spesso, nella trattazione di un argomento, si prendano rappresentazioni non corrispondenti alla verità empirica di quello stesso argomento.
A questo aspetto sono dedicate le righe conclusive del testo di Rossi che spiega come l'immagine deformata di Bacone sia nata esattamente sessanta anni fa con la «Dialettica dell'Illuminismo» di Horkheimer e Adorno.


09/12/2007
Acqua calda e Senato

Scoperta dell'acqua calda nelle ultime ore per la questione della cosiddetta norma «anti-omofobia» approvata in Senato.
Il ministro Giuseppe Fioroni in un'intervista al «Corriere della Sera» di oggi ammette che la lotta contro le discriminazioni «si fonda sulla Costituzione». Questo non significa per lui essere in disaccordo con la sen. Binetti. Anzi. La norma, spiega Fioroni, va eliminata perché «si presta ad alimentare dibattiti ideologici e tensioni dietrologiche senza nulla aggiungere in concreto alla lotta contro la discriminazione».
Come giustificazione non è molto logica, ma pazienza. Se dobbiamo eliminare una norma ogni volta che essa può provocare dibattiti e tensioni, siamo a posto. Nell'anarchia totale.
Alla Costituzione ha rimandato anche l'editoriale di oggi di Eugenio Scalfari su «Repubblica». Quella norma «tende a dare attuazione con legge ordinaria ad un principio essenziale stabilito dalla Costituzione».
Appurato ciò, resta il fatto che chi ha scritto il decreto ha commesso un piccolo errore richiamando l'art. 13 del Trattato di Amsterdam. Si tratta invece dell'art. 2 comma 7, diventato articolo 6A dei Trattati costitutivi dell'Unione Europea.
Le due frasi (di Fioroni e Scalfari) sugli agganci alla Costituzione della norma che la sen. Binetti considera una minaccia di «strangolamento delle coscienze», sono un po' come l'utile scoperta dell'acqua calda per quanti sinora non se ne erano accorti. Non per disattenzione, ma per alterare il senso del discorso politico.
Nel quale va inserita una postila circa i casi Forleo-De Magistris, con quanto Luciano Ferraro osserva sul «Corriere della Sera»: «Per ora l'unica certezza è statistica: due magistrati su due che si occupano di importanti esponenti del centrosinistra sono finiti sotto tiro di Cassazione e Ces. Una percentuale del 100 per cento».
Due novità della giornata. Che capovolgono le situazioni finora prefigurate. Fini accusa la proposta di riforma di legge Vassallo di essere una truffa, ed il cavaliere di essere giunto ormai «alle comiche finali». C'è poi l'appello del vecchio dissidente comunista Ingrao alla Cosa Rossa per l'unità della sinistra: «Fate presto! Fate presto perché la vostra unità urge, il Paese ne ha bisogno e perché abbiamo davanti a noi quella che è la condizione tragica del lavoro in Italia».
Rimando a domani, per motivi di spazio, un altro tema, la replica del prof. Paolo Rossi al pontefice sulla questione di Bacone come teorico della perniciosa «fede nel progresso»: è pubblicata nel supplemento domenicale odierno della cultura nel «Sole-24 Ore». Rossi dimostra che le considerazioni papali non sono «accettabili» proprio in base ai testi di Bacone.
(Sul rapporto teologia-scienza, merita di essere riportato questo pensiero di Anna Rosa Balducci: «Qualunque discorso sulla scienza dovrebbe stare dentro un ospedale per lungodegenti, almeno un mese, prima di essere pronunciato».)

08/12/2007
Poltiglia e furbizie

Onorevole Vannino Chiti, lei ha promesso di far cancellare la cosiddetta norma «anti-omofobia» nel decreto legge sulla sicurezza, perché «fa riferimento al Trattato di Amsterdam in un modo che si presta ad equivoci».
Il Trattato di Amsterdam all'articolo 13 rende gli Stati liberi di «prendere provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni sul sesso, la razza o l'origine etnica, le religioni o le tendenze sessuali».
Quella norma non è «anti-omofobia», è contro le discriminazioni di qualsiasi tipo che esistono (eccome) nel tessuto sociale di molte regioni italiane, così come una volta si potevano leggere cartelli tipo «Non si affitta a meridionali».
Quella norma c'è pero già nella nostra Costituzione, art. 3, primo comma. Ma nessuno se ne ricorda: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Dunque ci dobbiamo aspettare un prossimo passo di tipo costituzionale, con la revisione di quell'articolo e di quel comma?
Suvvia, signori del Parlamento, non riduciamo i discorsi seri a motivi di bagarre elettorale, anzi pre-elettorale. Si vuol far cadere il governo Prodi, si vuole una nuova convocazione alle urne, ci si adopera nel progetto del grande centro nella speranza che i portavoce dell'integralismo riescano ad imporre un governo "moderato" senza Berlusconi.
Va bene, è più che lecito, legittimo, quasi ovvio, forse inevitabile, anzi sicuramente certo, etc.
Ma per favore non spacciate per norma «anti-omofobia» una regola di civiltà che riguarda tutti i comportamenti.
Ma poi, vorrei sapere, che cos'è tutta questa fobia dell'anti-fobia? Non ci sono più gli psicanalisti di una volta, a spiegarcelo...
A proposito. La senatrice Paola Binetti, ha parlato addirittura di uno strangolamento delle coscienze tramite quella norma. Inquietante.
L'«Avvenire» di stamani è stata sincera ma altrettanto allarmante (per sua ammissione): «Il primo allarme scaturisce dal tentativo pervicacemente condotto di equiparare le tendenze sessuali alle differenze naturali, ad esempio di sesso e di etnia, elevando le prime ad una 'qualità' antropologica che non hanno e non possono avere, e ciò nell'interesse di tutti, in primo luogo delle persone omosessuali. C'è qui una sorta di 'fissazione' in base alla quale la personalità di ciascuno sarebbe determinata non solo e non tanto da quello che egli «è», ma piuttosto dalle pulsioni sessuali che eventualmente decide di assecondare. S'insiste sulla presunta necessità di porre un freno all'«omofobia», ma si arriva a sospettare persino della difesa del matrimonio monogamico quasi che fosse in se stesso un delitto di lesa maestà».
(Articolo esemplare per impostazione e svolgimento: si parte da un episodio particolare e si ipotizza una catastrofe generale della morale... come all'epoca della legge su divorzio.)
Condivido quanto scritto stamani sulla «Stampa» da Franco Garelli: «La vera sfida che attende anche i politici credenti è quella del pluralismo, della capacità di affermare e di "concretizzare" i grandi valori in un contesto in cui si vivono condizioni e orientamenti diversi, ove più nulla è dato per scontato. Ogni area culturale è chiamata a dare il proprio contributo progettuale per arricchire e dar risposte alle diverse situazioni e promuovere più larghe convergenze».
Senza pluralismo non c'è democrazia. E se non c'è democrazia né Chiesa né religione possono dignitosamente agire senza compromessi.
Il sociologo prof. Giuseppe De Rita nel consueto rapporto del Censis (creando ogni anno una formula efficace per fare il ritratto dell'Italia), ha presentato per il 2007 l'immagine della «poltiglia».
Dario Di Vico sul «Corriere della Sera», al proposito ha parlato di una società politica a cui mancano i contenuti e che attinge ai manuali di marketing.
Sullo stesso giornale, a proposito del caso-Forleo, Piero Ostellino ha scritto che in Italia il potere è detenuto dalla banche e che il magistrato in questione non ha usato «le cautele, le furbizie e le opportune ambiguità della politica».
Mi sembra che il caso della norma che lei on. Chiti ha promesso di cancellare, rientri in questo quadro deprimente della poltiglia, della politica che attinge ai manuali di marketing, e che si caratterizza per «le cautele, le furbizie e le opportune ambiguità» di cui ha scritto Ostellino.
Pensi ad una città che lei ben conosce, Firenze, ed a che cosa è successo alla Società Dante Alighieri. Glielo spiega il prof. Emilio Pasquini: «Una cordata di politici e di presunti studiosi mi ha defenestrato con un colpo di mano per nominare un nuovo consiglio direttivo ed un nuovo presidente» (il vecchio era ovviamente lui).
Il prof. Pasquini ha spiegato il problema apertis verbis non essendo un politico.
Noi ne ricaviamo l'amara constatazione che nemmeno padre Dante ed i suoi studiosi sono lasciati in pace da queste cordate di uomini appartenenti ai partiti e che sponsorizzano «presunti studiosi».
Ostellino ha citato una frase di Hobbes: «Auctoritas, non veritas, facit legem».
Che la denuncia di questi vezzi e vizi provenga dalla colonne del maggior quotidiano conservatore del nostro Paese, la dice lunga sull'imbarbarimento in cui siamo stati ridotti, immersi in quella «poltiglia» che la decenza ci impedisce di chiamare con il suo vero nome, uscendo dal seminato scientifico del Censis ed entrando nell'umile linguaggio che anche Dante usa: Inferno, XVIII, 116. Trovare per leggere...

07/12/2007
Farsene le ragioni

Vorrei tranquillizzare l'anonimo commentatore che in altro blog ha citato «la leccata continua e paziente dei veri montanari... per qualche gluteo famoso de La Stampa», finalizzata all'essere citato in prima pagina.
Correggo soltanto l'iniziale del sostantivo (sicuro di interpretare le sue intenzioni), e ringrazio per l'aggettivo: «veri Montanari», niente imitazioni.
Occhei. Ma per farmi una ragione del suo discorso, (l'anonimo si firma «Fattene una ragione»), mi spiego, e lo prego di credermi: le citazioni che riporto in questo blog ospitato nello «Spazio del lettore», servono soltanto a me per rassicurarmi nelle mie opinioni.
Mi creda l'anonimo: se i lettori sono quasi 800 come oggi, o 32, non ne guadagno nulla, non mi arricchisco con pecunia sottratta ad altri. Non ci sono premi in palio, non si guadagna nulla, si fa tutto per sport, come si diceva un tempo quando lo sport non era affare da molti soldi...
Per cui lo tranquillizzo. Non voglio defraudare gli altri, togliere soddisfazioni ad amici od amiche che scrivono sul loro blog, leccando il gluteo famoso di editorialisti della Stampa.
E soprattutto desidero spiegare che l'anonimo non ha compreso come in quest'àmbito (ambìto secondo lui) funzionino le cose, come si usi ricorrere alle citazioni delle cose fresche di giornata da vari giornali, non soltanto da quello che mi ospita, per sviluppare i discorsi.
Forse l'anonimo, nella sua affermazione, si riferisce al post «Amleto contro Walter» dove ho citato Lucia Annunziata e Gian Enrico Rusconi.
Per la prima ho scritto: «Mi sento meglio scoprendo i dubbi di un'illustre ed informata giornalista».
Per il secondo, ammettevo di condividerne il pensiero...
Se questo costituisce una cosa sconveniente secondo chi consiglia agli altri di farsene una ragione, allora chiedo scusa se gli dico che non ha compreso come ho fatto finora funzionare il mio blog.
In quasi 50 anni di attività sui giornali, non ho mai voluto salire in cattedra. Mi sono sempre definito un inutile cronista. Figurarsi se voglio togliere spazio, vecchio come sono, a penne valide e più giovani che si occupano con ottimi esiti di altri argomenti, molto distanti da quelli qui esposti.
Siccome la «la leccata continua e paziente» non mi appartiene per un difetto di carattere, od un disturbo di personalità, ho voluto precisare al nostro anonimo le mie reali intenzioni nel comporre questo blog.
Se poi l'anonimo parla così perché abituato ad applicare in proprio «la leccata continua e paziente», embé allora se la tenga cara e non l'attribuisca però a chi non la esercita.

07/12/2007
La rana ed il bove
T'amo pio bove, disse una rana
gentil sopra un bel prato,
pregustando il sapor del proibito.
«Povera creatura che non sai
come non è possibile piacermi
dato che, picciola bestiola, tu non hai
quanto Natura crea alla bisogna
onde l'amore sia fecondo e bello».
La rana tacque ma non rinunciò.
Chiese consiglio al timido coniglio,
alla lepre furiosa, a un elefante
che placido osservava assai distante.
Da tutti seppe che negato era il prodigio:
«Di belle forme del bue cornuto e pio
non gusterai sapor né avrai quietanza,
troppa è la discrepanza
tra te e lui: enorme, altero
puoi vederlo da presso,
amarlo tu non puoi, povera rana».
Ma lei andò al mercato una mattina.
E prese una certa polverina
che lentamente le ingrassò le forme
al punto tale che il bove
s'ingannò e si giacque
con essa lei, grande menzogna
a far del mondo simbolo costante.

06/12/2007
Soccorso rosso

«Veltroni - dichiara Silvio Berlusconi - ha più problemi di quanti ne abbia io, ma mi pare determinato».
Per questo motivo il buon Veltroni, pensa sicuramente il Cavaliere, dev'essere aiutato.
L'intervista di Silvio Berlusconi verrà pubblicata su «Il giornale della Libertà» in edicola domani.

05/12/2007
Biancaneve e Biancofiore

Se la dottrina politica si riduce alla parodia delle favole, dobbiamo essere grati agli illustri studiosi che ci facilitano la comprensione dei misteriosi sistemi elettorali italiani.
Dunque sia lode al prof. Giovanni Sartori che stamani sul «Corriere della Sera» ha illustrato la sua teoria del «ricatto dei nanetti». Questa parola vuol soltanto indicare le piccole formazioni politiche. E non disprezzarle.
Se fosse Veltroni, Sartori direbbe a Prodi che la colpa della crisi di questi giorni è esclusivamente sua, del presidente del Consiglio: «Se tu usi i nanetti per ricattarmi, io non ci sto. I nanetti sono tuoi, sei tu che te li sei coccolati e messi in casa».
Chiedo scusa, ma a questo punto mi si è messa in moto la fantasia: e mi sono immaginato Romano Prodi che come Biancaneve guida la combriccola dei Sette Nani e li vezzeggia solleticandoli sul mento o facendo loro un affettuoso buffetto alle guance.
Da Biancofiore a Biancaneve il passo è ovviamente breve, in quest'Italia da favola, ovvero con questa politica che si rallegra soltanto quando può inventare qualcosa che evade dalla monotonia del vivere quotidiano.
Aumenta il pane, cresce la pasta, si fa fatica ad arrivare a fine mese? Beh, non avvilitevi, c'è chi sta peggio.
Da Biancofiore a Biancaneve, Romano Prodi sarebbe messo proprio male. Lui, il pedalatore appenninico, lui che qualcosa ha fatto per quell'Europa sognata nel dopoguerra per un futuro senza più guerre continentali, lui deve finire avvelenato con una mela?
E chi sarà il principe azzurro che arriverà a svegliare Biancaneve?
Non so immaginare Bertinotti nel gesto soccorrevole, dopo aver detto a chiare lettere che insomma, questo governo gli fa quasi schifo. Forse anche per questo particolare è difficile considerare lo stesso Bertinotti come un «nanetto» vezzeggiato e coccolato, in mano a Prodi, quale appare al prof. Sartori.
Bertinotti non ce l'ha su con Prodi, l'oggetto del suo desidero è Veltroni. Lo sgambetto vuole far cadere il patto Silvio-Walter, vuole troncare sul nascere le speranze di governare l'Italia con un abbraccio che spiace a molti, non soltanto al presidente della Camera ed ai nanetti di cui parla il prof. Sartori.
Questa sera Berlusconi ha attaccato Casini. Lo ha accusato di aver «ucciso» la Casa delle Libertà. Per essere anche Casini uno di quei «nanetti» che proliferano pure a destra, beh non sarebbe stata un'impresa da poco. Ed infatti il Cavaliere teme che tra amici del Biancofiore possa esistere una solidarietà capace di spostare Casini nel Pd come già avvenuto per Follini.
Va a finire che la vera Biancaneve da avvelenare nella nostra favola suggerita dallo scritto di Sartori, è proprio lui, il Pierferdy, bolognese come il Professore, ex democristiano come Prodi, giovane di belle speranze come Veltroni.
A questo punto sembra di essere entrati in una di quelle storielle che si dicevano da «Grand Hotel», dal titolo di un settimanale celebre per i suoi fotoromanzi. Stesso clima, stessa sceneggiatura, stessa finzione.
Non c'è nulla di nuovo in queste parole di Berlusconi. L'elenco dei «cumunisti» si è allungato, ma era da prevedere. Vi compare anche il nome di Casini, con la profezia che il Signore di Arcore ha fatto: la «Cosa bianca» di Casini finirà prima o poi a sinistra.
Una di queste mattine Silvio si sveglierà e interrogando lo specchio («Specchio delle mie brame, chi è il più votato del reame?»), terrà un applaudito comizio: «Chi parla di Popolo è il solito compagno erede di Lenin, Stalin, Togliatti e Prodi».
Poi vide un suo manifesto sul suo «Partito del Popolo». E cercò la mela avvelenata da portare all'on. Casini. Cala la tela.
RIS/posta
Ringrazio gli amici intervenuti nelle ultime ore a commento del post precedente: mi lusingano e commuovono le loro parole di stima e di affetto. Grazie dunque ad Irene Spagnuolo e ad Anna Rosa Balducci.
Per Emilio, aggiungo anche che non vedo in Italia gravi minacce laiciste. Ce ne potevano essere un tempo, nell'immediato dopoguerra, ma Togliatti risolse il problema inserendo i patti lateranensi (fascisti) nella Costituzione repubblicana.
Oggi c'è in giro una stranissima aria che suona una presa in giro sia per il pensiero laico sia per quello cattolico apostolico romano. (Leggere «Fratelli d'Italia», un volume recente di Ferruccio Pinotti.)
Se ad un convegno massonico sull'eutanasia interviene un personaggio di spicco «amico fraterno» dell'organizzazione promotrice, e nello stesso tempo (futuro) diacono di un sacerdote (oltretutto sotto indagine giudiziaria), beh, c'è forse più da ridere che pensare a serie minacce laiciste...
Bisognerebbe rileggere le pagine di don Francesco Fuschini sull'umanità ed onestà intellettuale dei poveri «mangiapreti» romagnoli d'un tempo che lo avevano aiutato, lui povero figlio di un fiocino delle valli ferraresi, a pagare la retta del seminario. Quei «mangiapreti» che onoravano i loro avversari dedicandogli persino un tipo particolare di minestra o pasta (come dicono i più raffinati), chiamata «strozzapreti».
Un appunto extra-vagante. Un mio illustre concittadino, Achille Serpieri (1849-1909) sintetizza così il suo «credo», in chiusura delle proprie memorie: «Vuoi vivere e star bene? / Passa il tuo tempo nelle Sacrestie, / E grida sempre viva Papa, Re, e le Spie». Serpieri sì che era un laicista. Ma quanta ragione aveva. E soprattutto ne ha ancora oggi. Parola d'onore, ve lo garantisco.

04/12/2007
Enzo Biagi ed Enzo Tortora

Ieri sera sul digitale di Rainews24 è andata in onda una serata dedicata ad Enzo Biagi in diretta dal Teatro Quirino di Roma. Vi hanno partecipato anche Bice e Carla Biagi, le figlie del «cronista» (per usare la qualifica che più gli piaceva) scomparso un mese fa.
Ad un certo punto, è stata data lettura di un articolo scritto da Enzo Biagi per l'arresto di Enzo Tortora. Un articolo importante, perché come si può anche leggere nel sito di «Misteri d'Italia», Biagi «fu il primo a lanciare un appello in suo favore al grido di "E se Tortora fosse innocente?"».
Biagi scrisse: «Mentre voi leggete questo articolo, Enzo Tortora è a colloquio con i giudici: sapremo poi, con più esattezza, di quali reati è incolpato, o meglio di quali deplorevoli fatti si sarebbe reso responsabile. Fino all'ultima sentenza, per la nostra Costituzione, stiamo parlando di un innocente. Invece, in ogni caso, è già condannato: dalla riprese televisive, dai titoli dei giornali, dalla vignetta del pappagallo che finalmente parla e dice: "Portolongone", dal commento senza carità di quello scrittore che afferma: "in qualunque maniera vada, è finito per sempre". O dell'altro che annota, seguendo la cronaca: "tempi durissimi per gli strappalacrime"».
Dieci anni dopo la morte di Tortora (riprendo pure da «Misteri d'Italia»), «fu ancora Biagi il primo a volerlo ricordare: "Ognuno ha le sue convinzioni, ma quanta cattiveria in certi resoconti, che rancore, e che piacere per il povero idolo televisivo infranto da un mandato di cattura"».
L'intensa lettura dell'articolo di Biagi del 1983 da parte di Monica Guerritore, è stato il momento più interessante della trasmissione di ieri sera. La parole ed i ricordi dei tanti intervenuti (tra cui Romano Prodi), hanno suscitato l'emozione filtrata dai ricordi offerti o dalla considerazioni politiche presentate giustamente circa l'importanza di una libera informazione per realizzare una vera democrazia. Soltanto la pagina di Biagi però ha fatto toccare con mano due problemi veri, che non dipendono da nessuna norma positiva del Diritto, ma unicamente dal dettato della coscienza.
Il primo problema riguarda l'accanimento belluino con cui le cronache alimentarono sin dal primo momento il caso-Tortora. Ricordo di aver ascoltato la notizia del suo arresto dal gr delle 7.30. Con gli amici scommisi che si trattasse di una balla. Tortora non aveva la faccia da doppiogiochista, da truffatore, da delinquente o da gangster. Avrei avuto ragione, era innocente.
Il secondo problema sta dietro quell'accanimento belluino dei giornalisti, sta nell'operato della magistratura. Sta nella capacità di leggere i fatti. Sta non nell'avere l'obiettivo di accumulare carte (dove anche le accuse più inverosimili assumono la dignità di verità giudiziaria, anche se in via soltanto di ipotesi, ma comunque con l'arresto di un innocente ed il suo sputtanamento pubblico). Ma sta nell'avere il massimo rispetto dell'innocente dal primo momento fino a sentenza definitiva.
Per cui per farsi belli non si organizza l'arresto di un grande personaggio pubblico come se fosse la sfilata di una aspirante miss a qualche concorso di bellezza, con fotografi pronti a scattare mille immagini, ad immortalare l'umiliazione suprema per un innocente: i ferri della giustizia (della presunta giustizia) ai polsi.
Le figlie di Enzo Biagi alla fine hanno detto che sarà istituito un concorso non per i grandi del giornalismo (qualche settimana fa, un autorevole riconoscimento in tal senso è stato attribuito, a Ravenna, a Mike Bongiorno ed a Giulio Andreotti), ma per giovani cronisti di provincia.
Ottima idea. Perché come ho scritto sopra, Enzo Biagi amava definirsi un «cronista». Perché ai giovani va dimostrato che la democrazia ha bisogno di questo benedetto quarto potere di cui parlavano i famigerati pensatori del Settecento europeo, di quel «tribunale invisibile» della pubblica opinione che controlli tutto ciò che è di tutti e riguarda tutti, come la vita politica. Un tribunale «che col fatto ci dimostra che la sovranità è costantemente e realmente nel popolo» (Gaetano Filangieri, 1753-1788).
Ho la vaga impressione, per esperienza personale, che oggi, si insegni ai giovani cronisti soltanto come appuntare i discorsi delle conferenze-stampa e come riassumere i comunicati che arrivano in redazione. Senza dare fastidio a nessuno.
Il ricordo di Biagi e l'esempio di quello che lui spiegò nella vicenda di Tortora, possono essere utili a tutti, ma soprattutto a quanti aspirano a scrivere decentemente (non parlo di stile, ma di contenuti) e che stanno oggi facendo la loro gavetta. La gavetta non deve né spaventare né umiliare, perché tutta la vita è un'infinita gavetta. Ogni giorno siamo messi alla prova. Per essere onesti verso gli altri, dobbiamo anzitutto esserlo con noi stessi, e riconoscere che soltanto gli imbecilli si sentono perfetti. Noi siamo persone sempre da perfezionare. Tutti ogni giorno, giovani o vecchi abbiamo qualcosa da imparare.
Ringrazio commosso Gian Contardo Colombari per il suo commento di ieri. Con le ultime parole di cui sopra rispondo al suo elogio. Non mi faccia montare la testa. Scrivere è un modo di vivere o di sopravvivere. È un lavorare per dare un senso alla propria esistenza. Debbo ringraziare gli amici conosciuti o sconosciuti che leggono e commentano. Mi fanno sentire presente a me stesso.
Ad Emilio dico che sono sempre stato fautore del dialogo, fin dai tempi in cui fui educato a questa filosofia da Giovanni Maria Bertin che mi fu docente di Pedagogia al Magistero di Bologna. Per cui riconosco che le contrapposizioni di cui parla Emilio ci sono, e sono pericolose. Ma il fatto che esistano ondate laiciste, non deve precludere a sottolineare od indicare la strada della concezione laica dello Stato, alla quale mi richiamo, partendo dalla stella polare della nostra Costituzione.
Post scriptum. Quelli della mia generazione sono stati educati tutti dall'Azione cattolica. Ne riparleremo, semmai.

01/12/2007
Il televisore non c'entra
Il vecchio apparecchio tivù si brucia. Ne arriva uno nuovo. Entusiasmo. Bellino, a cristalli liquidi. Lo accendo e vedo un'immagine che mi fa pensare: ma questo aggeggio non funziona.
Chiamo il venditore. Gli dico: ma che fanno i cristalli liquidi, cambiano il mondo? Mi chiede perché. Gli spiego: ho visto Berlusconi stringere la mano ad un «cumunista», il sindaco Veltroni. Dev'essere senz'altro un disturbo dell'apparecchio, aggiungo.
Il venditore spiega che il nuovo arrivato va benissimo.
Se Berlusconi ha stretto la mano a Veltroni, la colpa non è dell'aggeggio elettronico.
Non è un disturbo fra le onde elettromagnetiche, un'illusione ottica, una menzogna delle reti (tutte) «cumuniste» della Rai.
Le cose sono andate veramente così. Anche i cristalli liquidi hanno un cuore, e raccontano la verità.l vecchio apparecchio tivù si brucia. Ne arriva uno nuovo. Entusiasmo. Bellino, a cristalli liquidi. Lo accendo e vedo un'immagine che mi fa pensare: ma questo aggeggio non funziona.
Chiamo il venditore. Gli dico: ma che fanno i cristalli liquidi, cambiano il mondo? Mi chiede perché. Gli spiego: ho visto Berlusconi stringere la mano ad un «cumunista», il sindaco Veltroni.
Dev'essere senz'altro un disturbo dell'apparecchio, aggiungo.
Il venditore spiega che il nuovo arrivato va benissimo.
Se Berlusconi ha stretto la mano a Veltroni, la colpa non è dell'aggeggio elettronico.
Non è un disturbo fra le onde elettromagnetiche, un'illusione ottica, una menzogna delle reti (tutte) «cumuniste» della Rai.
Le cose sono andate veramente così. Anche i cristalli liquidi hanno un cuore, e raccontano la verità.

Antonio Montanari


2607/13.02.2018