Talenti senza parenti

Riprendo il gioco di parole dell'interessante articolo che ieri La Stampa ha pubblicato a firma Michele Ainis, intitolato: «Liberare i talenti dai parenti».
Il sottotitolo diceva: «Per oltre la metà degli italiani più dei meriti contano le relazioni. Potremo ridare slancio e fiducia soltanto togliendoci di dosso la camicia di lobbies e nepotismi».
Ecco, appunto: lobbies e nepotismi. È un sogno disperato, quello secondo cui il merito vada premiato per quello che esso vale e non per quanto esso pesa in termini di amicizie, protezioni ed appartenenza a famiglie nel senso tradizionale od in quello allegorico (cioè gruppi di potere, e diciamolo pure potere mafioso).
A quasi 65 anni, ho visto franare definitivamente l'Italia dei meriti a vantaggio di quella delle protezioni. Sembra rinnovarsi il panorama storico, umano e sociale del seicentesco mondo di don Rodrigo: si è qualcosa, si è qualcuno se si ha in mano la carta della protezione di qualche potente signorotto locale.
Non ho interessi personali in gioco, né nascoste ambizioni da vedere realizzate o premiate. Sono un osservatore distaccato, a cui premono due cose: il rispetto della dignità delle persone e la valorizzazione di quanti dedicano il meglio di loro stessi allo studio che non è un passatempo allegro ma una fatica improba.
Per comprendere quanto la valorizzazione dei talenti sia un aspetto fondamentale del nostro vivere sociale, consiglio la lettura di un libro appena uscito. Si tratta di «Camminare nel tempo» di Ezio Raimondi, il grande italianista di Bologna che racconta la sua vita nei dialoghi con Alberto Bertoni e Giorgio Zanetti.
Archivio Ezio Raimondi
01/12/2006

Antonio Montanari


2495/22.10.2017