Antonio Montanari
Ezio Raimondi e la Romagna di Renato Serra

Grazie ad un'incursione della politica (a Bologna in Santa Lucia c'era Romano Prodi), il profilo austero di Ezio Raimondi, storico della letteratura e critico di fama mondiale, ha avuto tre secondi circa di passaggio televisivo al "TG1" delle ore 20 di sabato 11 novembre. Raimondi teneva la "Lettura de il Mulino" parlando di "Un'etica del lettore". Tra la politica e la letteratura, secondo Raimondi, non c'è separazione ma distinzione dei ruoli. Proprio nell'associazione de "il Mulino" (per la cui nascita egli dette un contributo fondamentale nell'àmbito della casa editrice e della rivista omonime) Raimondi ha trovato modo, come ha dichiarato lui stesso, di "fare la propria parte restando però, per mestiere un insegnante".
La parola "lettore" gli è particolarmente cara. Essa rimanda ad uno dei suoi primi lavori, rimasto fondamentale nella storia della critica italiana, un saggio dedicato a Renato Serra, "Il lettore di provincia" (1964). L'opera segna una riscoperta del bibliotecario della Malatestiana, del suo ruolo nella cultura italiana, della sua innovativa posizione così documentata dallo stesso Serra in un appunto: "É ci vuole nella critica letteraria, con l'immaginazione ridente e nuova d'un fanciullo la memoria curiosa di una vecchia pettegola".
Ad apertura di volume Raimondi segnala un canone serriano: ogni scrittore si rivela sempre in pubblico attraverso una maschera. Quella scelta da Serra è da umanista e "lettore dilettante". Un lettore che, chiuso nella sua Cesena, sa conoscere e sperimentare il mondo, come Raimondi dimostra in "Un europeo di provincia" (1993), la cui partizione logica inizia dal vecchio discorso sul "lettore di provincia" ed approda alla rivoluzionaria, indimenticabile formula di "una provincia europea": "Dal fondo della sua terra, nell'ombra domestica di una biblioteca che era a un tempo una patria e un esilio, il "lettore di provincia" parlava così una lingua europea".
Il volume del 1993 si chiude con un saggio sull'"Esame di coscienza di un letterato" su cui Raimondi scrive: in quel testo "la parola della letteratura viene a coincidere con il momento supremo del vivere e del morire, nel tempo e insieme fuori del tempo". Da Serra, Raimondi ha "ereditato' la forte consapevolezza che letteratura e vita non sono realtà inscindibili bensì correlate al punto che lo stesso "lettore" (come ha spiegato sabato) ogni volta che prende in mano un libro è come se avesse davanti a sé "tutto il tempo che è trascorso dal giorno in cui è stato scritto fino a noi".
Se ogni libro non è soltanto "quello" che ha scritto l'autore ma pure quanto in esso vi scopre ogni nuovo "lettore", l'opera letteraria dimostra (come Raimondi ha detto sabato) la "compresenza di verità differenti nella pluralità delle coscienze". Ed anche "coscienza" è ovviamente un'eredità serriana nel pensiero di Raimondi. Al quale come uno degli studenti di un tempo, provenienti dalla Romagna di Serra (che allora studiai per la mia tesi), rivolgo un pensiero grato per il suo insegnamento alla facoltà di Magistero nei primi anni '60, quando con lui c'erano altri grandi Maestri quali Luciano Anceschi, Achille Ardigò, Giovanni Maria Bertin, Renzo Canestrari, Gina Fasoli, Enzo Melandri e Paolo Rossi.
14.11.2006
Antonio Montanari

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