Enzo Biagi, cronista, 11/12/2006

Ben tornato in tivù, dunque, caro Enzo Biagi. Con l'augurio semplice semplice che la gente capisca che i cronisti non sono funzionari di partito o di governo, che sono lecite le critiche al potere e le domande ai padroni del vapore, di tutti i vapori, dal sindaco del più piccolo comune al presidente del consiglio o ad un amministratore delegato.
Con la speranza che i giornalisti combattenti per la libertà dell'Occidente non si mascherino più da spie, almeno quando non è carnevale. Ma il dramma nazionale è che da noi ci sono sempre state troppe quaresime e di conseguenza e per reazione ci sono state pure sempre fin troppe sfilate in maschera.
Per un giornalista, l'importante è raccontare e spiegare (come diceva Indro Montanelli) quello che non si è capìto, non vestire i panni di uno 007 che cerca gloria postuma non nella penna ma nei dossier riservati.
Il mondo è pieno di imbecilli. Quelli che incartano le loro fissazioni in un giornale, come se si trattasse di un caspo d'insalata al mercato, alla fine risultato figure patetiche: si credono furbi ed intelligenti, non riescono ad oltrepassare il confine della barzelletta vivente.
Biagi rappresenta la storia di un giornalismo attento ed onesto. La disattenzione è la regola di chi vuol far carriera e non vuole grattacapi. Quanti grattacapi possa procurare il lavoro del cronista, dipende non dagli oppositori di regime ma dalla demenza di chi (ad ogni livello ed in ogni ambiente) non sa difendere il lavoro dei cronisti seri, e il quotidiano granello di democrazia che quel lavoro serio porta alla mensa comune.
Ben tornato, Enzo Biagi. Ad insegnare che l'umiltà del cronista che lei ha sempre impersonato, è molto più alta delle dignità che si attribuiscono tanti, troppi fanfaroni che circolano nell'ambiente. E buon lavoro nel segno di un'informazione democratica necessaria (oggi più che mai) come l'ossigeno per la nostra vita politica.

Antonio Montanari


2491/18.10.2017