Viva la squola. (1)
«Barricati» dietro una cattedra
Ricordi scolastici (dolci ed amari) di quarant'anni fa

Ho cominciato ad insegnare a pieno titolo (ovvero con la laurea appena conseguita) proprio quarant'anni fa. Avevo già fatto due anni prima un'esperienza da docente, quando frequentavo la facoltà di Magistero di Bologna, sostituendo un'insegnante di Lettere trasferita nelle classi differenziali delle Medie, la cui sede era nelle storica residenza della famiglia Sartoni poi demolita per far posto al palazzetto dello sport, vicino allo stadio comunale.
C'era stata la riforma della Media unica, con un incremento considerevole di cattedre, mentre il personale disponibile con il titolo legale richiesto non era sufficiente a ricoprirle tutte. Al Magistero bolognese (nato nel 1955) giungevano offerte direttamente dai Provveditori che pregavano gli studenti di accettare anche le sedi più disagiate, in cambio di uno stipendio modesto che però era più dignitoso di quello d'un tempo, grazie al miracolo compiuto qualche anno prima da Amintore Fanfani. Da capo del governo egli non dimenticò di essere uomo di quella scuola da fame che c'era allora, e provvide a decretare un aumento consistente delle buste-paga del corpo insegnante. E pensare che noi studenti proprio in quegli anni cantavamo alla festa delle matricole una canzoncina nei suoi confronti che diceva: «Io son Fanfani, figlio di Biancaneve e dei Sette Nani», giocando sull'allusione al Biancofiore di democristiana memoria.

Poeti moderni?
Che scandalo
Quella supplenza del 1964 da studente fra studenti (con la preside che m'intimò: «Lei dica che è laureato, altrimenti non la rispettano»), cominciò a gennaio e terminò con l'anno scolastico. L'orario di cattedra prevedeva una prima classe della nuova Media ed un'altra del vecchio Avviamento professionale che concludeva la sua storia.
Due episodi mi sono rimasti impressi di quell'esperienza. Per spiegare il contesto storico-culturale di alcune poesie francesi dell'Ottocento, portai da casa il materiale illustrativo ed un registratore con cui ascoltare musica di Debussy. La sperimentazione didattica non fu gradita. La musica infastidì la preside che entrò in aula per chiedermi di abbassare il volume, e che in sede di scrutinio finale disse con malcelata amarezza: «Oggi fanno studiare anche la poesia moderna».
Il secondo episodio riguarda una vicenda che pur essendo grottesca e di nessun momento, creò uno scompiglio terribile. Una ragazzina della «mia» prima fece scivolare nel corridoio fra le mani di un coetaneo un bigliettino. La bidella si sentì autorizzata a sequestrarlo ed a consegnarlo alla preside, non tanto in nome delle leggi in vigore quanto per il rispetto delle consuetudini trionfanti che talora possono diventare norme da rispettare ad ogni costo, senza curarsi nemmeno del senso del ridicolo.

Il messaggio
sequestrato
La preside convocò la bambina, telefonò al padre segnalando la gravità dell'episodio, soprattutto in relazione al contenuto considerato pericolosamente lesivo della dignità istituzionale. Nel foglietto al centro dell'indagine (che avrebbe dovuto concludersi con un più che sacrosanto provvedimento di punizione, secondo la preside), si leggeva: «Se domenica mi vuoi baciare vieni al cinema di San Nicolò».
Il padre della fanciulla mi telefonò tra il preoccupato e l'irridente, sentendosi poi sollevato da una mia risata di commento. L'episodio finì in nulla quando dichiarai alla preside che giudicavo il fatto del tutto innocente e quindi da non colpire con una sanzione disciplinare. La preside s'arrese. Ed immagino che intimamente pensasse come le nuove leve di insegnanti fossero peggiori dei loro allievi. E che quindi non avrebbero potuto svolgere nessuna funzione educativa nell'Italia di domani. Come la signora ebbe modo di far intravedere agli scrutini di fine anno con un lungo monologo minaccioso al pari del cielo che scorgevamo alle sue spalle. Man mano che s'avvicinava il temporale, le sue parole diventavano sempre più nervose.
Fortuna volle che la riunione terminasse prima dello scatenarsi di una specie di diluvio universale. Feci in tempo ad arrivare a casa in bici. Cominciò a piovere a dirotto ed a tirare un vento dal mare che entrava in casa attraverso le doppie finestre spegnendo la candela resasi necessaria per l'interruzione dell'energia elettrica. Era una scena surreale per chi l'aveva immaginata ascoltando la ramanzina sulla vita di scuola, sugli obblighi educativi, e su altre cose che venivano fuori da un amarcord in cui mancava soltanto il tocco finale del salto del cerchio infuocato e del saluto al duce.

Beatles, Kruscev
ma anche Vietnam
Il 1964 è l'anno dei Beatles (altro che Debussy), ma anche della destituzione di Kruscev, della morte di Palmiro Togliatti e di Nehru, della visita di Paolo VI in Terrasanta, dell'elezione di Giuseppe Saragat a capo dello Stato al posto di Antonio Segni dimessosi per malattia, e delle prime rivolte studentesche nel campus dell'Università della California a Berkeley contro la guerra in Vietnam (iniziata nel 1962). Negli Usa mandavano a combattere gli studenti che avevano i libretti più bassi, mentre aumentava il malessere sociale denunciato da inchieste ufficiali: oltre il 40 per cento della popolazione viveva al di sotto della «soglia di povertà» e contemporaneamente crescevano le spese militari dello Stato. Nell'agosto del 1964 in risposta ad un attacco nordvietnamita ad unità navali americane nel golfo del Tonchino, il presidente Lyndon Johnson inizia il bombardamento di obiettivi militari nel Vietnam del Nord.
In Italia ci s'accorge in massa del problema due anni dopo, appunto nel 1966 con una canzonetta di Gianni Morandi: «C'era un ragazzo che come me amava i Beatles / e i Rolling Stone, girava il mondo ma poi finì / a far la guerra nel Vietnam... nel suo paese non tornerà / adesso è morto nel Vietnam...». Nella primavera del 1966 la questione più seria all'ordine del giorno nelle scuole è il caso della «Zanzara», giornale scolastico del liceo Parini di Milano. Il numero distribuito per san Valentino, raccoglie le opinioni di nove studentesse su vari temi (famiglia, morale, religione e sesso). Rifiutano, tra l'altro, l'autoritarismo dei genitori ed il «controllo dello Stato e della società sui problemi del singolo». Si preannuncia il «Sessantotto».

Il processo
alla «Zanzara»
Per molti studenti in quegli anni la cattedra rappresenta l'autoritarismo del predominio borghese. Per molti insegnanti, è la trincea da cui difendere la dignità di un'istituzione pubblica. Un po' dopo le frange più rumorose degli allievi e degli stessi insegnanti invocheranno l'abolizione fisica della cattedra, quale barriera al dialogo educativo.
Alla «Zanzara», ha osservato Diletta D'Amelio nella sua tesi di laurea in Scienze politiche (2003), collabora tra 1962 e 1966 Walter Tobagi, al ginnasio «prima solo occasionalmente, quindi, dal liceo, come redattore fisso, e infine come capo-redattore». Tobagi, divenuto giornalista al «Corriere della Sera», sarà ucciso la mattina del 28 maggio 1980 da un gruppo armato guidato da Marco Barbone.
Dall'articolo del giornale studentesco milanese nasce uno scandalo di portata nazionale che finisce in tribunale. Due documenti del tempo. Scriveva Miriam Mafai: «Il preside del Parini e i tre studenti sono rinviati a giudizio per il 30 marzo. Il 23, per la prima volta nel dopoguerra, migliaia di studenti scendono in piazza in segno di protesta. Gli imputati, difesi da alcuni tra i più noti avvocati italiani (Giacomo Delitala, Giandomenico Pisapia, Alberto Dall'Ora) verranno assolti, stabilendo quindi il principio che anche sui giornali scolastici è lecito discutere di sesso». Camilla Cederna osservava sul processo: «Da una parte il presidente Luigi Bianchi d'Espinosa, rappresentante l'indirizzo più moderno della magistratura ed estremamente sensibile allo spirito della Costituzione, e dall'altra il pubblico ministero Oscar Lanzi, definitosi da sé il rappresentante di un'era superata, appassionato parlatore e grande attore involontario».

Discussione
al Serpieri
Anche Rimini discute del caso. In quella primavera stavo svolgendo una supplenza di Filosofia al liceo scientifico Serpieri. Un gruppo di studenti m'interpella per una conversazione pomeridiana autogestita (l'aggettivo non era ancora entrato nel lessico studentesco). Ci vado volentieri, discutiamo a lungo con libertà ed amicizia. Poi alla fine, uno dei ragazzi della mia terza classe mi ferma: «Lei ieri ci ha dato un'interpretazione luterana di sant'Agostino». Mi mostra il quaderno degli appunti. Gli spiego che la frase tra virgolette non era un mio commento ma un testo dello stesso filosofo d'Ippona. Il giovanotto si giustifica: ha ricevuto l'imbeccata dell'appunto sugli appunti del sottoscritto da un mio collega di corso.
Qualche mese dopo sulla vicenda della «Zanzara» esce un libro di Guido Nozzoli e Pier Maria Paoletti. Vi si osserva che essa era «l'espressione di due Italie separate da un confine che risulta invalicabile». Sul quale c'erano le nostre cattedre. Del libro si legge oggi nel sito ufficiale del «Parini» che esso racconta «la cronaca esatta, fedele, di una vicenda esemplare del costume e della vita sociale italiana».
(1 - continua)

Antonio Montanari


1159/20.02.2006