Riccione, bagnanti in punta di penna Tondelli, la geografia letteraria della Riviera (1990) Nel 1990 una mostra sulla storia del turismo di Riccione per il titolo prese a prestito la frase con cui Aldo Fabrizi aveva iniziato un suo telegramma: «Ricordando fascinosa Riccione». Il catalogo presentò due lavori di Pier Vittorio Tondelli, lantologia «Un mare di cose da scrivere, lAdriatico» ed il saggio «Cabine! Cabine!» sulle «immagini letterarie di Riccione e della riviera adriatica». Nel 1985 Tondelli aveva pubblicato il romanzo «Rimini» e vinto il premio speciale della XXXVIII edizione del Premio Riccione Ater per il teatro. A ventanni da quella data leditore Guaraldi ripropone antologia e saggio in un volume arricchito da testi di Fulvio Panzeri (curatore dellopera) e di altri autori tra cui Rosita Copioli. La quale nella sua breve pagina racconta il primo incontro con Tondelli, «questo ragazzo ben educato, ancora quasi un tardo liceale, ancora unaria da oratorio», un «viaggiatore letterario» che inizialmente apparve come un inventore di fantasiose immagini proiettate su luoghi nei quali lei invece intravedeva i segni della «decadenza di oggi».
Dal borgo al lido moderno Dalle ricerche di Tondelli ricaviamo alcune curiosità e notizie. Sibilla Aleramo aveva visitato Riccione nel 1911 e vi ritorna nel 1947 scrivendo: «Allora era un umile minuscolo borgo, adesso le vie principali verso la spiaggia arieggiano quelle del lido di Venezia [
]». I prezzi sono «altissimi», ma la metà rispetto a Cortina. Giorgio Bassani ne «Gli occhiali doro» (1958) rievoca lepisodio di Benito Mussolini raggiunto a Riccione in spiaggia dalla notizia delluccisione del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. Un personaggio del romanzo racconta delle bestemmie del duce e delle sue lacrime che «gli rigavano le gote». (Era il tardo pomeriggio del 25 luglio 1934, ed i figli di Dollfuss si trovavano a Riccione ospiti di Mussolini.) Nel 1957 Guido Piovene descrive in «Viaggio in Italia» il dopoguerra allamericana, segnalando il matrimonio fra il cosiddetto materialismo emiliano, lamore della tecnica e «lavvenirismo pronto a ricevere nuovi stampi». Nel 1973 il giallista Giorgio Scerbanenco sottolinea le scene dei locali notturni riminesi, pieni di giovani, «tutti moderatamente ubriachi, ma che fingevano di esserlo di più per far chiasso».
Bicicletta, uneducazione Tondelli si divertì a documentare la «metafisica» delle navigazioni in bicicletta da Alfredo Panzini (1907), a Giovanni Guareschi (1941), a Cesare Zavattini (1961), con una citazione non geografica ma metodologica e storica di Ezio Raimondi, il grande e celebre italianista di Bologna: «
il ciclista era come un marinaio perché aveva una sensazione lenta e diretta dellaria come un luogo, come liquidità», quando la bici «era il primo segno della maturità» al pari dellindossare i calzoni lunghi, ed era una «educazione allo sforzo» con rigide regole da rispettare (la salita si faceva soltanto in piedi sui pedali mai poggiandosi al sellino
). Tornano i nomi di Pier Paolo Pasolini (al mare a Riccione nel 1930 ad otto anni con mamma Susanna che scrive inquiete ed inquietanti lettere al marito), di Filippo De Pisis e Giovanni Commisso, di Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Giuliana Rocchi, Nino Pedretti, per chiudere con Rosita Copioli e alcuni suoi versi del 1989.
Diagnosi e profezie Tutto questo fa da sfondo al volume che sintitola «Pier Vittorio Tondelli. Riccione e la riviera ventanni dopo». Le pagine che riguardano la figura di Tondelli permettono un approfondimento molto specialistico che però non impedisce continue derive sulla vicenda socio-economica dei nostri luoghi, come leterno tema del «fuori stagione», lo scontro fra «mito estivo» e «sogno invernale», per arrivare al «mito stanco» di Mattia Feltri («La Stampa», 21 agosto 2005), alla «stagnazione» certificata da Romano Prodi il 28 gennaio scorso su Rai3 ospite di Serena Dandini (e noi credevamo che si fosse trattato di uno scherzo dei cronisti
) ed alla profezia dello scomparso Gianni Fabbri: «Rimini è una città che ha un futuro se non dimentica di essere una città costruita su ciò che non cera». Tutto questo riepiloga Fabio Bruschi, ben documentato anche nelle note. Per la verità aggiungiamo soltanto che la città danteguerra aveva il suo dignitoso mercato turistico, quindi qualcosa «cera stato» anche prima delle bombe annientatrici non soltanto delle case.
Antonio Montanari 1133/Riministoria-il Rimino/Antonio Montanari Nozzoli/09.12.2005 |