Tra mito e luogo comune la «Rimini» di Tondelli
Per i 20 anni del romanzo un’edizione speciale di Guaraldi

A corredo di un servizio su «Rimini, mito stanco» (pensato e scritto da Mattia Feltri con troppa intelligenza per essere aderente alla realtà), «La Stampa» del 21 agosto 2005 ha inserito un box su come «Tondelli vedeva la regina della Riviera». Inevitabilmente, riecco Tondelli, veniva da sorridere. Lo scrittore di Correggio è stato cucinato in tutte le salse sui giornali in questo ventesimo anniversario dell’uscita del suo romanzo che ha per titolo il nome della nostra città.
L’occasione era ghiotta anche per noi: l’Amministrazione comunale ha accettato un’iniziativa dell’editore Mario Guaraldi per riproporre il libro di Tondelli in una versione speciale corredata di un repertorio fotografico e di una serie di documenti d’epoca, a cura di Fulvio Panzeri. Già il 9 luglio «Specchio», il supplemento della «Stampa» (n. 475), lo aveva rispolverato richiamando, in un breve riassunto dell’opera, quel «divertimentificio» che è stato croce e delizia della nostra costa. La stessa rivista il 27 agosto (n. 480) presentava un ritratto del cantante Luciano Ligabue da Correggio, citando Tondelli e la nostra città dove Ligabue ha ambientato il suo film «Da zero a dieci», e sottolineando che «in quella Bassa» per dire «vado al mare» si dice «vado a Rimini».

Tormentoni
di cronaca
Davanti al romanzo di Tondelli, si pongono due questioni. La prima è letteraria e riguarda una dimensione molto lontana dalla cronaca alla quale per cattiva abitudine tutto è ridotto o ricondotto. Letteratura significa andare a cercare le vere ragioni che si nascondono dietro le pagine o tra le righe. Il tormentone del «divertimentificio» appartiene alla cronaca. Tondelli voleva raccontare qualcosa che non troviamo citato quasi mai, e che lui condensa nell’episodio finale: l’arrivo in città di un vecchio professore per annunciare l’apocalisse imminente proprio sulla nostra costa. In essa il personaggio letterario identifica «la grande meretrice» che per le sue colpe «sarebbe stata consunta dal fuoco», mentre «il mare avrebbe sparso le sue rovine fumanti prima di rivoltarsi anch’esso».
La cronaca può accontentarsi di altre pagine, non meno significative, come quelle in cui un personaggio dice: «Diventavo grande e capivo che l’unica cosa che contava era far quadrare quei maledetti conti e poter pagare i debiti con la banca». Capitalismo era una parola da cancellare, ma in quegli anni molto proletariato divenne borghesia se non come classe sociale almeno come ceto economico. C’erano i soldi da fare o già fatti, i debiti da pagare rimandati o tirati per le lunghe perché l’albergo potesse crescere in dimensione, aggiungendo cubature al piano, o alzando l’edificio nel silenzioso disordine dell’urbanistica del tempo. «Ho fatto i soldi?» dice il protagonista di una poesia di Raffaello Baldini: «e aloura? am so rangè, fintént ch’u i è di patàca».

Tra cultura
e propaganda
Inevitabilmente il miraggio della cronaca riconduce alla piazza grande della Storia, lungo il cammino della Letteratura. Per cui alla fine resta da chiedersi: che cosa c’entra tutto l’immaginario di Tondelli con la propaganda turistica? Il nostro pigro ed inutile interrogarsi è suffragato dalle tesi di Enrico Calandri che ha scritto per Laterza il saggio «Pier. Tondelli e la generazione». In un’intervista a Paolo Di Stefano del «Corriere della Sera» (28 agosto), Calandri ha spiegato la complessità del discorso sul narratore di Correggio, un «prigioniero» del natìo borgo per il quale l’Emilia era «il centro del mondo», e che di conseguenza avverte un bisogno di emancipazione. E sullo sfondo Calandri ricorda l’educazione ricevuta da genitori, maestri professori di cui fa tutto un mazzo di «fascisti che avevano orrore della diversità e della differenza». Efficace e riassuntivo il titolo dell’intervista: «Noi di Tondelli, generazione perduta. ‘Libertini contro genitori fascisti, poi traditi dal terrorismo’».
Ma ricordiamoci, di passaggio, che in quegli anni era considerato «fascista» chiunque non militasse nell’ala estrema della Sinistra. Autorevole ed inconfutabile conferma l’ha data il prof. Edoardo Sanguineti allo stesso Paolo Di Stefano («Corriere della Sera», 31 agosto) parlando del Sessantotto, con una velenosa aggiunta: «Mi pareva l’aggressione di giovani piccolo-borghesi che poi infatti sarebbero finiti tra terrorismo e berlusconismo».
Nell’edizione riminese del 2005 del testo di Tondelli si sono documentate l’attività turistica e la vita da mare ricorrendo ad una serie di belle immagini di Davide Minghini, Marco Pesaresi e Federico Compatangelo. Ma qui si pone il problema: le foto servono al testo, anzi servono il testo, perdendo quella loro autonomia di documento degno di essere considerato in quanto tale. Non certo lo scritto Tondelli spiega le istantanee. (Le quali appaiono senza la firma, per cui occorre andare ad un indice del colophon.) Avremmo preferito che fossero impaginate a parte, per rispettare la loro dignità artistica che richiede appunto quell’autonomia di lavoro che anche il fotografo merita. (Si veda al proposito la mostra torinese su «Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005» con catalogo curato da Uliano Lucas.)

Antonio Montanari


1106/Riministoria-il Rimino/Antonio Montanari Nozzoli/4.9.2005