Che tempo faceva nel 1700, dottor Bianchi?
Un libro tutto «riminese» pubblicato a San Marino

Lo scorso 7 aprile è stato presentato dall'Università di San Marino il volume di Carlo Verducci su «Clima e meteorologia nel Settecento» che prende in considerazione l'operato del medico Giovanni Bianchi, il celebre Iano Planco vissuto a Rimini fra 1693 e 1775. Il testo fa parte della «Collana sammarinese di studi storici», di cui è il n. 24, fondata da Sergio Anselmi e diretta da Ercole Sori. Verducci, dirigente di Scuola media e collaboratore di Storia economica nell'Università politecnica delle Marche, ha fatto con questo libro un bel dono alla cultura riminese.

Documenti
inediti
L'opera, tutta incentrata sulla figura e la molteplice attività scientifica di Bianchi, contiene una paziente ed accurata biografia (aggiornata a quanto apparso a stampa), offrendo altresì materiale inedito per quanto riguarda alcune cose di Planco conservate nella nostra Gambalunghiana. Faccio un esempio (non riguardante però la meteorologia) che fa venire l'acquolina in bocca a chi si occupa di vicende planchiane o del Settecento italiano a vario titolo e non soltanto in sede locale: Verducci propone dal manoscritto 974 l'elenco dei corrispondenti di Bianchi, e quello delle opere di Bianchi curato da un altro Bianchi, il bibliotecario Antonio.
Come si comprende facilmente, il lavoro di Verducci è destinato non soltanto agli specialisti del settore a cui si riferisce il titolo, ma può coinvolgere una platea più vasta, alla quale risulterà sommamente gradito per la documentazione che produce.
Insomma, è un bel libro «riminese» del quale dobbiamo ringraziare non soltanto l'autore ma anche il Centro sammarinese di Studi storici che lo ha pubblicato per conto dell'Università del Titano. Auspichiamo che esso abbia una presentazione istituzionale nella nostra città dalla quale provengono come si è detto i documenti pubblicati.

«Filosofo
naturale»
Bianchi da perfetto «filosofo naturale» studia tutti i fenomeni fisici, dal moto del mare all'andamento climatico. Egli scrive al proposito: «Le osservazioni che ho fatte quasi per due mesi continuamente portano che il maggior accrescimento, e abbassamento dell'acque sia intorno il novilunio; il plenilunio non ha nulla di nuovo, così nemmeno il solstizio. [...] Ho osservato che l'acque nel tempo che stanno per crescere o per calare, o per puntare come dicono i nostri marinai, si fermano ordinariamente per un'ora senza andare innanzi, o indietro, e alle volte si fermano due, o tre ore spezialmente quando il mare è alquanto fluttuante». A questo punto Planco propone di chiamare «acquistizio» tale fase.
La parola è un neologismo, come osservano le «Novelle letterarie» di Firenze (I, 27, 1 luglio 1740, col. 426), rimandando al testo di Bianchi che la conteneva, il «De conchis minus notis liber», Venezia 1739, relativo ai Foraminiferi. Questo testo assume importanza europea, spiegano le stesse «Novelle» fiorentine (IV, 15, 12 aprile 1743, col. 229): qui leggiamo che Bianchi per le sue scoperte in questo campo venne definito «Linceo» da Gian Filippo Breynio, professore di Storia Naturale in Danzica.

Dalla casa
al porto
Come spiega Verducci, «le osservazioni vanno avanti tra difficoltà di vario genere», ben raccontate dallo stesso Bianchi. Ci sono fatti oggettivi: la distanza dalla casa di Planco, vicina al Tempio, sino al mare, «intorno un miglio e mezzo»; il cattivo tempo che rende impraticabile la sede stradale a cui i pubblici amministratori non badano. Vengono indicati da Bianchi anche gli elementi personali: le malattie del medico, o la lontananza di quegli studenti che lo aiutavano nei rilevamenti.
Importante, sotto il profilo storico generale della città, è quest'osservazione offertaci da Verducci in base alle pagine planchiane che raccolgono i dati di un quinquennio: «Nel corso degli ultimi secoli a Rimini il mare si è ritirato di almeno milletrecento piedi, come si può dedurre dalla distanza che, nei primi decenni del Settecento, separavano le mura e la torre dell'antico porto dalla spiaggia. Molte terre sono state pertanto recuperate agli orti e alla coltivazione dei cereali. Il ritiro del mare è ancora più evidente a Ravenna».

Un vento
per Venezia
Verducci documenta il metodo seguìto da Bianchi e le sue conoscenze e letture in argomento, riportando da testi a stampa, da manoscritti e dall'epistolario. Significativa è l'attenzione manifestata attorno ai venti. Quello detto «vulturnus» d'estate soffia da sud-est dal mezzogiorno sino al tramonto del sole, favorendo le imbarcazioni che fanno vela verso Venezia. D'inverno invece c'è generalmente l'«africo», da sud-ovest. E, a proposito dell'attività marittima riminese, non manca anche in Verducci un accenno al problema del porto che affannò in lunghe discussioni e contese la nostra città su come risolvere l'insabbiamento del canale.
Nell'appendice di documenti che costituisce la seconda parte del volume, si toccano vari temi: la «tosse convulsiva» dei fanciulli (1728), l'epidemia di febbri con petecchie (1734), l'epidemia bovina (1738), e soprattutto per quanto riguarda l'osservazione delle condizioni del mare, la «mucillagine» del 1729.

Mucillagine
già nel 1600
Nel fondo, scriveva Bianchi, il mare è ripieno di una «materia viscida, e d'erbe moscose, per cui i pescatori tutti impegnano, e caricano le loro reti facendo una fatica immensa nel tirarle a sé senza poi trovarci dentro, se non se pochissimo, o nulla di pesce, onde sono disperati perciocché fanno infinita fatica, consumano le reti, e il tempo senza profitto».
Bianchi auspica che il clero dispensi la popolazione dal rispetto delle «vigilie comandate»: così scrive il primo settembre 1729 a mons. Antonio Leprotti che era a Roma.
Quale la causa della malattia del mare? L'«immondezza» portata in mare nell'inverno precedente dai fiumi in piena per le «molte acque» cadute. L'opinione dominante («tutti credono», annota Planco) era che la mancanza di fortunali gravi e di tempeste non avesse permesso una ripulitura dell'acqua. Ma a Chioggia, dove l'inquinamento era minore che a Rimini, proprio una tempesta ha prodotto l'effetto contrario peggiorando le condizioni dell'Adriatico.
Il fenomeno non era considerato una novità: «Dicono che cinquanta, o sessanta anni sono fosse in mare una cosa simile ma minore. E tutti i pescatori ora altro non bramano che succedano delle tempeste».

Allagamenti
e carestia
Infine, le «Memorie Ariminesi» di Ubaldo Marchi raccontano l'allagamento provocato da un «vento impetuosissimo tra Greco, e Tramontana» la mattina del 20 novembre 1763.
Il 1763 è l'anno in cui si scoprì «all'improvviso una grandissima penuria di molti generi necessarj al vivere umano [...] tanto che minacciava un'imminente carestia», come testimonia un altro cronista, Ernesto Capobelli: la raccolta di grano fu «scarsissima», al pari di quella dell'oliva e dell'uva. La Diocesi di Rimini, compresa la città, contava 67.374 anime, diecimila in più rispetto al 1738, e 3.518 in più nei confronti del 1755.
Nello stesso 1763, prosegue Capobelli, «si riaprì in più parti dell'Italia il comercio, e furono date moltissime commissioni di incettare grani, formentoni, ed altri generi [...] di modo che rimasero vuoti tutti li Magazzini di Roma, de' due Regni della Sicilia, dello Stato Fiorentino, e della fertilissima Provincia Anconitana».
Il «gastigo» della carestia nel 1764 spinse a Roma «milliaia di poveri» dai paesi vicini, «forzati a ricoverarsi dalla Fame». Nella città del Papa essi erano ospitati a spese dell'Erario, in due «serragli»: alle Terme, gli uomini, ed alla Bocca della Verità in Campo Vaccino, le donne. Tra quest'ultime serpeggiò un'epidemia di vaiolo.

Antonio Montanari


1043/Riministoria-il Rimino/Antonio Montanari Nozzoli/20.4.2005