il Rimino - Riministoria
Benvenuto Pasquino!

È nato un nuovo periodico on line, appunto «il Pasquino», in cui si raccontano verità che evidentemente non possono trovare posto sulla carta stampata.
Renzo Casali nel n. 2 di agosto (dopo un debutto sotto lo pseudonimo di Silvio Bellico nel n. 1 con un articolo alquanto criptico e pertanto decisamente oscuro: «Dedicare l'intera esistenza a qualcosa è sempre lasciare tanto di altro»), parla chiaro: per Rimini il futuro non è nella città malatestiana o felliniana ma in quella metropolitana:
«La Rimini che non c’è: chiamiamola per nome.
Una città né malatestiana né felliniana, ma metropolitana.
Non dobbiamo illuderci. La vita di una comunità, paese, città, si fonda anche sugli eventi più significativi che nel tempo l'attraversano, la coinvolgono; che si sedimentano nel suo vissuto e, sopra tutto, genereranno effetti sul suo futuro, a lungo, anzi per sempre.
Giorno per giorno il percorso della comunità sembra più dettato dalla casualità e da coincidenze del presente; in realtà molto è determinato e tracciato già da ieri.
Senza rifare la storia del dopoguerra riminese - né, per carità!, andare più indietro - sono convinto che il nostro grande albero cittadino lì ha le sue radici più profonde; o, se preferite, il fisico che ci ritroviamo oggi vive con il DNA formatosi in quegli anni, e le linee del futuro di questo angolo d'Italia sono già tracciate. Affermazione che apparirà supponente, ma non sottovalutate la visione pur particolare di uno che qua c'e sempre vissuto, ha operato, visto e assimilato tutto dal vivo, immerso nel vivo.
Nel mio personale globo della chiaroveggenza vedo, ben nette, immagini che configurano una certa Rimini & Co.; quello che sembrava essere solo uno slogan promozionale - ormai quindici anni fa - che non piaceva nemmeno a me, e che invece ora appare come una chiara premonizione.
Vedo che Rimini non può essere più per nessuno solo l'indicazione di una città (né 'malatestiana', né 'felliniana' - la pubblicità turistica è altra cosa), bensì di un'area metropolitana vera e propria, come ne esistono ovunque nel mondo. anche con connotazioni turistiche; una metropoli magari fra le piccole (e d'estate nemmeno tanto) ma comunque grande agglomerato di realtà multiformi, complesse sicuramente.
Per essere chiari ed esemplificativi, dire 'sono stato a New York', o a Los Angeles, Londra, Pechino....non significa granché: Manhattan o il Bronx, Santa Monica o Venice, Soho o Brixton...non sono proprio realtà assimilabili se non che hanno in comune il divenire di un territorio.
Se dei nostri quattro lettori almeno tre diranno 'è scontato', ribadirò che dietro le affermazioni non sempre c'è piena consapevolezza. E' infatti ciò che manca (a guardarsi intorno) a noi riminesi, riccionesi e bellariesi e...
Proprio il non aver assimilato fino in fondo il concetto è ciò che oso contestare ai vari soggetti locali d'ogni livello e ruolo (istituzioni, politici che contano, operatori e imprenditori turistici e non, opinion-leaders, stampa, ecc.), di non pensare e muoversi più di tanto in quest'ottica.
E tutto ciò mi pare una chiave fondamentale per il futuro, un versante da optare per aver finalmente più chiaro un percorso, per pianificare attività e promozione, per puntare la prua in linea retta piuttosto che bordeggiare o zigzagar in tondo». (Renzo Casali)

Notevoli i due lavori di Claudio Costantini: il primo, «Una città senza opposizione», il secondo «La via riminese delle mani sugli occhi» che ha questo sommarietto: «Minimizzare i problemi, spostarli di piano, far finta che non esistano, pensare di essere sempre nel giusto - e naturalmente chi sbaglia sono sempre gli altri - questi sono i metodi e i comportamenti imperanti e ben collaudati per permettere ad ognuno di fare i propri comodi». Li riproduciamo entrambi.

Il Pasquino
Via del Biancospino, 44 - 47900 Rimini (RN)
Email: [email protected]
ANNO 1 - NUMERO 1 - GIUGNO 2004

Una città senza opposizione

La materia oscura si sa che esiste, ma nessuno sa dov'è, come si manifesta, qual è la sua influenza su tutto ciò che è visibile. Elemento indispensabile ad ogni dietrologo che se ne serve per azzardare tesi e dimostrare ipotesi.
"Un afflusso di denaro fresco riempie le 188 filiali delle 32 Banche presenti sul territorio. Ce n'è quanto basta per vivere tranquilli e se anche alcuni terreni lievitano il proprio prezzo da 700 milioni a 30 miliardi, la matton-economy must go on"


Centocinquantamila abitanti una città, Rimini, di medie dimensioni, di seconda fila, un posto condiviso con molte altre in Italia. Una città "ben levigata" come direbbe Marcuse, senza opposizione reale, un unico governo politico, imprenditoriale, affaristico ben oliato e funzionante. C'è posto per tutti e per tutto anche per il dissenso che ha un suo spazio, una sua visibilità. Una cinquantennale pratica di consociativismo garantisce che, se anche non diverrà aperto consenso, si normalizzerà quando gli sarà concesso una parte anche piccola del potere economico, mediatico, culturale, spesso basta qualche spicciolo. Questo non impedisce un certo progresso, una qualche dinamicità della nostra economia, non siamo né più né meno di altre città italiane.
Migliaia di alberghi cingono come una cancellata la costa e garantiscono con il turismo un afflusso di denaro fresco che riempie le casse delle banche: 32 con 103 filiali solo nel Comune di Rimini, 188 nell'intera provincia. Sono migliaia gli addetti che lavorano nell'indotto generato dall'industria dell'ospitalità, centinaia le imprese piccole e medie che forniscono servizi, prime fra tutte quelle edili. Ce n'è abbastanza per star bene. Siamo una città di "sinistra", negli ultimi anni di centro-sinistra, con una leadership ben ramificata che dispone di strumenti appropriati per mantenere più che generare consenso.
Ai tempi in cui si fronteggiavano Palazzo Garampi e la Cassa di Risparmio ovvero i Social Comunisti e la Democrazia Cristiana vi era una divisione dei ruoli, formale fin che si vuole, ma con una connotazione comprensibile ai cittadini: i linguaggi erano diversi, la sostanza assai meno. Questo non impediva di tessere reti di complicità e nessuna scelta importante tanto meno urbanistica era fatta senza il consenso sostanziale dell'opposizione. Dalla caduta del muro e poi con il disfacimento della DC e del PSI sono scomparse anche le distinzioni formali e il passo per costruire un unico grande 'partito' di governo dell'Amministrazione è stato breve. Un'operazione che, in assenza d'opposizione, non ha fatto altro che portare alla luce del sole quello che si teneva ben nascosto: il consociativismo. Termine che se associato alla trasparenza non ha significato pregiudizialmente negativo. Un ampio schieramento che spazia dall'ex DC fino ai Verdi e Rifondazione Comunista siede sui banchi della maggioranza, ognuno in cerca di una sua visibilità che ottiene con piccole fronde o diventando paladino ora di questo, ora di quel gruppo, difendendo gli emigranti, le discoteche piuttosto che i bagnini o i commercianti. I contrasti comunque non sono mai stati di tale portata da non ottenere una contropartita e permettere una certa coesione della maggioranza.
Le banche, i grandi costruttori, l'associazione industriale, per vocazione attratti dai partiti del "centro clericale", hanno seguito, con una scelta pragmatica derivata dall'uso prolungato del denaro, la loro rappresentanza politica nell'attuale maggioranza che governa la città e la provincia. Ognuno ha conferito la sua parte: banche, utility comunali, sindacati, associazioni di categoria, enti. Verdi e Rifondazione garantiscono una protesta entro i limiti e assicurano il loro leale appoggio purché, naturalmente, sia rispettato il programma. I giornali? ... nemo propheta in patria. In presenza di una maggioranza che si fa all'occorrenza anche opposizione, alla minoranza rimane assai poco. E quel poco le basta. Dando così la sensazione di non avere alcuna intenzione di candidarsi veramente alla guida dell'amministrazione. In anni in cui il consenso non si ottiene più con le parole dell'ideologia, dei programmi e delle riforme, è difficile poter pensare ad un'alternativa sempre che la si voglia. E al cittadino tutto sommato gli va bene così.
La città è abbastanza ben amministrata, i servizi funzionano, le opere pubbliche vanno avanti, il turismo tiene, il Sindaco, secondo i sondaggi, è uno dei più "amati" dai propri cittadini Alle volte si domanda chi decide sul futuro della città, quali saranno i criteri dei piani di sviluppo, quali i terreni edificabili e quali no, magari perché un'area dalla sera alla mattina passa da un costo di 700 milioni a 30 miliardi, chi in fondo detiene il potere? Domande accademiche che ci si fa senza aver la pretesa di ottenere una risposta. Le persone si conoscono, non sono invisibili, lo sono invece i rapporti le interconnessioni affaristiche in grado poi di influenzare le scelte urbanistiche e gli investimenti. Vi sono però anche persone che fanno bene il proprio lavoro: queste credono nella loro città e puntano sulle imprese produttive più che agli investimenti finanziari, ad un'urbanistica che sappia coniugare sviluppo e qualità di vita.
Un lavoro difficile il loro, ma fortunatamente non hanno ancora tirato fuori la bandiera bianca. Certo una convinta opposizione farebbe bene a se stessa, alla maggioranza e soprattutto alla città. (Claudio Costantini)

Il Pasquino
ANNO 1 - NUMERO 2 - Agosto 2004
La via riminese delle mani sugli occhi
Minimizzare i problemi, spostarli di piano, far finta che non esistano, pensare di essere sempre nel giusto - e naturalmente chi sbaglia sono sempre gli altri - questi sono i metodi e i comportamenti imperanti e ben collaudati per permettere ad ognuno di fare i propri comodi

Sono molti i poteri in una città che ne determinano lo sviluppo ed ognuno segue una propria logica, quasi mai quella del “bene comune” e spesso nemmeno quello dell’intelligenza e della razionalità. C’è chi pensa al consenso, chi alla carriera, chi al profitto immediato chi, come il semplice cittadino, alla strada sotto casa, chi al lettore medio, chi al numero di anime, chi ai clienti del proprio albergo... Tutte preoccupazioni legittime in se stesse, ognuno fa la sua parte, ma spesso conflittuali al punto da rendere impossibile qualsiasi intervento per risolvere anche semplici richieste di normale amministrazione, come parcheggi, viabilità, inquinamento acustico… Minimizzare i problemi, spostarli di piano, far finta che non esistano, pensare di essere sempre nel giusto - e naturalmente chi sbaglia sono sempre gli altri -, questi sono i metodi e i comportamenti imperanti e ben collaudati per permettere ad ognuno di fare i propri comodi. Quando i problemi poi vengono al pettine tutti si affretteranno a pronunciare la fatidica frase, ipocrita e liberatoria: Io ve lo avevo detto!

L’Immagine e la sostanza

E il problema principale è la crisi del nostro modello di far turismo, non del turismo, sia ben chiaro. Sono spariti sulla riviera negli ultimi anni circa un migliaio di alberghi e le presenze di coloro che vengono in vacanza calano con percentuali a due cifre. La crisi delle nostra economia turistica non ci è piombata addosso da un momento all'altro, sono almeno due decenni che la competitività della riviera cala inesorabilmente. Ce la siamo sempre cavata, con perdite tutto sommato limitate, ma non per merito nostro. Crisi internazionali ricorrenti nell'Adriatico e nel Mediterraneo, guerre, epidemie e quant'altro hanno continuato a dirottare flussi di turisti verso le coste romagnole. Poi le fiere , i congressi e i parchi tematici hanno rimpiazzato in termini di presenze quello che l'estate perdeva. Si è lavorato molto sulla sovrastruttura del divertimento, degli eventi, dell'effimero, degli slogan, ma questi tanto più valgono, se sono legati sinergicamente ad una struttura economica industriale che funziona. Altrimenti sono soldi buttati al vento... e di miliardi ne sono stati spesi. La nostra riviera, ormai è noto a tutti, deve il suo passato successo, all'accoglienza, all'inventiva di piccoli imprenditori, al lavoro stagionale, ma anche al clima di festa, alla relativa sicurezza, ai servizi, ma soprattutto ai prezzi bassi uniti ad una discreta qualità del cibo e del soggiorno. Mentre la Rimini degli eventi, dell'effimero, della kermesse, ha fatto passi avanti, ottenendo alle volte buoni successi d'immagine, quella dell'imprenditoria turistica non è riuscita a trovare una strada per vincere la competizione del mercato. Ci siamo mai chiesti perché i turisti continuavano ad arrivare, anche se non come negli anni d'oro, nonostante le mucillagini, il degrado visibile della nostra offerta e dell'ambiente della marina? E sempre più enti, ditte, partiti, associazioni sceglievano Rimini per congressi e fiere? La risposta è fin troppo evidente: i nostri prezzi erano sempre stati contenuti e concorrenziali. Alla nostra industria turistica per molti aspetti obsoleta e frammentata, sono venute a mancare quelle sinergie fra imprenditorialità, lavoro, comparti agroalimentari, investimenti, fiducia nel futuro che hanno prodotto nel passato un modello di sviluppo da imitare. Centinaia d'alberghi sono stati trasformati in residence che producono solo rendita e non lavoro ed investimenti. E’ venuta a mancare quella massa critica di aziende che poteva permettere una dinamica concorrenza e la possibilità di fare sistema e quindi risparmiare sui costi.

Il “mercato” come optional

La speculazione edilizia ha portato i prezzi degli immobili, anche modesti, ubicati nelle zone "pregiate" - e gli alberghi sono tutti vicino al mare - a cifre stratosferiche. Quindi gestire un hotel diventa assai poco conveniente, a fronte dei miliardi ottenuti con la vendita. In questi ultimi due anni, poi, con l’euro, unito alla furbizia dei nostri gestori del commercio, ha portato il costo di una stanza, pernottamento e piccola colazione agli stessi livelli di Roma o Berlino, per non parlare dei pub e dei ristoranti che hanno raddoppiato i prezzi senza nessun aumento della qualità e del servizio. Mangiare il pesce, quasi sempre di allevamento e congelato, è diventato proibitivo. Il costo del conto per una cena di tre persone, in ristoranti con servizi penosi è pari ad un soggiorno di una settimana sul mar Rosso. Ma anche le così dette trattorie tradizionali, famose per il buon mangiare e l’abbondanza delle portate si stanno allineando all’andazzo generale. Naturalmente ci sono le eccezioni, ma sono rare come prima erano assai pochi i luoghi dove non vi era un equilibrio fra qualità e prezzo. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: meno clienti, meno guadagno, meno lavoro, minor crescita dell’economia. Un fenomeno preoccupante dagli esiti infausti che non si vuol accettare nella sua realtà, si preferisce chiudere gli occhi e dar la colpa a chiunque altro, ma non a noi. Si minimizza, perché affrontarlo seriamente scontenterebbe molte corporazioni (vedi articolo altra parte del Pasquino n. 2) sia quelle legate alla maggioranza, sia quelle rappresentate dall’opposizione che da noi sono, più o meno, la stessa cosa. Il mercato con le sue leggi ferree, prima o poi farà comprendere la via da seguire. Un tempo riuscimmo a capire in anticipo le tendenze ed i bisogni della società, nel nostro caso quelle del necessario svago e della vacanza, ormai bisogno primario per milioni di cittadini del mondo industrializzato. Abbiamo davvero perso questa intelligenza, la voglia di fare, di lavorare, di rischiare? C’è poco tempo ormai per la verifica. Nel frattempo ci stiamo impegnando alacremente sulla sovrastruttura dell’immagine, finanziata quasi esclusivamente dai soldi pubblici. Si rischia poco, non si scontenta nessuno… Ed al futuro? Ma il futuro siamo sempre noi, perché diremo al giusto momento: noi ve lo avevamo detto…. (Claudio Costantini)



980/Riministoria-il Rimino/Date created: 23.08.2004 Last Update: 23.08.2004/Rev grafica 13.07.2017
http://home.tele2.it/antoniomontanari/ilrimino/2004/980.pasquino.html