il Rimino - Riministoria
Ma i miracoli non sono leggende
I «misteri romagnoli» secondo Marco Valeriani

Dedicata ai misteri ed alle leggende di «Romagna e dintorni», l'agenda 2003 dell'editore riminese Pietroneno Capitani racconta, come dice la presentazione dell'autore Marco Valeriani, un «patrimonio popolare» con lo scopo di far conoscere «un po' più da vicino il passato e il presente delle nostre comunità».
La materia è varia. Spazia dal drago di Belvedere (1300) in apertura di volume, alla conclusiva «scoperta» della canoa di Mussolini (1995), dopo aver toccato vari territori geografici e mentali.
Le curiosità approdano a queste pagine di Valeriani dalle più diverse fonti di Storia e di cronaca. Non mancano le citazioni illustri.
Da Montefiore spunta il nome di quel matto di Gabriele Rossetti (1783-1854), carbonaro e (soprattutto) massone, noto per le sue strampalate interpretazioni del poema dantesco, e questa volta responsabile dell'invenzione secondo cui l'Alighieri sarebbe stato rappresentato dal Boccaccio nei panni di Tebaldo degli Elisei, reo di omicidio che viaggiando per forza in incognito si faceva chiamare Filippo da San Lodeccio. Un Eliseo è fratello dell'avo Cacciaguida (Pd., XV, 136-138). La coincidenza però non è una prova per certificare il discorso di Rossetti.
Alla fantasia di Rossetti s'è oggi sovrapposta la 'certezza' che quel Filippo da San Lodeccio dalla città d'Ancona di Boccaccio passò alla Romagna malatestiana, per cui (non si sa in virtù di quale legame logico o fattuale) a Montefiore sarebbe stato rappresentato in affreschi del Quattrocento, con aspetto ben riconoscibile per il suo naso «difficile da dimenticare».
Da Savignano invece arrivano odori sulfurei grazie alla biblioteca dei Filopatridi (che tuttavia non per questo è un covo diabolico, anche se ha densi fumi massonici), dove si dice rinvenuto uno scritto del 1965, siglato «R. C.» e relativo ad un Crocifisso dipinto «demonis manu».
Perché a Valeriani non sia stato spiegato che quel «R. C.» è la sigla di un grande studioso della religiosità popolare romagnola come Romolo Comandini (elogiato ed apprezzato pure da Augusto Campana), lo comprendiamo bene pensando ad analoghi precedenti. L' archivio di Comandini (da lui lasciato ai Filopatridi), è stato ripetutamente saccheggiato, e le sue carte raccolte con fatica sono state presentate come felici e casuali scoperte da parte di chi non voleva riconoscere gli altrui legittimi meriti, impossessandosene fraudolentemente.
A proposito di diavolo. Le pagine sulla Valconca presentano figure settecentesche di animali con una sola testa e due corpi, forse considerate sataniche, mentre appartengono a più pacifici (anche se, allora, controversi) testi scientifici sui mostri.
Valeriani si è documento con coscienza ed entusiasmo, ed il lettore gliene deve essere grato, dopo però aver messo in un proprio indice tutto particolare alcune parti che meritano un'attenzione diversa e più cauta in chi consulta il volume. Ci riferiamo alle pagine su prodigi e miracoli, e quindi sulla vita religiosa. Inevitabilmente, anche per gli spazi ristretti dei testi, tra un massone che trucca Dante e la civetta che «protegge dalle forze del male» (sempre in quel di Montefiore...), l'antologia mescola il tutto senza troppe distinzioni.
Prodigi e miracoli sono realtà del tutto differenti dai fantasmi ad uso delle Pro loco, e dei pesci «strani» avvistati sulla costa dal 1600 ad oggi. Comunque esposti, prodigi e miracoli raccontano bene il bisogno di sacro delle nostre popolazioni, pure se a volte quella religiosità in alcuni può assumere le sembianze di una superstizione che però non dobbiamo mai mettere incautamente nel semplice calderone folcloristico.
Anche nella Romagna degli antichi eretici e mangiapreti (o forse per questo) avvenivano miracoli, come insegna la vicenda esemplare di Antonio da Padova e delle sue predicazioni proprio nella nostra città, qui puntualmente riportata da Valeriani.

Pietro Corsi


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