il Rimino - Riministoria

Quella Rimini di «Foto Minghini»
Per le «Immagini dall’archivio» anche un ricco catalogo



Minghini e Fellini sul set di Amarcord

Per la mostra «Davide Minghini fotografo in Rimini, immagini dall’archivio» (Palazzo del Podestà, piazza Cavour, sino al 30 novembre), Oriana Maroni con la collaborazione di Nadia Bizzocchi ha progettato e realizzato un prezioso catalogo che non soltanto illustra l’attività dell’indimenticabile cronista ed artista dell’obiettivo, ma racconta una fetta di storia cittadina, anche attraverso i numerosi scritti dovuti a ben quindici autori di diversa specializzazione.

Minghini nasce a Rimini nel 1915, figlio d’arte. Suo padre Gualtiero è titolare di uno studio fotografico in via Garibaldi. Chiamato alle armi, è assegnato al Reparto foto-cinematografico dell'Aeronautica militare di stanza a Roma. Nella capitale dopo il congedo s’impiega come fotoreporter nell'agenzia giornalistica fondata dal giornalista e scrittore riminese Giuseppe Massani. Nel 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia, è richiamato al Reparto foto-cinematografico, e lavora con le squadre che operano sul Mediterraneo.

Rientrato a Rimini dopo l'8 settembre, si associa al fotografo Ulisse Conti e comincia ad esercitare la professione facendo ritratti ai soldati alleati che hanno liberato la città. Nel 1947 apre il primo studio in proprio, in corso D'Augusto 53. Nel 1955 inizia a collaborare con il quotidiano bolognese «il Resto del carlino» che ha una redazione locale. Per l'Azienda di soggiorno produce nel 1963 e nel 1964 due diverse edizioni di un cortometraggio a colori intitolato «Rimini riviera», presentato con successo in manifestazioni turistiche internazionali. Nel 1971 si tiene la sua prima mostra personale nel Palazzo del Podestà, a cui seguono nel 1973 «Minghini e l'Amarcord di Fellini» e nel 1983 «Tatarcord. Percorsi felliniani nelle immagini di Minghini».

Muore a Rimini il 7 novembre 1987. La moglie, signora Tina Brigliadori, nel 1995 ha consegnato alla Città tramite la Biblioteca Gambalunga l'immenso patrimonio di immagini prodotto dal consorte dal dopoguerra sino agli anni Ottanta. Si tratta di mezzo milione di immagini, ora in corso di catalogazione.


Diario sentimentale

La mostra attuale è un primo assaggio di quell’archivio, che la stessa Gambalunga ha voluto offrire ai concittadini, tralasciando la parte della cronaca giornalistica, e soffermandosi invece «sullo sguardo più libero e spontaneo dell’autore». Le sezioni sono due, una intitolata «Diario sentimentale di un riminese», e l’altra «Per il film» che per antonomasia è l’«Amarcord» felliniano, racconto fra realtà e fantasia del mondo riminese anteguerra.

In questa seconda sezione ci sono anche numerosi scatti che ritraggono i volti di alcuni riminesi, tra cui (a pag. 160, terza immagine dall’alto) la signorina Matteini che nel film doppia la voce dell’attrice che impersona «la Dora» nella scena del passaggio sul corso d’Augusto della carrozza con le «sue» ragazze. La Matteini era conosciuta a Rimini per essere stata la cassiera del Supercinema (ex Cinema Savoia). Abitava nel Borgo San Giovanni, lato monte, e trascorreva negli ultimi anni interi pomeriggi dietro la finestra del suo salottino che s’affacciava sul marciapiede, a vedere passare la gente.

Per chi coltiva la passione delle memorie cittadini suggeriamo, oltre ovviamente a visitare la mostra, anche di leggere il catalogo apparso per le edizioni dell’Istituto dei Beni Culturali regionali di Bologna, con il contributo della Fondazione Carim di Rimini. Vi si troverà una serie di pagine interessanti: ora commosse ora ironiche, altre volte saggistiche. Ognuno potrà secondo le proprie preferenze personali soffermarsi di più su questo o quell’autore. Al cronista tocca il compito non di dare voti o di esprimere gusti soggettivi, ma di segnalare il risultato globale di un’impresa che, alla accuratezza scientifica delle descrizioni e delle catalogazioni, accompagna i tratti elegantemente letterari di prose costruite con una chiarezza non sempre espressa in simili imprese.


Un nomade frenetico

Oriana Maroni ben coglie i tratti distintivi della personalità di Minghini, costretto «a un nomadismo continuo, a una frenesia operativa che diviene la dote vincente per quella che da subito si rivela la sua grande aspirazione: la foto di cronaca». Riservato e discreto, aggiunge, non ha nulla del paparazzo convenzionale: «A lui, uomo della conservazione, si rivolgono le istituzioni pubbliche locali» di Sinistra, mentre lavora per il quotidiano d’opposizione.

Negli anni Sessanta piazza Cavour è il simbolo del potere politico. Da una parte ci sono l’Arengo e palazzo Garampi sedi di quelle istituzioni, il Consiglio comunale e la residenza del sindaco. Dall’altra si trova la redazione del «Resto del Carlino» dove scrivono gli oppositori del governo municipale, e dove bazzicano anche gli oppositori interni a qualche partito di quel medesimo governo. Costoro vanno a riferire le lotte interne ai gruppi consiliari, puntualmente riferite poi in una specie di editoriale senza firma dal responsabile dell’ufficio che era Amedeo Montemaggi, ottimo giornalista e soprattutto grande organizzatore in redazione, affiancato dal suo indimenticabile «vice», Gianni Bezzi che poi avrebbe diretto «Il Corso» prima di andare a Roma, e diventare inviato del «Corriere dello Sport». Per la verità Gianni Bezzi avrebbe dovuto essere assunto a Bologna dallo stesso «Carlino», ma poi le cose non andarono come previsto, e gli fu così troncata la carriera sotto le Due torri.


L’affetto di Cardellini

Sui rapporti fra Minghini ed il giornalismo locale, gustosa è la felice ricostruzione fatta da Silvano Cardellini che racconta con l’affetto di una comune militanza tanti anni di lavoro per il «Carlino». Lo definisce «un onesto e grande artigiano» che ha sempre lavorato con amore e passione, senza mai esibirsi. Che ha narrato quell’anima di Rimini che non sempre si riesce a cogliere e raccontare, sotto i bagliori delle luci.

Piero Meldini, nel saggio «Un fotografo tra passato e futuro», spiega: «Da uomo politicamente moderato, Minghini non era propenso a fornire una rappresentazione celebrativa della classe dirigente socialcomunista. Più in generale, non mostrava la minima soggezione per i Palazzi. Non si preoccupò mai di attenuare le rotondità curiali di un Ceccaroni. Dubito che avrebbe mitigato, oggi, la chierica di un Berlusconi».

Liliano Faenza, affidandosi ai ricordi personali, illustra l’ambiente colto del giornalismo riminese che aveva una specie di nume tutelare in Luigi Pasquini. Elzevirista principe per forza polemica e gusto di scrittura modellata su autori ormai già allora non più di moda, Pasquini era anche pittore di una certa fama negli ambienti della borghesia che amava le vedute dei suoi acquarelli. Faenza, attraverso il lavoro di Minghini sul turismo, ricostruisce pure i mutamenti sociali di Rimini, «una città gravata fino a poco tempo prima da una tradizione contadina».

Gli altri contributi sono di Sergio Zavoli, Nadia Bizzocchi, Riccardo Vlahov, Giorgio Conti, Ferruccio Farina, Sandro Bernardi, Antonio Costa, Gianfranco Miro Gori, Paolo Zanfini, Ennio Cavalli. Mentre Ezio Raimondi, Luciano Chicchi, Marcello Di Bella hanno curato le premesse istituzionali.


Come un dipinto la foto di Pompei

Zavoli propone di ricordare anche un altro studio che è stato grande protagonista a Rimini, «Foto Moretti». Nadia Bizzocchi illustra l’archivio Minghini in Gambalunga. Vlahov esamina la tecnica di lavoro del Nostro, citando una foto a colori stupenda, scattata a Pompei, «straordinariamente simile ad un dipinto». Conti illustra un tema fondamentale nella storia della nostra città, la salvaguardia del patrimonio artistico dalle devastazioni che si stavano progettando negli anni Sessanta. Sul quale patrimonio di allora restano le foto di Minghini come documenti fondamentali per uno studio storico.

Farina e Giardini ricostruiscono le vicende dei fotografi cittadini dal 1845 al 1987, anno della scomparsa di Minghini. Gori analizza i rapporti fra Fellini e la città sotto la specie della fotografia, con Minghini quale cicerone per il ritorno del regista a Rimini e la preparazione di «Amarcord». Bernardi, di questo film, esamina «il paesaggio riminese», geografico ed umano, sottolineando quale contributo abbia dato Minghini a Fellini. Costa parla dei «luoghi dell’immaginario felliniano» e del ruolo che vi hanno avuto le immagini preparate da Minghini («nuove stratigrafie» di quell’immaginario medesimo). Infine Zanfini conta e racconta la presenza del regista nell’archivio del fotografo.

Come l’elenco dei contributi dimostra, il catalogo della mostra si offre quale studio fondamentale su cui dovranno poi tornare quanti vorranno raccontare la cultura riminese del secondo Novecento. Per questo la città deve ringraziare chi vi ha messo mano (e cuore), per l’intelligenza e l’attenzione che sono state dimostrate allo scopo di offrire una particolare testimonianza di gratitudine verso Davide Minghini e il suo lungo lavoro a Rimini ed in Romagna. Del quale si dà un ampio panorama pure nell’ultimo numero di «IBC», rivista dello stesso Istituto bolognese dei Beni Culturali che presentava in anteprima la mostra riminese.

Antonio Montanari


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859/30.10.2003