il Rimino - Riministoria
Sorda indignazione, quasi disperato furore...
LETTERA 90, aprile 2003


di Ettore Masina


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I vecchi ricordano spesso la loro infanzia. Io cercai di "saltare" la quinta elementare e mi rimandarono a ottobre in disegno, un piccolo scandalo che appassionò una vasta opinione pubblica di parenti e di amici. Tuttavia ripenso con orgoglio ai miei "quadri" per il ritorno della primavera: il cielo senza nubi, le rondini che lo popolavano, l'erba verdissima., gli alberi pieni di foglie, un ruscello dalle rive fiorite. Le immagini che popolano i sogni dei bambini in questa primavera del 2003 sono diverse, dicono gli psicologi. Sono quelle dei telegiornali, dalle quali i genitori e i nonni tentano invano di preservarli. Le nuove guerre, "mediatiche", hanno anche questa terribilità: di aggredire tutti i bambini, anche quelli che non dovrebbero temere fame e bombardamenti. Lo scandalo dell'odio, delle devastazioni inflitte da uomini ad altri uomini aggredisce i piccoli. Gesù ha profetato una sorte terribile per chi li scandalizza . Anche per questo maledetti siano (sono) i signori della guerra: quelli che la decidono, quelli che la vogliono per ricavarne soldi e potere, quelli che la consentono, quelli che la pensano come una cosa, tutto sommato, "normale", quelli che la commentano con sorridente cortesia nei salotti mediatici, dimenticandone le atrocità, il sangue, le mutilazioni, le morti.

2

Poiché io sono un adulto, tuttavia, l'immagine che più mi ha colmato nelle scorse settimane di sorda indignazione, di quasi disperato furore e di imperiosa volontà di non arrendermi al pessimismo non è fra le più atroci. Non mostra donne vestite di nero che levano le mani al cielo per esprimere un dolore infinito, non volti di bambini mutilati o cumuli di cadaveri putrefatti in attesa di sepoltura. Neppure documenta la spietata avidità di turbe di predoni che saccheggiano, senza che gli occupanti se ne interessino, gli ospedali ormai al collasso e i musei che conservavano le più antiche memorie della nostra civiltà. Né suscita in me il pensiero (la certezza) che entro pochi mesi questi "sciacalli" si trasformeranno in attori di spaventose pulizie etniche.

L'immagine che provoca in me sentimenti così forti e quasi primordiali è quella sorridente di Bush e di Blair che rivolgono un appello televisivo al popolo iracheno: "Vi portiamo la libertà". Quelle immagini e quelle parole, com'è noto, non sono mai arrivate sulla terra alla quale erano destinate: emesse da un prodigio della tecnica (una emittente televisiva in volo sull'Iraq) sono andate sperse nell'etere perché nel paese invaso tutte le centrali elettriche erano state distrutte. La pretesa, dunque, di donare, via televisione, messaggi di speranza a un popolo che contava disperato i suoi morti e non riusciva a curare i suoi feriti, che era privo di ogni mezzo di comunicazione e che dopo il tramonto viveva in tenebre rotte soltanto dalle fiamme, mostrava la paurosa schizofrenia politica della Casa Bianca: il Bush-predicatore incapace di comprendere l'estensione del peccato del Bush-guerriero o, anche peggio, il Bush-comandante-in-capo privo di notizie (o incurante delle notizie) sull'esecuzione dei suoi ordini.

Credo che questo episodio sveli meglio di tanti altri l'insipienza criminale di questa guerra, l'incapacità di coloro che l'hanno scatenata di prevedere, ma anche, poi, di accorgersi, delle sofferenze che, abbattendosi su un piccolo popolo, la mostruosa macchina militare dell'impero avrebbe causato. Bush ha avuto mesi e mesi per programmare l'invasione che la diplomazia, il diritto internazionale, la ragione e il consesso delle Nazioni Unite gli hanno a lungo negato; per raccogliere e valutare i messaggi di una ricchissima e spietata intelligence; per oliare l'immensa macchina militare approntata dal Pentagono; insomma per prevedere minutamente il "durante" e il "dopo". Questo tempo, si direbbe, è stato totalmente sprecato, totalmente occupato a ingigantire la forza d'urto contro un nemico poco più che inerme: 23 milioni di persone, per metà ragazzi e bambini, colpevoli soltanto di essere vittime di una spietata dittatura e di vivere in un paese ricchissimo, di una ricchezza della quale a loro arrivavano soltanto le briciole.

La devastazione non soltanto del regime di Saddam Hussein ma dell'intero Iraq ha aspetti di una violenza che sfiora la paranoia, l'invasamento di un moderno crociato: per niente affatto insensibile, peraltro, come del resto i crociati di un tempo, agli aspetti economici della sua missione. Soltanto un obiettivo è apparso chiaro e meritevole di ogni cura alla Casa Bianca, ai suoi occupanti (Bush ma anche il trust dei petrolieri che lo ha eletto e lo circonda), al Pentagono, alla ex-colomba Powell: il possesso e l'immediato sfruttamento dei giacimenti d'oro nero. E' capitato che un carro armato americano colpisse l'albergo in cui tutto il mondo sapeva stessero i giornalisti e molti altri carri armati e aerei hanno massacrato donne e bambini in fuga, e , con "fuoco amico", persino commilitoni: episodi toccanti, danni collaterali, tragici errori di giovani soldati, ha gridato il Quartier Generale. Ma nessun piccolo militare o aviatore ha sfiorato con un missile le zone petrolifere. Mentre, i tanks americani abbattevano a Baghdad portoni e porte corazzate dei grandi edifici del regime consentendo saccheggi e distruzioni (magari di archivi compromettenti) un imponente apparato difensivo americano difendeva accanitamente l'incolumità del ministero husseiniano del Petrolio.

Il "prima" e il "durante" si consumano nel cinismo di chi pretende, ormai senza più veli, l'americanizzazione di tutte le forme planetarie di energia e soltanto a questo guarda, nella convinzione che tale sia la sacra missione degli Stati Uniti. La demolizione del diritto internazionale, delle strutture di pace delle Nazioni Unite, dei diritti umani sanciti dalle convenzioni di Ginevra (si pensi alla vergogna di Guantanamo, ove adesso si sono scoperti fra i prigionieri destinati alla follìa tre adolescenti afgani di meno di 15 anni!) sembrano a Bush e ai suoi collaboratori (o ispiratori; o mandanti) prezzi da pagare senza battere ciglio alla difesa intransigente, sordida dell'american way of life. Così la seminagione di odio fra gli arabi e non solo, la spinta al terrorismo, il montante anti-americanismo.

Niente sembra frenare l'avidità degli uomini del business che hanno mandato a morire "i nostri ragazzi" e devastato un popolo di innocenti. Sono gli stessi che ora guadagneranno miliardi di dollari ricostruendo ciò che avevano fatto accuratamente demolire. Sono gli stessi che ora pongono, di fatto, la sorte della Palestina nelle mani insanguinate di Sharon.

3

Hanno ragione i pacifisti a non ritirare dai loro balconi le bandiere iridate e a continuare a gridare il loro orrore per l'ipotesi di una guerra infinita, traduzione in chiave militare e sanguinosa di una globalizzazione che invece di rendere la Terra più piccola e più unita, più civile e fraterna, la spacca con la violenza dell'ingiustizia. La teoria della guerra preventiva, orrenda teratologia del diritto, ci prepara tempi durissimi nei quali ciascuno di noi dovrà prendere posizione. La militarizzazione della politica è una minaccia mortale alla democrazia: a tutte le democrazie, anche a quella degli Stati Uniti , che appare sequestrata da un trust di potenti senza scrupoli.

C'è subito da mettersi al lavoro perché la sfida è già lanciata. C'è un'altra immagine che viene dall'Iraq e che mi commuove. E' un anziano che recupera uno ad uno i mattoni della sua casa distrutta, aiutato da bambini che forse sono i suoi figli o forse i suoi nipoti. Credo che quell'immagine possa esserci d'esempio. La brutale conclusione (se è tale) di questo secondo round della guerra infinita di Bush (il primo essendo stato, ovviamente, quello dell'Afghanistan) non può, non deve consentirci depressioni e scoraggiamenti. Vi sono collegamenti da riprendere, problemi da approfondire, strumenti da affinare; difficoltà da fronteggiare con la consapevolezza che nessuno farà mai ciò che potremmo fare noi. Vi sono maestri da riscoprire e domande a cui rispondere, nella scuola e nelle case. Dobbiamo dedicare più tempo ai nostri figli e nipoti. Il movimento della pace ha nuove sensibilità e maturità da acquisire. Vi sono notizie da ricercare e da far circolare (8 milioni e mezzo di italiani hanno come unica fonte di informazioni la televisione!) e lotte da animare nel Parlamento e nel Paese. C'è da richiamare continuamente la consapevolezza che ormai non vi sono più distanze: il virus della polmonite atipica vola da Guangzhou a Toronto e, come dicono gli etologi, se muore una farfalla in Amazzonia è scarso il raccolto in Cornovaglia: trionfa l'Amico Bush e il Cavaliere dei falsi in bilancio torna all'attacco della Costituzione repubblicana. Contiene articoli "di stampo sovietico" dice; e si rifiuta di partecipare alle celebrazioni della Resistenza.

4

Esattamente 58 anni fa saliva sul patibolo eretto nel carcere nazista di Flossenburg il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer. Del tutto consapevole del suo destino, aveva scritto: "L'essenza dell'ottimismo non è soltanto guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, il futuro lo rivendica per sé" .

Non dobbiamo lasciare il futuro agli avversari della giustizia e della dignità umana.

5

Una volta scrivevo (e persino pubblicavo) poesie, ma è una stagione, mi pare, conclusa. Tuttavia, il giorno di Pasqua, carico di dolori e di speranze, ho provato a scrivere un testo che forse, con un po' di buona volontà, può anche essere definito "poesia". Ve lo mando come un abbraccio.



Mi raccontarono, quando ero bambino,
che un uomo buono
era risorto da morte,
frantumando il sepolcro,
in un'aurora di gloria.
Forse è vero e forse no,
quante volte ci ho ripensato.
Aveva lavorato con le sue mani,
giocato con i bambini,
sorriso alle donne disprezzate,
pranzato con i peccatori
rifacendoli nuovi.
Guarito corpi infetti e cuori doloranti.
Aveva chiesto libertà e giustizia
per i poveri, e amore; e ancora amore,
per tutti.
Appeso a un palo,
tutti i dolori del mondo
gli avevano fatto provareed era morto gridando.
Ma poi dal regno dei morti era risorto.
Forse è vero e forse no,
quante volte ci ho ripensato.
Non è una storia soltanto di chiesa,
piace a quelli che non accettano
la morte della storia,
credono nella dignità indistruttibile
dell'uomo, nella primavera che spacca
le zolle gelate, frantuma il cemento e l'asfalto
con le nuove impazienti radici.
Di primavera ci penso spesso:
forse è vero, forse no.
Quando guardo i miei amici morti
(la morte grandina accanto a noi vecchi)
sembrano di pietra o di cera,
penso che quella sia stata una favola,
ringrazio chi me l'ha raccontata,
ha reso più bella la mia vita,
ma i morti rimangono morti.
Se nei tramonti mi siedo
sulla panchina della mia vecchiaia
e vedendo il sole che pian piano
scivola dietro le nubi,
invece che al mio breve futuro
(come probabilmente dovrei fare),
penso al mio lungo passato,
mi dico che forse era vero
(che quell'uomo è risorto) o forse no.
Non riesco a crederci, non riesco
a gettare via una storia tanto bella.
Succede, a volte, che mi siedano accanto
care ombre: Tonino
Bello e Romero e Balducci e Turoldo,
quella panchina si affolla
cedo il mio posto e guardo da lontano
rispettosamente, in piedi.
Sono ombre, ma come sono vivi
quegli amici che ebbero lacrime e paure
ma andarono avanti, non si stancarono mai.Loro credevano che fosse vera
la bella storia dell'uomo risorto.
Ci giocarono la vita,
scorsero angeli nelle tenebre
dispiegare un'alba mai vista,
bella come un sorriso senza fine.
(Forse è vero e forse no)
Le Pasque scivolano dietro le nubi
terrificanti della storia.
Nel parco dei miei tanti anni
comincia a fare freddo. Io continuo a pensare
forse era vero e forse no.
Vi sono giorni e notti in cui le guerre
frantumano i volti e gli amori
e le troppe miserie che ho imparato a conoscere
come cenciosi notai mi certificano
sulle carte bollate del Buonsenso:
non è vero, non è vero, non è...
Talvolta, invece, vi sono
piccole ore che trascorrono a passo di danza,
bambine che gridano: "Mamma,
lo sai? Era morto, è risorto".
Forse è vero e forse no.
Io continuo a pensarci.
Ma lentamente mi nasce dentro
un'idea giovanissima, un grido:
se siamo ancora vivi, perché mai non usciamo
dai sepolcri delle nostre paure,
dei lutti senza sorrisi, degli amori avarissimi,
delle nostre desolate pigrizie,
del girare a vuoto senza decidere,
dei coraggi dimenticati?
E' tornata la primavera. Perché,
perché mai non facciamo risorgere
almeno le nostre speranze?
(Potrebbe essere vero)

Ettore Masina

il Rimino/Riministoria/786 / 25 aprile 2003 /Rev. grafica 28.06.2017