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il Rimino - Riministoria

GUIDO NOZZOLI - UN GRANDE RIMINESE
di Silvio Di Giovanni
Da «La Piazza della Provincia», a. VII, n. 11, novembre 2003

Ricorre in questi giorni il terzo anniversario della morte di Guido Nozzoli, una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano. Si è spento a Rimini l'11 novembre 2000, nella città ove era nato il 2 dicembre 1918.

E' stato giustamente detto di lui che fu: "Giornalista, scrittore, uomo politico dall'intensa partecipazione alla vita del Paese, che lascia il ricordo di una persona che onestamente ha combattuto le sue battaglie ideali, nel segno della Giustizia e della Libertà" (da Riministoria di Antonio Montanari).

Sul numero di agosto del nostro mensile nell'articolo sulla "Piazza Grande di Rimini", ho detto qualcosa di questo autore ed ho riportato la sua famosa "Elegia per i martiri di Agosto" ed ora è doveroso dire di più su questo mirabile personaggio riminese dal raro ed implacabile rigore dialettico, la cui figura conferisce prestigio alla sua città.

E' dalle scuole medie inferiori che il giovane Guido dimostra un carattere ed un temperamento che lo mette in condizione di collezionare "non so quante sospensioni più una proposta di espulsione" che lo costringeranno a cambiare scuola ed andrà quindi a frequentarla a Forlimpopoli, affrontando le levatacce mattutine per giungere in tempo alla stazione ferroviaria, "con corse mozzafiato", per non perdere quell'unico treno che troppo presto lo porta di buon'ora alla scuola col portone ancora chiuso.

Ad Urbino sarà un attento allievo alla Facoltà di Lettere del Magistero ove salivano in cattedra docenti di grande prestigio come Mario Apollonio, cultore dell'atmosfera dell'Ermetismo Cattolico; Carlo Bo, critico letterario che diede un contributo decisivo alla definizione delle istituzioni ideologiche e metodologiche di quella generazione dell'Ermetismo letterario con il suo "Otto Studi" del 1940 e che diventerà il faro della cultura marchigiana quale rettore della Università Montefeltresca; Cesare Musatti, come insegnante di rottura nel campo della psicologia sperimentale, ed altri come Rebora, Mori, Ronconi.


Purtroppo la decisione dell' "Uomo della Provvidenza" del 10 giugno 1940, di trascinare l'Italia in quella che sarà la immane catastrofe, toglierà nel 1941 il beneficio di rinviare il servizio militare fino al conseguimento della Laurea agli universitari e Guido, nell'autunno dello stesso anno, sarà aggregato al 32° reggimento carristi di Verona ove inizierà la sua breve carriera militare prima come caporale, poi sergente, poi sottotenente ed in fine come sostituto dell'aiutante maggiore, negli ultimi tempi, prima dell'otto settembre del '43.

All'intelligenza e sensibilità dei due giovani universitari e uomini di cultura del tipo di Guido e del suo compagno Gino Pagliarani non sfuggivano le enormi contraddizioni del fascismo, del comportamento dei suoi esponenti e della loro propaganda, nè l'abisso a cui veniva destinata la Patria da simili parate grottesche e dalle insensate scelte di politica estera.

La loro coscienza li aveva già fatti aderire a movimenti segreti di libertà che dalla polizia fascista venivano definiti come "attività politica contro il regime" ed un conoscente laureato in giurisprudenza infiltrato tra di loro, dichiarandosi fortemente antifascista, era invece una spia dell'O.V.R.A. che li vendette alla polizia fascista per 300 lire, come si apprende dai racconti dello stesso Guido.

Cos'era l'O.V.R.A.? E' bene spendere due parole su questa "Organizzazione segreta del fascismo" di cui i nostri attuali giovani evidentemente non hanno mai sentito parlare. Era una organizzazione di polizia politica segreta del fascismo ideata direttamente dallo stesso Mussolini che mise a capo tal Arturo Bocchini, ferreo esecutore degli ordini del "Duce"; che si infiltrava dappertutto tra la gente attraverso una rete di spie sconosciute come tali, come sovente mi raccontava mio padre, a cui il ricordo gli sovveniva con un brivido alla schiena. Era una potente e implacabile organizzazione poliziesca, una specie di "piovra" dai mille tentacoli che si insinuava nelle scuole, nelle case, allo stadio, nelle comitive di amici, in una sala da ballo, in una sala di lettura, in una riunione in casa di amici.

In ogni luogo si poteva annidare la "spia", pronta a vendere l'amico, anche l'amico più caro, pronta al tradimento, per intascare il denaro promesso per la delazione. Ve ne erano anche a Cattolica di questi personaggi. Mio padre me li ha indicati nel dopoguerra. Ad onor del vero, nessuno li ha poi denunciati, nessuno si è vendicato.

Buona parte degli italiani erano controllati da questa ferrea morsa.

Quando il gruppo milanese di Giustizia e Libertà fu "venduto" da una "spia" "falso compagno" agli agenti fascisti; disse il poeta Eugenio Montale "Chi vuole difendere la ragione, non ha che da scegliere tra la prigione e l'esilio e stare attento al pericolo della morte".

Dopo la condanna i nostri due riminesi beneficeranno dell'amnistia del ventennio e Guido sarà destinato al reparto militare di Siena al 32° Reggimento Carristi della Divisione Centauro e lì, l'8 settembre del '43, farà l'esperienza, assieme al Maggiore Comandante del suo Battaglione, di quella che sarà tutta la insipienza e la incapacità degli alti Comandi Militari Italiani, del Governo, della Casa Savoia, dei dignitari dello Stato che, con esemplare codardia, fuggiranno da Roma per andare nei luoghi già liberati lasciando senza alcuna direttiva, senza ordini, tutte le forze armate italiane che così restavano in balia dei tedeschi, sia in patria, sia nei Balcani, sia nelle isole dell'Egeo ed in tutti i luoghi ove erano stati mandati, portati e sparpagliati in quella che doveva essere la "Guerra lampo".

Guido, che con la giovane moglie sposata da appena quattro mesi aveva affittato una cameretta ammobiliata con uso di cucina a Siena, vicino alla caserma, riuscì, prima di essere catturato dai tedeschi, a metà settembre con gli abiti borghesi, con la consorte ad arrivare a Rimini via ferrovia.

Qui, assieme agli altri giovani ufficiali antifascisti quali Gianni Benzi, Angelo Galluzzi, Gianni Quondamatteo, Ezio Venturini ed altri, iniziarono a costituire i primi nuclei di attività partigiana e ciò nei limiti che la orografia della zona poteva suggerire e permettere. Infatti fu abbandonata l'idea di creare un raggruppamento a Montefiore perchè facilmente espugnabile dai mezzi corazzati tedeschi.

Dopo la liberazione di Rimini, come riporta l'editore Bruno Ghigi nel suo volume "La guerra a Rimini e sulla Linea Gotica", il Nozzoli, dal 22 settembre del '44, fu un assiduo attivista per la rinascita della vita nella città e, sulla Piazza Cavour in collaborazione con il Capitano Trevor dirigente del Welfare Service, si presterà ai compiti più svariati, assieme ad Illaro Pagliarani, Angelo Galluzzi, Peppino Polazzi, Nicola Melluzzi, Ettore Ferrari, Valter Ceccaroni, i tre fratelli Arnaldo, Natale ed Antonio Zangheri, tutti intenti a sistemare i primi autocarri militari di farina e di altri viveri che affluivano a Rimini per sfamare i primi sfollati che rientravano e le molte migliaia ancora costretti a rimanere nelle campagne perchè in città non c'erano più le case in piedi.

Occorre ripensarla quella Rimini di quei giorni, con le case squarciate, le strade tutte buche, crateri, calcinacci. Sulle macerie era cresciuta l'erba, nei crateri pieni d'acqua putrida e verdastra gracchiavano le rane.

La "Elegia" di Guido Nozzoli illustra mirabilmente in poche righe di emozionante liricità quei momenti e quei luoghi. Io invito il lettore a leggerla nella pagina 5 dello scorso mese di agosto del mensile "la Piazza".

Nozzoli e il suo drappello di partigiani, fin dal giorno della liberazione erano rientrati in città e nei locali ancora agibili del Centro in Piazza Cavour ad angolo con la Via Sigismondo sistemarono le prime iniziative di immediata sussistenza, quali il luogo per distribuire i viveri alla gente, per installare un ufficio per il vicesindaco Arnaldo Zangheri, una mensa per dar da mangiare ai primi che arrivavano a Rimini, un piccolo ospedale con una trentina di letti.

Questa organizzazione politica, come ricordava lo stesso Guido, che sul fronte militare non aveva avuto occasione di compiere grandi azioni eroiche degne di essere ricordate dalle cronache, sul fronte della pace e della ricostruzione diede un esemplare contributo alla città, tanto che più volte venne ricordata e citata ad esempio per la sua capacità ed intraprendenza dal giornale degli alleati dell'8° Armata. "E questo a mio giudizio" concludeva Guido, "è il nostro titolo di merito più alto".

A conclusione della lunga intervista di sedici pagine concessa all'editore Ghigi per il libro sopracitato, alla domanda dello stesso editore-intervistatore di che cosa gli fosse rimasta più impressa nella memoria dell'esperienza partigiana di quel 1943 - 1944, Guido rispose:
-Senza esagerazione ti rispondo: tutto. Ogni ora, ogni minuto di quel lavoro per quanto oscuro e modesto. E ogni casa frequentata, ogni sentiero percorso, ogni volto dei compagni: di quelli perduti che conservo nel ricordo con l'espressione quasi fanciullesca che avevano allora, e di quelli rimasti ad invecchiare con me. Non tutti, hanno affrontato gli eventi del dopoguerra allo stesso modo e fatto le stesse scelte. Però c'è qualcosa che continuerà ad accomunarci per sempre, al di sopra delle ombre, delle polemiche, dei dissensi ideologici e caratteriali: l'amore per la libertà. Quella che abbiamo vissuto nella Resistenza fu una stagione di tensioni, di fatiche, di privazioni, di segrete paure, che non vorrei rivivere e non vorrei fosse mai vissuta dai nostri figli. Eppure fu anche la stagione più bella della nostra vita. Non perchè legata agli incanti della giovinezza, ma perchè illuminata da una grande speranza.

Nel dopoguerra la sua riservatezza, il suo carattere schivo degli onori non gli permise di accettare la carica di Sindaco di Rimini, nè altre cariche politiche di prestigio. Fu un compagno onesto e modesto oltre ogni immaginazione. Durante la guerra aveva operato in maniera pressante presso i comandi alleati per evitare che San Marino, occupata dai tedeschi, venisse rasa al suolo dai bombardamenti come lo fu Montecassino, ma non se ne fece mai un vanto pubblico.

Lui fece addirittura uno sforzo per accettare il riconoscimento del "Sigismondo d'oro" nel 1999. "In quella occasione" come riporta il suo amico Enzo Pirroni "di fronte ad assessori distratti, giovani politici che nulla conoscevano di lui e della di lui storia, Guido fu dissacrante, autoironico riuscendo ad impartire a tutti i presenti una lezione di stile e di umiltà".

Si dedicò al giornalismo ed all'attività di scrittore. In questa compose opere storiche e monografie di grande importanza sotto l'aspetto della cronaca e della realtà storiografica in relazione ai fatti accaduti:
I ras del Regime - gli uomini che disfecero gli italiani - Milano 1972 ed ancora 1977
La zanzara: cronache e documenti di uno scandalo (scritto assieme a Pier Maria Paoletti) - Milano 1966
Il pianeta Romagna - Bologna 1963
Biografia di Amilcare Cipriani
Presentazione del volume di Compagnoni Orano - Il coltello di Don Giuseppe - Bologna 1970
Quelli di Bulow - cronache della 28° Brigata Garibaldi - Roma 1957. - Questa opera, ripresa più volte con monografia nel 1971, ci ricorda le battaglie nelle zone del ravennate ove l'allora giovane partigiano ventitreenne Mario Castelvetro, ora nostro concittadino di adozione a Cattolica, operava con la Brigata di Arrigo Boldrini assieme anche al "poeta" Antonio Meluschi che, con Mario Verdelli ("Nando") commissario politico trasferito a Rimini da Bologna avevano già incontrato nell'attività clandestina Guido Nozzoli e con lui collaborato.

Quel "poeta" compagno Meluschi è quel comandante che più tardi, rispetto all'esperienza del lavoro clandestino a Rimini, assumerà il comando di quel distaccamento partigiano nelle Valli di Comacchio immortalato da sua moglie Renata Viganò nel romanzo "L'Agnese va a morire".

Mia madre non era una donna di cultura e non aveva nessuna dimestichezza con i libri. Nel dopoguerra leggeva e diffondeva il settimanale "Noi donne" e quando le capitò in casa questo libro della Viganò con la descrizione di quella epopea partigiana con la tragica fine della sua eroina, ricordo che rimase molto colpita e i suoi occhi erano lucidi quando si appartava con il libro in mano su un angolo del tavolo di cucina. Come sono cari i rari ricordi di mia madre con un libro in mano! Lei che aveva fatto appena la seconda elementare e che per tutta la prima parte della sua vita aveva lavorato in casa dei padroni come donna di servizio e i libri li aveva sempre e soltanto spolverati. Vi ringrazio molto, miei cari genitori che, dopo le elementari, mi avete mandato ancora a scuola anche con le ristrettezze che vi ritrovavate. Tanti miei compagni non sono stati così fortunati.

Come giornalista Nozzoli inizia la sua attività a Bologna al "Progresso d'Italia" , poi a Milano all' "Unità" poi passerà al "Giorno" quotidiano milanese di stato voluto e finanziato da Enrico Mattei.

Nel freddo inverno del 1950 sarà a Modena quando la polizia del Ministro Scelba sparerà sulla folla uccidendo sei operai. Nel luglio del '50 sarà un cronista puntuale, con tutte le punte dubbiose, nel descrivere l'annuncio dei Carabinieri del Colonello Luca, che avevano ucciso il bandito Giuliano in uno scontro a fuoco.

Nell'ottobre del '51 seguirà il processo che condannerà all'ergastolo il Maggiore delle S.S. Walter Reder, il boia dell'eccidio di Marzabotto.

Nel novembre dello stesso anno sarà un protagonista nella descrizione della catastrofe dell'allagamento del Polesine con la rottura degli argini del Po con le distruzioni, lutti e rovine che ne derivarono.

Nel '54 sarà nel Vietnam per descrivere la capitolazione francese a Dien Bien Phu.

Nel '56 sarà a Budapest e non sarà capace di essere ossequiente con la linea del partito ed è interessante quanto descrive circa la sollevazione ungherese repressa brutalmente dai carri armati sovietici.

Sarà nel nord Africa ed i suoi reportage sulla rivolta algerina e la sua intervista a Ben Bellà costituiranno una cronaca anticipatrice del destino di quella terra che alienava al suo riscatto.

Sarà corrispondente dal Congo, dall'Uganda, da Firenze allagata, dalla penisola del Sinai, in giro per il mondo e quasi mai nella redazione del giornale.

Sarà sulle alture del Golan in Cisgiordania ed i suoi articoli descriveranno con profetiche intuizioni tutte le premesse di ciò che poi succederà nel tempo a venire.

Andrà a visitare Don Lorenzo Milani, questo prete scomodo per la Chiesa, sarà di nuovo nel Vietnam con an; sarà poi a Praga nel '68 a difesa della "primavera" di Dubcek ed inoltre sarà lo strenuo difensore dei più deboli nella immane tragedia del Vajont.

Con i suoi articoli condannò senza mezze misure i monopoli elettrici ed i soprusi subiti per lungo tempo dalle popolazioni locali nella zona di Longarone; assunse la difesa dei deboli con i suoi sferzanti articoli sempre suffragati da dimostrazioni della verità dei fatti, delle omissioni, delle colpe, dei ritardi, del non ascolto alle varie denunce preventive sulla pericolosità di quel bacino sotto il monte Toc. Mentre la stampa bempensante democristiana di allora (vedi il settimanale "La discussione") scriveva che "catastrofi come quella del Vajont sollevano anche un problema sul piano religioso" e che "la sciagura del Vajont è dunque un appello alla fede, un invito a credere all'amore di Dio verso i suoi figli" ed ancora sulla Domenica del Corriere del 13 ottobre 1963 e sul Manifesto di D.C. del 19 ottobre 1963 dal titolo "Sciacalli":"Additiamo al disprezzo del Paese gli sciacalli comunisti".

Nozzoli, di fronte a simili argomentazioni, assumerà sempre più l'appassionato incarico di testimone della tragedia del Vajont e del lungo disperato strascico giudiziario. Lui rivelerà che la potenza dei grandi monopoli riusciva anche a far tacere gli esperti: "So che vado incontro ad un suicidio professionale" scriverà un esimio professore francese esperto della materia che non aveva avuto paura come altri. Infatti i numerosi titolari di importanti cattedre universitarie di geologie ed idraulica declinarono l'invito di assumere l'incarico di periti di parte civile contro gli imputati del Vajont. Studiosi stranieri, che avevano accettato l'incarico, si sono fatti prendere da strani ripensamenti. Scienziati che avevano manifestato in vari modi il loro giudizio di condanna sul Vajont non osarono più esporre tale loro giudizio in Tribunale in contraddittorio con lo schieramento mobilitato dall'ENEL e dalla SADE a protezione degli imputati. "Non si possono sfidare la SADE e l'ENEL" aveva scritto un anonimo giornalista nel secondo anniversario della catastrofe ove avevano perso la vita oltre 2000 persone ed erano stati distrutti interi paesi.

Guido sarà animato da una fede incrollabile nella difesa dei più deboli, sempre, sia a difesa delle popolazioni del Vajont e sia in tutte le altre occasioni della sua vita di giornalista ove la sua firma di cronista serio ed incrollabile si farà sentire e sarà ricordata anche da prestigiosi colleghi.

Dirà di lui Enzo Biagi: "Guido Nozzoli, l'unico dei nostri che capì come andavano a finire le storie del Vietnam".

A me piace molto ricordare la lapidaria definizione che Nozzoli scrisse su quella che sarebbe stata la conclusione della guerra del Vietnam: "La guerra del Vietnam non potrà avere nè vinti nè vincitori. Avranno comunque vinto i più deboli il giorno in cui, fatalmente, gli U.S.A. avranno un'Ambasciata ad Hanoi. Quel giorno oggi può apparir lontano (se non un'utopia) ma verrà".

Mi piace inoltre chiudere questo mio articolo con il ricordo che Igor Man riporta sullo "Specchio della Stampa" del 25 novembre 2000 in memoria del suo grande collega: "E' morto un grande giornalista. Il suo nome è Guido Nozzoli. Come deve essere un giornalista per guadagnarsi il Grande?

Deve amare il suo (duro) mestiere. Guido lo amava. Perdutamente. Deve essere colto. Guido lo era. Dev'essere coraggioso, moralmente, fisicamente: lo era.Venne arrestato nel '43 (a 25 anni) per antifascismo ed al vice questore (una brava persona) che lo esortava a pentirsi, orgogliosamente ribadì il suo antifascismo. E fu partigiano, Guido, naturalmente coraggioso. Deve saper scrivere: Guido aveva uno stile asciutto, penetrante che coinvolgeva il lettore. Non deve travisare o gonfiare i fatti: e Guido prima che scrittore si sentiva (ed era) cronista.

Aveva un solo brutto difetto Guido: era un idealista, un comunista romantico sicchè soffrì molto in Cecoslovacchia, durante l'invasione sovietica. Tanto che, ad un certo momento, chiese (anzi, pretese) il cambio: "Me ne torno ai fattacci italiani, fanno soffrire di meno", mi disse.

Avevamo fatto insieme il Vietnam ed anche quella inutile guerra atroce fu fonte di sofferenza per lui. Va detto, però, che nelle corrispondenze al "Giorno" mai trapelò il suo intimo disagio. La sera, dopo aver portato al telegrafo i servizi (non c'erano collegamenti telefonici, né telefax, allora fra Saigon e il resto del mondo), andavamo a piedi fino a Cholon. Lui parlava, fumando. Peccato, non aver avuto con me un registratore poichè i discorsi di guido erano alta testimonianza di fede: nell'Uomo.

Spesso mi parlava di sua moglie. Con tenerezza: una moglie-mamma. Ed è stato lo sfiorire della sua cara sposa a togliergli la gioia di vivere. Così si è lasciato morire, giorno dopo giorno.
Grande anche in questo, Guido Nozzoli."

Silvio Di Giovanni



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A proposito di questo articolo, vedere alcune precisazioni di mio cugino Daniele.

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