Antonio Montanari
2003. Giorgio Bocca ricorda il Vajont.
Scrive oggi quello che invece scrisse Guido Nozzoli.

Tama 881. Scordarsi
Il miglior giornalista è quello che dimentica oggi quanto ha scritto nel passato. Ne è esempio vivente (ad multos annos) una firma più che celebre, Giorgio Bocca. Su Repubblica dell'8 ottobre ricordando la tragedia del Vajont di quarant'anni fa, ha composto un pezzo da smemorato in cui si legge: «Sul Corriere della Sera il giorno dopo la strage è apparso un editoriale intitolato ‘Fatalità'. Lo ha firmato un noto scrittore di Belluno che non sa niente della diga e del Vajont».
Bocca, invece, era arrivato sul posto quasi sùbito, si era informato e quindi sapeva tutto. Però pure Bocca invocò la fatalità come spiegazione del tragico evento. Sul Giorno dell'11 ottobre 1963 sostenne infatti: «Nessuno ha colpa, nessuno poteva prevedere». Andò poi sul tono filosofico e moraleggiante: «Ci vogliono queste sciagure per capirlo: terribile forza della natura che si scatena a caso. Non uno di noi moscerini vivo, se davvero la natura volesse muoverci guerra».
Sullo stesso numero del Giorno un altro inviato espone opinioni diverse. Descritto il panorama «da primo giorno dopo il diluvio», ripercorre la recente storia del Vajont ponendo in risalto le voci che hanno contestato la presunta sicurezza della diga. Infine si domanda se fosse stata «una congiura di fatalità» ad aver portato la morte nel Vajont, e risponde: «Non si sa nulla. Nessuno sa nulla».
Quest'altro inviato continuò ad indagare fino a chiamare in causa, sempre sul Giorno, i responsabili della diga sul monte Toc (la società Sade) per il crollo di quei 270 milioni di metri cubi che fecero inondare e distruggere sei interi paesi. I nomi che restano più impressi sono quelli di Longarone, Erto e Casso. 1910 vittime. Per aver scritto la verità, quest'inviato fu denunciato. Al dibattimento presso il Tribunale dell'Aquila, lo stesso Pubblico Ministero ne chiese l'assoluzione additandolo ad esempio di professionalità.
Di questo collega, Bocca non s'è ricordato. Non poteva ricordare i suoi meriti. Li ha dovuti oscurare, ignorandoli. Quel collega del Giorno, fu pure inviato a Saigon. Di lui Enzo Biagi scrisse: è stato l'unico dei nostri che capì come andavano a finire le storie del Vietnam. Le sue corrispondenze fecero ribollire a Roma il Ministero degli Esteri.
Quell'inviato del Giorno, era riminese. Aveva debuttato a Bologna. Quando scomparve tre anni fa, il bollettino dell'Ordine emiliano-romagnolo dei giornalisti non gli dedicò un rigo. Si chiamava Guido Nozzoli
Antonio Montanari [Ponte n. 37, 19.10.2003]
il Rimino 94, ottobre 2003

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