Il Seicento è «inquieto»? [2004]
Divagazioni sul catalogo della mostra in corso a Castelsismondo
Mi sono dedicato, per puro caso contemporaneamente, alla lettura di due interessanti opere, «Settecento inquieto» (1990) e «Seicento inquieto». La prima, scritta da Marta Cavazza, tratta della cultura bolognese nel secolo dei Lumi. La seconda è il catalogo della mostra in corso al Castello malatestiano di Rimini. Alla fine il terzo inquieto sono io, per motivi indipendenti dalla mia volontà.
Nel catalogo si annuncia che sto studiando un personaggio savignanese del tutto sconosciuto, Giuseppe Antonio Barbari (1647-1707), di cui si sanno poche cose, e del quale per primo ha riferito vent'anni fa lo storico concittadino Enzo Pruccoli (addetto culturale della Fondazione Carim), che ha avuto la cortesia di accennare in un suo saggio, presente nel catalogo, alla mia modesta fatica. Che per ora è approdata soltanto ad un breve pezzo leggibile dal 10 aprile scorso su Internet, con in aggiunta la (paziente) trascrizione della parte introduttiva dell'unico libro pubblicato da Barbari, a Bologna nel 1678, un trattato sull'iride (od arcobaleno).
Lo scorso ottobre alle giornate verucchiesi degli «Studi Romagnoli», la sessione a cui ho partecipato una domenica pomeriggio era presieduta dallo stesso Pruccoli, in rappresentanza della fondazione Carim che le finanziava in parte. Nel presentarmi allo scarso pubblico intervenuto, Pruccoli ha detto amabilmente che io sono un tipo «polemico». Come gli ho spiegato di recente in separata sede, la mia filosofia è sempre stata quella di sopportare le pedate nel posteriore, ma non i calci in faccia: davanti ai quali reagisco con tutta l'educazione (?) possibile, e facendo ricorso mai a strumenti di tortura bensì e solamente ad armi logiche e fonti documentarie.
Tra quanti hanno saputo di questa sua definizione nei miei confronti, c'è pure chi ricorda che lo storico Pruccoli ha duramente censurato tempo fa un innocuo articolo di un mio carissimo amico che aveva riproposto la leggenda del frate martirizzato da Sigismondo per non avergli voluto rivelare i segreti del confessionale della moglie Polissena Sforza (vedi Angelo Grilli, «Le reliquie di padre Sebastiano», «Ariminum», VII, 36, maggio-giugno 2000, p. 41; e E. Pruccoli, «Amori, frati e adulteri», ibid., VI, 38, settembre-ottobre 2000, pp. 8-10). Dopo quella terribile lavata di testa, il mio vecchio amico ha deposto la penna che usava come passatempo, e non ha osato scrivere più nulla per non incorrere in altri fulmini provenienti dall'Olimpo letterario cittadino.
Tornando a me, non vorrei che la definizione di «polemico» mi fosse reiterata, scrivendo ora che nel catalogo riminese sulle inquietudini del Seicento manca ogni accenno alla diffusione delle idee politiche a Rimini in quel secolo: è un tema che ho lungamente affrontato in un saggio, «Il libertino devoto», pubblicato nel grosso volume sugli Agolanti curato da Rosita Copioli e pubblicato da Guaraldi lo scorso anno. Non m'interessa personalmente la faccenda. La esamino soltanto dal punto di vista scientifico, l'unico che conta, e della completezza del discorso storico.
Non vorrei che il nostro Seicento fosse «inquieto» oltre che per i motivi che dovrebbero saltar fuori anche dalle altre parti del catalogo, pure per causa della dimenticanza del tema a cui ho accennato, e che non mi sembra di poco conto.
Comunque, a parte gli scherzi, la citazione del mio lavoro in corso su Barbari, mi obbliga a faticare (per la gloria) anche senza averne voglia, e non mi rende per nulla tranquillo: anzi, come dicevo all'inizio, mi fa sentire terribilmente «inquieeeeto», alla stregua di quel comico televisivo di «Zelig», detto «Energiapura», divenuto famoso per i resoconti delle sue sedute psicanalitiche, che terminano regolarmente con l'invocazione ad una tale «Adriaaaana» di cui non sappiamo nulla, se sia ad esempio polemica od arrendevole.
Post scriptum. Sul web approfondirò i temi relativi a Barbari, ed alle interpretazioni che ne sono state offerte nel catalogo in questione.

Nota bene.
Questo articolo è apparso sul Ponte del 16 maggio 2004 con un taglio relativo al brano che riporto di sèguito e che ha scandalizzato non so per quale motivo.

<<Tra quanti hanno saputo di questa sua definizione nei miei confronti, c'è pure chi ricorda che lo storico Pruccoli ha duramente censurato tempo fa un innocuo articolo di un mio carissimo amico che aveva riproposto la leggenda del frate martirizzato da Sigismondo per non avergli voluto rivelare i segreti del confessionale della moglie Polissena Sforza (vedi A. Grilli, «Le reliquie di padre Sebastiano», «Ariminum», VII, 36, maggio-giugno 2000, p. 41; e E. Pruccoli, «Amori, frati e adulteri», ibid., VI, 38, settembre-ottobre 2000, pp. 8-10). Dopo quella terribile lavata di testa, il mio vecchio amico ha deposto la penna che usava come passatempo, e non ha osato scrivere più nulla per non incorrere in altri fulmini provenienti dall'Olimpo letterario cittadino.>>

Questo articolo in un primo momento era stato bocciato interamente, poi è stato recuperato e pubblicato a mia insaputa con il taglio indicato.
Che cosa dedurne?
A qualcuno piacerebbe un’informazione fatta in ginocchio verso chi tiene i cordoni della borsa.
Il pezzo è apparso a fianco dell’inserzione pubblicitaria della mostra, con l’occhiello «Fuorionda» ed il titolo «Dialoghi fra “inquieti”».
L’occhiello «Fuorionda» sembra quasi richiamare quelli isterici di Emilio Fede, resi celebri da «Striscia la Notizia» e da «Blob». Per cui appare quasi un sinonimo di «Fuori di testa».
Fonte di questa pagina.
Il discorso prosegue qui.

Antonio Montanari

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