La biblioteca dei Filopatridi
"il Ponte", 1992/21


Rimini medievale
in tre libri


Presentiamo tre opere di grande interesse storico, uscite recentemente. Rimini medievale - Contributi per la storia della città è stato edito da Ghigi per conto dei Musei della nostra città, a cura del prof. Angelo Turchini. Oreste Delucca ha scritto I pittori riminesi del Trecento nelle carte d'archivio, edizioni Luisé. Nel Repertorio della cronachistica emiliano romagnola (secc. IX-XV) pubblicato a Roma a cura dell'Istituto storico italiano per il Medio evo, il prof. Augusto Vasina ha raccolto alcune schede relative a Rimini.

Rimini medievale appare dopo una gestazione di 12 anni, e racconta la storia della città attraverso i suoi resti: «Gli storici dividono le fonti in volontarie e avanzi. Questi ultimi», spiega il prof. Turchini (docente di Storia moderna alla Cattolica di Milano ed autore di numerose importanti pubblicazioni specialistiche), «sono di varia natura, non destinati al ricordo, ma per il solo fatto di essersi conservati ed esistere, valgono come fonte storica. Fra queste opere dell'uomo, si possono comprendere le mura, il loro perimetro, la “forma urbis”, gli edifici pubblici e privati, e così via». Tutti elementi che ritroviamo nell'ampia ricerca a cui hanno collaborato numerosi specialisti: Maria Grazia Maioli, Maria Luisa Stoppioni, Maurizio Biordi (dei Musei riminesi), Giuliana Gardelli e Cristina Giovagnetti.
I saggi, arricchiti da una folta documentazione iconografica, analizzano la città medievale, con particolare riferimento all'edilizia e all'urbanistica tardoantica e bizantina. Un particolare risalto è dato al “tesoretto” di piazza Cavour (oggetti d'argento e bronzo, venuti alla luce nel '61 durante i lavori per la costruzione della Banca dell'Agricoltura, e restaurati di recente), alla cattedrale di Santa Colomba in piazza Malatesta, alla chiesa di Sant'Innocenza (nei pressi dell'attuale piazza Tre Martiri), ed al palazzo dell'Arengo.
Per la città medievale fuori della mura urbane, si parla di varie chiese, tra cui quella di San Gaudenzio (con annessa necropoli nell'area dell'attuale palazzetto dello sport), e quella di San Giuliano. Il medioevo riminese è completato da studi tematici sul materiale fittile (lanterne e lucerne), lapideo, epigrafico e numismatico.
Lasciamo spiegare a Turchini il significato dell'opera: «È un punto di arrivo degli studi, e di partenza per nuovi approfondimenti. Ora la nostra età di mezzo appare un po' meno “oscura”, proprio grazie a questi frammenti di storia conservata, e ora ritrovata. Con questo libro non si offrono solo alcuni risultati alla città, si restituisce anche parte del senso di una strategia dei Musei comunali, una presenza che vediamo crescere con il tempo, a partire dalla lungimirante “proposta '80”», nel cui ambito rientra pure il progetto di questo testo.
La preparazione del volume, secondo Turchini, ha attivato «competenze e professionalità che si alimentano nel dialogo con l'alta cultura, nella critica costante propria dei luoghi della ricerca, nell'esperienza sul campo», per superare ogni «localismo provinciale che rifugge dai confronti».
Alla presentazione del libro, il 10 aprile, sono intervenuti Silvia Lusuardi Siena (dell'università di Udine), Anna Maria Moretti Sgubini (soprintendente archeologo dell'Emilia Romagna), e Giancarlo Susini (dell'ateneo felsineo).

Il volume di Oreste Delucca (I pittori riminesi del Trecento nelle carte d'archivio), contiene nella premessa una frase che merita attenzione. A proposito della scuola d'arte sviluppatasi nella nostra città, l'autore osserva che un ruolo importante deve averlo giocato il “clima” del momento «in una fase in cui l'entusiasmo, il fervore di iniziative e la vivacità culturale originate dall'esperienza comunale ancora non sono sopite dal peso del nascente potere malatestiano». Attraverso queste parole, Delucca condensa un tema (il rapporto tra arte e società) non sempre sviluppato negli studi locali, così come invece è attentamente trattato in quelli generali.
Il lavoro di Delucca, pur non soffermandosi ulteriormente sull'argomento, contiene oltre a questo spunto i documenti che possono aiutare a comprenderlo. Ad esempio, Giovanni paga un canone (un paio di capponi), per una terra di S. Ermete, per cui ci appare come pittore-agricoltore. Zangolo possiede un terreno nella cappella di S. Ermete e stipula un mutuo; mentre suo figlio Zagnono è notaio.
Sono “piccole” informazioni che però ci introducono nello spirito nuovo del secolo, così riassunto da Piergiorgio Pasini nel suo volume Pittura riminese del Trecento: «La presenza di Giotto a Rimini è probabilmente da collegare» al gusto dei Malatesta, come «“gente nuova” amante delle cose concrete». L'arte di Giotto «caso mai rispecchia una condizione umana di cui si sentivano più partecipi i maggiorenti, gli homines novi e i borghesi, che il popolo, la vecchia aristocrazia, il clero secolare».
Sul ruolo di Rimini in quegli anni, scrive Pasini che la città «era di tutto rispetto, importante dal punto di vista economico e politico, nodo di traffici commerciali…». Sull'indotto che la presenza di una scuola pittorica provoca, discute invece Giovanni Rimondini nella recente dispensa del Museo su Signori e pittori a Rimini (1295-1348).
Tornando a Delucca, egli conclude il lavoro ipotizzando che molti pittori riminesi fossero anche agricoltori, almeno nella fase più antica. Ciò significa che essi rappresentano, oltre che degli agricoltori a tempo parziale, anche degli investitori nella realtà economica disegnata da Pasini.
Il senso del lavoro di Delucca è spiegato dall'autore in questo passaggio iniziale: «spoglio delle fonti locali superstiti, integrato dal raffronto con le segnalazioni edite e manoscritte già di pubblico dominio». Tali fonti, per merito di Delucca, passano dalle 20 segnalate da Carlo Volpe nel 1965, ad un centinaio. Inoltre, tra l'altro, si anticipa dal 1292 al 1289 la notizia più remota, legata a Fuscolus; ed emergono figure di pittori rimasti finora sconosciuti.

Nel Repertorio della cronachistica emiliano romagnola (secc. IX-XV), Augusto Vasina ha schedato vari autori legati alla realtà riminese. Marco Battagli è nato nella contrada di Sant'Agnese nei primi del '300. Suo zio paterno era Gozio, futuro cardinale e professore di Diritto a Coimbra, dove da giovane Marco studiò, prima di trasferirsi assieme allo zio, nella sede papale di Avignone. Tornato a Rimini, svolse attività politica e scrisse, con l'atteggiamento del lodatore del tempo passato, la «Marcha», dalle origini del mondo fino ai suoi giorni. L'opera ci è giunta in copie successive e lacunose.
Tobia Del Borgo appartiene al XV secolo e alla corte di Sigismondo Pandolfo. Scrisse cronache malatestiane, come pure Baldo Branchi e Gaspare Broglio. Di Branchi si sa poco, di Broglio che fu capitano di ventura.Vasina ricorda, inoltre, altre due opere di autori non identificati.

Antonio Montanari

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