Riministoria
il Rimino


Rimini ieri. Cronache dalla città [7]
1946. Sogni e bisogni della ripresa
"il Ponte", Rimini, 23.04.1989
Dalle cifre, il difficile quadro della situazione economica. Il «divieto di immigrazione» non ottiene effetto, mentre nascono progetti «hollywoodiani», tra i miti del West.

Estate 1946. I salari orari per i lavoratori agricoli vanno da 35 lire (per chi ha tra 16 e 18 anni) nella falciatura, alle 45 della raccolta frutta, ed alle 55 dell'imballatura.
Per la mietitura, ci sono tre diverse tariffe: uomini, donne e ragazzi rispettivamente a 50, 45 e 40 lire.
Tanto per avere un punto di riferimento, ricordiamo che i quotidiani nel 1946 costavano 5 lire. Nell'anno precedente, il prezzo era stato di tre lire. Di mezza lira nel 1944 e di 30 centesimi nel 1943 Nel 1947 saliranno a 15 lire, prezzo che resta immutato sino al 1950, quando costano 20 lire.

L'Associazione albergatori ed il sindacato lavoratori del settore, firmano un accordo per questi salari mensili, relativi alla seconda categoria: delle due cifre che riportiamo, la prima è per il contratto annuale, la seconda per quello stagionale: primo cuoco 8.190 (13.650), lavapiatti 4.500 (5.000), donna di cucina 4.000 (5.000), lavandaie e guardarobiere 5.500 (6.500). Per la terza categoria, le cifre sono più basse in media di cinquecento lire per gli annuali, e di mille per gli stagionali.
Un primo cuoco stagionale di terza categoria, guadagna 10.921 lire contro le 13.650 di quello di seconda.
Un aiuto cuoco di terza categoria 7.508 contro le 9.559 di un collega di seconda.
Soltanto le guardarobiere e le lavandaie stagionali sono pagate con minore scarto: 500 lire mensili nella terza categoria, contro la differenza di mille lire per una donna di cucina o per uno sguattero.

Nelle attività industriali, i minimi salariali sono molto bassi.
Il contratto di lavoro, stipulato a Roma il 27 ottobre 1946, prevede che in sede locale i sindacati non possano definire aumenti superiori al 15%.
Gli operai specializzati guadagnano dalle 25,25 alle 22,80 lire orarie, secondo il tipo di industria. Un ragazzo inferiore ai 16 anni, va dalle 12,70 alle 12,10 lire. Una ragazza della stessa età scende a 9,60-9,10.

Nel 1946 il Comune incassa oltre 56 mila lire per l'imposta sui cani, quasi come per la tassa occupazione spazi.
L'imposta di famiglia è di otto milioni sul totale dei 14 milioni che finiscono nelle casse comunali.
Il bilancio comunale del 1946 registra entrate effettive per 168 milioni, di cui 110 di contributo statale, con un'uscita di 177 milioni.
Alla fine del 1945, la popolazione residente nel Comune è di 72.173 unità: +774 rispetto al 1944.
Nel 1946 essa sale a 73.749 (+1.306). Il movimento naturale è di 1.662 nati e 781 morti (differenza +881)
Gli iscritti per immigrazione sono 2.401 contro i 1.976 cancellati: l'incremento è di 425 unità.
Nel maggio 1945, il Sindaco ha emesso un'ordinanza per disciplinare i trasferimenti di residenza da fuori Comune, un provvedimento subito battezzato «divieto di immigrazione», e che non ottenne nessun effetto, visto che il fenomeno non cessa, anzi aumenta con i 2.401 immigrati del 1946 appena ricordati.
Da questo fatto derivava, scrisse Luigi Silvestrini, «la necessità di provvedere a nuovi alloggi e quindi alla riparazione delle case meno lesionate e suscettibili di un rapido restauro».

Il movimento turistico del 1946 è di 177.979 presenze: salirà, l'anno dopo, a 418.551 e nel 1950 supererà il milione.
In agricoltura si registra un incremento della produzione. Scatta una tregua salariale, però l'inflazione sale: «La forza delle organizzazioni operaie nei luoghi di lavoro impedisce la concreta applicazione dell'accordo: accanto al rifiuto dei licenziamenti si sviluppano nel Riminese anche forti rivendicazioni salariali», scrive Attilio Gardini nel secondo volume della «Storia di Rimini» edita da Bruno Ghigi.
Se ne lamenta nel proprio «Notiziario» la Camera di Commercio di Rimini, denunciando una violazione degli accordi interconfederali.

Le tariffe che abbiamo citato più sopra, sono il risultato della lotta sindacale che parte dai braccianti, interessa i lavoratori turistici e poi coinvolge anche quelli dell'industria.

Mentre nell'emergenza economica del secondo Dopoguerra, la gente è costretta a fare i conti con il proprio portafoglio, la città pensa al futuro.
Dopo le elezioni di ottobre (che portano alla costituzione della Giunta pci-psi, con rispettivamente 18 e 10 seggi), è eletto sindaco l'ing. Cesare Bianchini «uno dei più convinti sostenitori del piano Lapadula-Marconi e della convenzione con la società "Nuova Rimini"», scrive ancora Gardini.
Questo piano era stato «reso di pubblica ragione» nel luglio 1945, attesta Silvestrini che lo definisce «grandioso».
«Non manca, in tanta confusione e ansia di ripresa chi sogna una Rimini fantastica e hollywoodiana», annota Lombardini in «Rimini secolo XX»: «Si vuole correre, rifarsi del tempo lasciato indietro e si progetta l'abbandono della città vecchia per una Città del tutto nuova e moderna con la stazione ferroviaria alla Gaiofana, il 'centro' alla Colonnella, una trasformata e fantasmagorica industria alberghiera, un grandioso cantiere navale, piazze, giardini, servizi per 300.000 abitanti, ma come tutti i sogni anche quello del Comm. Alessandroni, un anconetano avventuroso che perderà di suo un centinaio di milioni in progettazioni fantasiose e irrealizzabili, non incanta i riminesi che non si lasciano ugualmente illudere dalle fantasiose esibizioni del Capitano Peter Natale, un americano venuto in Italia al seguito delle truppe alleate, in cerca più di avventure galanti che di glorie militari, ma che si acquista qualche merito nell'apprestamento dei primi soccorsi e riceverà in cambio la "cittadinanza onoraria"».

Di parere opposto al liberale Lombardini è il comunista Decio Mercanti che, ricostruendo l'«Attività del Comitato di liberazione di Rimini dalla Liberazione al suo scioglimento» (in «Storie e storia», n. 13, aprile 1985), ha scritto: «Il piano di ricostruzione e di rinnovamento ideato dall'ing. Alessandroni (in collaborazione con l'ingegnere-architetto La Padula, di Roma) sarebbe stato sovvenzionato dal suo gruppo ed era appoggiato dal tenente Natale, americano, il quale affermava di poter contare sull'aiuto finanziario di alcuni Americani interessati a questo progetto. In corso d'Augusto, angolo via Giordano Bruno si erano già preparati gli uffici per dare inizio al programma dei lavori. Il Cln, la Giunta, i partiti e gli altri organismi cittadini accolsero con entusiasmo il progetto».

Ma la "Nuova Rimini", in mezzo ai reali bisogni della città, restò soltanto un sogno. Il "piano Alessandroni", come annotò poi il socialista Liliano Faenza (nello stesso fascicolo n. 13 di «Storie e storia», «I partiti politici a Rimini [...] 1945-1948»), era «sfumato con i miti del West e dei pionieri, che aveva suscitati», e di cui si era fatto portavoce nel 1945 (racconta ancora Faenza), Renato Zangheri, uno dei giovani "quattro grandi" del comunismo locale, assieme a Nozzoli, Paglierani, Accreman. [7]

Rimini ieri. Cronache dalla città
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Antonio Montanari

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