Antonio Montanari

BIBLIOTECA MALATESTIANA
DI SAN FRANCESCO A RIMINI
Notizie e documenti, nuova edizione (2012)


1430. Un testamento.

Nel 1415 un Maestro di Grammatica, il «Venerabilis Vir Dominus Sampierinus Canonicus Arimini filius quondam Bartolini», lascia per testamento al «magnificum et potentem dominum Carolum de Malatestis» ed al venerabile uomo e canonico Angelo una sua casa, «in qua tempore suae vitae et mortis solitus fuit et erat tenere scolas grammaticales et scientiae grammaticalis» (Tonini, VI, 2, pp. 134-136).
Carlo Malatesti in quel tempo era noto anche per avere, nel 1397 a Mantova, quale capitano della lega antiviscontea, fatto rimuovere un’antica statua di Virgilio, con un gesto ritenuto da Coluccio Salutati oltraggioso verso la poesia, e da Pier Paolo Vergerio indegno d’un principe che pretenda di amare gli studi e la storia. [Fonte]
Quello di Carlo era stato soltanto un atto politico per segnalarsi al potere ecclesiastico, «credendo un delitto che i cristiani venerassero un uomo non cristiano», come si legge nella biografia di Vittorino da Feltre scritta (1474 ca.) dal suo allievo mantovano Francesco Prendilacqua.
Carlo Malatesti muore il 14 settembre 1429, lasciando il potere a Rimini in mano del nipote Galeotto Roberto (figlio del proprio fratello Pandolfo).
Il primo luglio 1430 Galeotto Roberto, essendo scomparso anche il canonico Angelo (l'altro erede del testamento del 1415), vende la casa di Sampierino per seguire l'intenzione dello zio Carlo, di «volere col prezzo di quella erigere in Rimini una Biblioteca a vantaggio di studenti poveri». Così Luigi Tonini (V, 1, p. 83) riassume i fatti.
Il denaro ricavato dalla vendita della casa, è consegnato da Galeotto Roberto Malatesti al Vescovo di Rimini Girolamo, con l'incarico (prosegue Tonini) «di erogarlo "pro fabrica et in auxilio fabricae Bibliothecae, et Libreriae antedictae"».
La figura del Vescovo Girolamo è centrale nelle vicende malatestiane di quegli anni.
Leggiamo nella «Cronotassi» di Luigi Nardi (1813): «Il Papa, morto Carlo, commise al nostro Girolamo d'intimare a Galeotto Roberto Malatesta la devoluzione degli Stati alla S. Sede» (p. 205).
Galeotto Roberto poi riesce ad ottenere dal Papa la «conferma», e nel 1431 manda Girolamo a Roma per prestare a suo nome obbedienza al nuovo Pontefice Eugenio IV (pp. 205-206).
L'intrecciarsi della sorte di Galeotto Roberto con le funzioni amministrative del Vescovo Girolamo, fa da sfondo alla scelta del nuovo signore di Rimini di donare alla Chiesa riminese la somma destinata alla Biblioteca voluta da Sampierino. La Biblioteca («construenda et fabrichanda in Civitate Arimini»), come si legge nell'atto del 1430, doveva essere destinata «ad comunem usum pauperum et aliorum studentium in facultatibus» (Tonini, VI, 2, p. 135).
Il concetto è ripetuto tre volte, in quest'atto di vendita. La prima è nella citazione riportata, quando si ricorda, come già abbiamo letto in Tonini (V, 1, p. 83), che Galeotto Roberto intende seguire l'«intenzione» dello zio Carlo (riferitagli dal proprio padre Pandolfo). La seconda volta quando si precisa che il ricavato dalla vendita della casa doveva essere speso «in auxilium Fabricae unius Librariae fiendae in civitate Arimini pro pauperibus studentibus». La terza volta infine quando è ribadito che la somma riscossa dalla vendita della casa va investita, come già abbiamo letto in Tonini, «pro fabrica seu auxilio Fabrice Biblioteche et Librarie antedicte...».
Possiamo dunque ipotizzare che le volontà originali di Sampierino fossero orientate verso una struttura laica, composta dai locali della Biblioteca e dalla raccolta dei materiali della Libraria.
Il risultato finale è che, con l'intervento di Galeotto Roberto che rimanda alle intenzioni dello zio Carlo comunicategli dal proprio padre, non si crea una nuova Biblioteca pubblica, ma si rende tale quella privata dei Francescani. Della quale è così arricchito il materiale già esistente.
In tal modo si crea una struttura che ha tre livelli: quello dell'ordine monastico preesistente (corrispondente all'organizzazione ecclesiastica); quello politico malatestiano che interviene a proprio nome, e quello civico per cui la Biblioteca è pubblica, ovvero aperta a tutti e soprattutto agli studenti poveri.
Galeotto Roberto, con questa scelta, vuole procurarsi un appoggio ecclesiastico in un momento in cui ne ha particolarmente bisogno, per evitare ulteriori tentativi di devoluzione di Rimini alla Santa Sede.
In questa prospettiva va letto un altro gesto di Galeotto: nel 1432 egli ottiene da Eugenio IV un «breve» che introduce per gli Ebrei il «segno» di distinzione obbligatorio.
(Il 13 aprile 1515 il Consiglio riminese stabilisce il dovere da parte degli Ebrei d’indossare una berretta gialla se maschi ed un qualche «segno», una benda anch’essa gialla, se donne. Il 22 luglio 1548 il Consiglio generale della città obbliga gli Ebrei riminesi a portare un distintivo ed a non abitare fuori delle tre contrade dove già si trovavano. Si anticipa così il provvedimento di papa Paolo IV che con la «bolla» intitolata «Cum nimis absurdum» del 17 luglio 1555 istituisce il ghetto in tutto lo Stato della Chiesa seguendo il modello realizzato nel 1516 dalla Serenissima Repubblica di Venezia.)
L'iter seguìto da Galeotto Roberto (vendita della casa di Sampierino e consegna del denaro da essa ricavato al Vescovo Girolamo) rispecchia formalmente le volontà del testamento di Sampierino, ma forse nella sostanza fa rientrare dalla finestra quello che si era fatto uscire dalla porta. Ovvero, vien da pensare che Carlo Malatesti, per rispettare i desideri del maestro di Grammatica, volesse non una Biblioteca "religiosa" ma laica, nello spirito delle idee umanistiche da tempo circolanti al proposito. Coluccio Salutati, scomparso nel 1406, ad esempio, aveva avuto «fisso in mente il modello, antico e moderno, della biblioteca pubblica» [A. Petrucci, "Le biblioteche antiche", Letteratura italiana, 2. Produzione e consumo, Torino 1983, pp. 527-554, p. 538].

Ma in casa Malatesti doveva essere ben presente il ricordo di Pandolfo II a colloquio con il Petrarca tra i suoi libri che il poeta nel 1362 destina a Venezia, in cambio di una casa, con il progetto proprio di biblioteca pubblica. Si veda al proposito la lettera di Petrarca intitolata "Ad Benintendi Venetiarum cancellarium de instituenda ibi bibliotheca publica". La definizione di bibliotheca publica nasce proprio con Petrarca.

Il progetto non va in porto, per cui Petrarca nel 1368 si trasferisce a Padova.
("Era il lungimirante disegno dell'istituzione di una pubblica biblioteca. Non ebbe attuazione, ma su quel l'idea si fondò la futura biblioteca di San Marco", si legge nel sito web proprio della Marciana: "L'idea della realizzazione di una biblioteca pubblica a Venezia prese forma per la prima volta con la permanenza di Francesco Petrarca nella città della laguna. Nel 1362 egli decise di donare i suoi libri alla Repubblica perché andassero a formare il primo nucleo di una più ampia raccolta aperta agli studiosi e amanti della cultura. Nella deliberazione di accettazione della proposta del poeta, il Maggior Consiglio prospettava le spese necessarie per adibire un luogo adatto alla conservazione di libri. Il disegno di Francesco Petrarca non ebbe però seguito". Nello stesso sito leggiamo: "Nel secolo successivo la donazione del 1468 dell'imponente e preziosa raccolta libraria del cardinale greco Bessarione, che giungeva a Venezia a partire dal 1469 e veniva ospitata in Palazzo Ducale [...] diede un reale impulso all'idea della costruzione della biblioteca dello Stato".La figura del Cardinal Giovanni Bessarione [1408-Ravenna 1472] interessa anche le vicende malatestiane riminesi a proposito del Tempio voluto da Sigismondo Pandolfo. Sui rapporti tra Bessarione e Malatesta Novello di Cesena, cfr. la scheda di F. Lollini.)

Insomma, anche per il gesto di Galeotto Roberto si può dire che, come la rimozione della statua di Virgilio da parte di Carlo Malatesti, si tratta di un atto politico per segnalarsi al potere ecclesiastico, con cui doveva convivere per sopravvivere quale principe.

Sulla situazione politica a Rimini nel 1430, si veda il cap. 1.2 di "Alle origini di Rimini moderna" [ed. 2012, in unico documento].
Qui leggiamo:
Il 14 settembre 1429, il potere passa nelle mani dei tre nipoti di Carlo: Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico Malatesta Novello. Essi sono figli naturali di Pandolfo III signore di Brescia, fratello di Carlo, deceduto nel 1427.
Carlo, senza prole da parte della moglie Elisabetta Gonzaga, li ha fatti legittimare dal pontefice Martino V nel 1428. Si legge solitamente che fu il solo Galeotto Roberto a subentrare allo zio Carlo nel governo di Rimini. E che a Sigismondo e Domenico toccarono rispettivamente Fano e Cesena (cfr. Tonini, V, 1, p. 80).
Ma come osserva Anna Falcioni in base ad una precisa documentazione (Galeotto, p. 110), appare certo che essi «non governassero indipendentemente i tre vicariati» ma anzi esercitassero il loro dominio congiunto sulle città di Cesena, Rimini e Fano, sino alla scomparsa dello stesso Galeotto Roberto, (10 ottobre 1432). A loro tre si unì la vedova di Carlo, Elisabetta Gonzaga.
Galeotto Roberto ha diciotto anni ed è il più anziano dei tre. Sigismondo ne ha dodici e Novello undici. Per questo fatto, a Galeotto Roberto è riconosciuta la direzione della Signoria.
Nonostante la giovane età, Galeotto Roberto ha modo di manifestarvi tutta la sua abilità diplomatica nei rapporti con Roma (Delvecchio, Sigismondo II, p. 35).
Contro Galeotto Roberto (ed i fratelli, dunque), a Rimini immediatamente si coagula «una pericolosa opposizione interna di matrice aristocratica in seno al consiglio» da lui stesso nominato (Falcioni, Politica, p. 142).
È un'opposizione che tra sabato 5 e mercoledì 9 maggio 1431 (come scrive Falcioni) sfocia «nell'iniziativa sovversiva di Giovanni di Ramberto Malatesti», un discendente di Giovanni lo Sciancato detto Gianciotto.
Il suo tentativo di colpo di Stato «fallì l'obiettivo ma riuscì a gettare la città nel caos», mettendo a repentaglio la stabilità dello Stato malatestiano.

Dal documento del primo luglio 1430 parte Mazzatinti quando nel 1901 pubblica un inventario del 1560 ne «La Biblioteca di San Francesco (Tempio Malatestiano) in Rimini». In questo saggio di straordinaria importanza, si sbagliano due date fondamentali relativamente al discorso sin qui condotto, forse per banali errori di stampa: il testamento è spostato dal 1415 al 1435, e l'atto di vendita della casa dal 1430 al 1440.

Il testo prosegue qui: Dopo il 1430


Indice Biblioteca Malatestiana di Rimini.
Mappa Biblioteca Malatestiana di Rimini.

Antonio Montanari
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1603, 31.01.2012, 17:22.
Agg. 22.08.2012, 10:06-REV GRAF.15.04.2019