Nodi Marinari




Struttura di una Corda
Corda con tre legnoli con commettitura a destra
Corde in fibra vegetale.
I popoli primitivi realizzavano delle corde grezze, ma molto resistenti, utilizzando radici, tendini, intestini. I Vichinghi impiegavano la pelle dei cetacei, mentre gli antichi Egizi adoperavano il papiro, dalle cui canne ricavavano anche la carta.  Attorno al 1271 Marco Polo scrisse di aver visto alcuni vascelli persiani legati fra loro con una "specie di corda fatta con fibre di cocco" e nel 1620 l'esploratore inglese George Weymouth affermò che gli Indiani che battevano le coste del Maine utilizzavano una "corda che rendevano grossa e resistente con la corteccia degli alberi". I cow-boys intrecciavano pelle non conciata per realizzare lazos e finimenti, mentre con il crine di cavallo ottenevano catene per gli orologi.
Le funi in fibre vegetali vennero usate fino alla seconda guerra mondiale: sisal, manilla, fibra di noce di cocco, canapa, juta, raffia e in alcuni casi lana e seta erano i materiali maggiormente utilizzati. I costruttori di corde si rifornivano di materiale da tutto il mondo: la manilla veniva dalle Filippine, la canapa dall'Italia e dalla Russia, la sisal (dal nome di un piccolo porto della penisola dello Yucatan) da Giava, dalla Tanzania e dal Kenia, le fibre di noce di cocco dal Malabar e dallo Sri Lanka.  Vi era poi cotone americano, lino della Nuova Zelanda, e sparto dalla Spagna e dal Nord Africa, dall'India, dalla Cina, dal Giappone e dalle Indie Occidentali.  Quando cambiamenti politici, sommosse o guerre interferivano con i commerci, i costruttori di funi erano costretti a procurarsi il materiale altrove: la guerra di Crimea, verso la metà del 1800, provocò una caduta della fornitura di canapa russa, che per riflesso portò il mercato a sostituire le fibre più morbide e più flessibili usate fino a quel momento con la più dura e rigida manilla, proveniente dall'Estremo Oriente.  La manilla, o canapa di Manila, si dimostrò di qualità talmente superiore che divenne ben presto il materiale per corde per eccellenza fino al 1941, quando la seconda guerra mondiale tolse dalla scena questo porto filippino e i produttori di corde furono costretti a trovare nuove soluzioni.  La risposta venne dai materiali sintetici e fu un vero e proprio passo in avanti.  In effetti, verso il 1831 nelle miniere di argento ungheresi e austriache venivano già usati cavi di ferro.  Sebbene nel 1960 fosse ancora possibile trovare chi vantava la resistenza di una sagola per arpioni di cinque centimetri in grado di opporsi a un peso di qualche centinaio di kg, nello stesso periodo le corde in nylon di pari diametro per alpinisti erano in grado di resistere a trazioni superiori a 1800 kg circa. 
Le corde in fibre naturali hanno sempre presentato diversi svantaggi: 
- una volta bagnate si gonfiano e si indeboliscono (la loro resistenza diminuisce circa del 30-40%), i nodi si comprimono e 
   tendono a rompersi con maggior facilità; 
- marciscono, si ammuffiscono e imputridiscono; 
- possono essere intaccate dal sole e dagli agenti chimici e sono influenzate dal clima; 
- il rapporto resistenza/peso è contenuto e sono perciò estremamente voluminose; 
- sono ruvide al tatto; 
- quando ghiacciano diventano simili a sbarre di ferro acuminate e sono tremendamente dolorose. 
Tuttavia, si prova una sorta di nostalgia del loro odore e dei loro caratteristici nomi: canapa indiana catramata (la migliore sul mercato), cotone egiziano (immacolato per gli yacht), fibre di cocco marrone peloso, e il lanuginoso sisal dorato.

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