TamTama * 10.2000 * Riministoria * Antonio Montanari

Riministoria
il Rimino

Riministoria. Antonio Montanari

Tama 775, 1.10.2000 (Ponte n. 34)

D.O.C

Ci sono degli austeri signori che settimanalmente ci parlano, da una tivù locale, della secessione romagnola. L’altra sera ho capito che si tesseva l’elogio del Romagnolo come del Galantuomo per eccellenza, per cui le due parole vanno sempre a braccetto, non so: come se si dicesse pic e nic. Ignoro se quelle persone (che conosco, e che in certe pubbliche occasioni culturali mi onoro di frequentare), siano consapevoli che ogni regola ha le sue eccezioni, e che per lungo tempo nell’Ottocento la parola Romagnolo richiamava alla mente il coltello pronto a sbudellare qualcuno.

Mi domando: che sia nata proprio allora la mitologia dell’uomo d’onore (che non perdona), del Galantuomo che poi vorrebbe soprattutto dire che uno non è un voltagabbana? Ma spesso a cambiare giacche, bandiere e coccarde sono più i tempi che gli individui, e fa sinceramente un certo effetto amaro sentire la Romagna di tradizione mazziniana e garibaldina accomunata per via di secessionismo (anche se con inevitabili distinguo), a certi progetti di sapore leghista. Ma questo non importa. Come la vedono fuori di qui, la nostra cosiddetta Regione? Una citazione da Internet: "Romagna è ormai sinonimo di trasgressione. Vacanza da sballo. Discoestate da consumare sulla pista, le onde dei decibel vi sommergono. La Romagna richiede un fisico bestiale per una vacanza bestiale".

Noi non siamo solo quello che siamo, ma quello che sembriamo (lo dicevano anche prima del Grande Fratello). Per esempio, Rimini ha sempre citazioni televisive un poco squallide, per via del cliché felliniano che ci appoppiano, come se noi avessimo brevettato la clonazione di certi tipi svitati, quale la signorina riapparsa di recente al Mauriziocostanzosciò, alla quale vengono attribuite particolari qualità oratorie tutte orientate sul vaneggiamento inconcludente, quasi dovesse rappresentare la quintessenza dell’elogio della bella burdela senza cervella. Orsù dunque, signori del vapore, cercate di proteggere i riminesi come fossero un vino a denominazione di origine controllata, ed adoperatevi, persino con i Vigili Urbani se necessario, perché non circolino le contraffazioni. [775]



Rubrica n. 776, dal Ponte n. 35 di domenica 8 ottobre 2000

Saggi, anzi no

Quando non funzionano le invenzioni della politica

 

Siamo un popolo d’inventori e da parecchi secoli ci esercitiamo con felici risultati nella nobile arte di sopravvivere. Le dominazioni straniere ci hanno vaccinato contro lo strapotere della politica. Mugugniamo, ma ci adeguiamo. Insomma sopportiamo tutto. Saremo quindi in grado pure di digerire una lunga campagna elettorale con fecondazione assistita, in attesa della nascita del bebé-governo nella prossima primavera.

Ma qualcosa però non è andato dritto. L’Ulivo aveva pensato di organizzare anche da noi quell’evento che negli Usa chiamano elezioni primarie, per scegliere il candidato da mettere in campo. Già si stava studiando il problema: come fare, dato che in Italia la faccenda non è regolamentata per legge? A chi affidare la scelta del leader? Già si pensava al solito comitato di Saggi, ma l’ipotesi è stata subito scartata, consapevoli che siffatti organismi sono molto lenti: impiegano mesi per costituirsi, settimane per convocarsi, anni per decidere. Hanno il senso dell’eternità.

Niente Saggi, ma una bella convention, tipo festa di Canale 5. Ma chi avrebbe dovuto condurre lo spettacolo? Giuliano Amato, primo ministro in carica, non ha dato il meglio di sé con quelle mossettine scodinzolanti che tutti i tiggì hanno mostrato, mentre cercava di dimostrare che non è un’aspirante miss. Lo sapevamo, ma lui non se lo ricordava, così come aveva perso memoria di una sua vecchia frase: politica, addio.

La salvezza ancora una volta si è chiamata Bruno Vespa, l’onnipresente cronista della nostra politica. Lunedì 25 settembre Amato ha spiazzato tutti nel suo salotto, dichiarando pretendente al trono il proprio rivale Francesco Rutelli. Crollavano i progetti della convenzione elettorale, delle primarie all’americana, della svolta storica (basta con il predominio dei partiti, diamo la parola alla gente: confessione un po’ anomala che l’aristocrazia sopravvive nelle corti romane). E’ già la seconda volta, come minimo, che l’Ulivo fa flop, sul terreno delle invenzioni. D’Alema si era illuso con la bicamerale, prima di finire capo del Governo e disprezzare con la solita smorfietta i giornalisti. Adesso, ahinoi, fa il giornalista e come argomento iniziale per la sua campagna elettorale se l’è presa con l’ex convivente in Bicamerale, Silvio, reo di trasmettere quel Grande Fratello che il Berlusconi Padre odia. [776]

Rubrica n. 777, dal Ponte n. 36 di domenica 15 ottobre

Di tutto. Di meno

Come non funzionano le cose riminesi

 

Notizie sconvolgenti. Ci si è accorti che la mancanza di una viabilità adeguata può provocare rogne alla Nuova Fiera. Dove passeranno le seimila auto previste in transito su via San Martino in Riparotta? Se il vicesindaco Ds Melucci dice che mancano i soldi, il capogruppo del suo partito, Giorgio Grossi, gli risponde: troviamoli. Qualche altro fa osservare che, miliardo più miliardo meno di debiti (sarebbero 50 in totale), non ci si può permettere il lusso di inaugurare una nuova struttura strangolata dal traffico.

Il Quartiere 5, tira le orecchie agli amministratori di Palazzo Garampi: non sapete programmare. E poi espone un’altra simpatica vicenda. A Viserba, non si può prolungare via Sozzi a causa del rilascio di due licenze edilizie concesse, a quanto pare, per un errore di lettura di una cartografia del 1991 (e per mancanza di sopralluogo, denuncia un Comitato locale).

Altro giro, altro regalo, dicevano gli imbonitori delle vecchie fiere di paese. Il carro armato dissepolto alle Celle doveva far sorgere un Parco della Pace. Scoperto che le casse sono scoperte, si era ripiegato sopra un semplice monumento nel vecchio fortino della via Emilia. Adesso, leggiamo, si pensa di collocare il carro all’interno di un museo (di che cosa?) da ricavare in futuro presso l’ex colonia Novarese.

Teatro Galli. Sembra che Adolfo Natalini abbia ingranato la retromarcia, in tre mesi stenderà un nuovo progetto su richiesta del Comune per mettere d’accordo tutti. Proposta: istituire una mostra permanente di tutti i progetti dell’architetto fiorentino. Mancando un teatro, non difettano le buone intenzioni. Vanno mostrate e dimostrate.

Temporali d’autunno. Francesca Fabbri, figlia di Maddalena e nipote di Federico Fellini, ha abbandonato la fondazione intitolata al registra riminese. Chi credeva che fosse una bizza giovanile oppure una bega famigliare circoscritta, facilmente risolvibile, può essere rimasto deluso: Francesca ha ricevuto la solidarietà del comitato scientifico della fondazione. A torto o a ragione (lasciamo ad ognuno le sue opinioni), con lei se ne sono andati, tra gli altri, il Vincenzo Mollicone televisivo, Tullio Kezich (biografo ufficiale di Federico), la Lietta Tornabuoni, grande scrittrice non soltanto di cose cinematografiche, e soprattutto una bella coscienza capace di denunciare i vezzi ed i vizi del nostro tempo. Quanto sei grande, Rimini.[777]

Quanto sei grande, Rimini.

Rubrica n. 778, dal Ponte n. 37 di domenica 22 ottobre 2000

Archivio Tam Tama

Propongo

In vista delle elezioni politiche

Ci stiamo avviando verso quota 50 partiti politici, alla faccia dell’antico progetto di semplificare le cose in senso bipolare. Sono necessari provvedimenti finalizzati a rendere chiara la scelta elettorale ad ogni cittadino. Propongo, dagli abissi di questa rubrica, l’adozione di un sistema simile a quello praticato con le confezioni medicinali, all’interno delle quali c’è un foglietto di istruzioni per l’uso, notoriamente chiamato (un tempo) bugiardino.

Come per gli sciroppi o le compresse si dichiarano componenti, controindicazioni ed effetti collaterali, si potrebbe ricorrere allo stesso sistema non soltanto per i singoli raggruppamenti, ma anche per gli stessi leader e per tutti i candidati.

Mi si può obiettare che qualcosa di simile, quanto a bugie, esiste già negli opuscoli che ad ogni campagna elettorale girano per le nostre mani. Ma io non propongo bugie, bensì la verità.

Sappiamo tutti che ognuno dei candidati vuol sottolineare le proprie magnifiche doti (fin dalla più tenera infanzia ha avuto a cuore i problemi della società civile); le capacità di individuare i temi più scottanti (ha scritto poesie, saggi, tenuto conferenze, giocato a biliardo, e vinto sette terni al lotto); e l’abilità con la quale ha fatto carriera (alto dirigente d’azienda, manager, imprenditore di successo, avvocato di grido, commercialista abilissimo, docente esimio, femminista della prima ora, fedele ai propri ideali, che furono di mano in mano aggiornati secondo le necessità dei tempi e delle pagnotte).

No, queste sciccherie esistono già, introduciamone di nuove. L’imputato, pardon il candidato si confessi, dichiari tutto (non come per le tasse), precisi ogni aspetto biografico. Dica, ad esempio, sono stato piduista; ho tre mogli e pertanto credo nella famiglia; ho fatto i miei interessi ed ora curerò i vostri; sono stato amico di tizio, che ora odio cordialmente perché non mi ha fatto fare la giusta carriera che meritavo, ecc.

Illustri le controindicazioni: chessò, dica ad esempio: se credi nella famiglia di cui ti ha parlato il prete all’altare quando ti sei sposato, non mi votare perché io sono contro il divorzio e la poligamia musulmana, ma di mogli te ne concederei quante vuoi.

E non dimentichi gli effetti collaterali: sono un uomo onesto, non mi imitare, oppure: sono un dritto, pericolo di contagio. Ed infine, mettere la data di scadenza, con obbligo di rispettarla. [778]

Rubrica n. 779, dal Ponte n. 38 di domenica 29 ottobre 2000

Archivio Tam Tama

Giudizio

Federico Fellini è dimenticato?

Una signora olandese che negli anni ’60 lavorò a Rimini "quando era ancora il paese di Federico Fellini", si è lamentata con un quotidiano locale come il regista qui da noi sia dimenticato. Ritornata per una visita, si è recata in via Oberdan "in cerca della casa natale di Fellini", aspettandosi "di trovare una lapide con il suo nome o magari un museo", invece niente.

La biografia di Tullio Kezich racconta che Fellini non nacque in via Oberdan, ma in viale Dardanelli 10, alle ore 21.30 del 20 gennaio 1920, fra tuoni e fulmini. Lui poco dopo dovette inventarsi, come al solito, una versione leggendaria del fatto, se un giornale scrisse che il lieto evento avvenne in treno "tra Viserba e Riccione, precisamente anzi a Rimini". Kezich ha potuto constatare, oltretutto, che quel giorno era in atto da dieci giorni uno sciopero dei ferrovieri, condannato dal foglio cattolico "Ausa" che scriveva un "Elogio del Krumiro" ed accusava i rossi di consumare troppo champagne ai loro veglioni.

Questo è il particolare che spiega il motivo per cui la signora non potrà mai trovare un ricordo sulla casa natale di Fellini in via Oberdan. Strano che nessuno le abbia detto che invece, all'ingresso del Cimitero, c’è il monumento con la tomba del regista e di Giulietta Masina. Rimini non ha dimenticato Fellini da morto, lo ha sempre ignorato da vivo, e questo è un altro discorso, diverso anche da quello delle beghe legate alla Fondazione che porta il suo nome.

Con sottile perfidia, Kezich apre il suo libro con una citazione di Benito Mussolini ("Rimini? Scarto delle Marche e rifiuto della Romagna"), che spesso è stata riproposta da Liliano Faenza, un riminese eretico di bella penna. In quarant’anni, da quando Fellini arrivava a Rimini di notte e vedeva pochi amici intimi, ad oggi che il suo nome accompagna quello del Passatore nelle etichette dei vini, che cosa è cambiato nella nostra mentalità collettiva?

Rimini resta una città dal pessimo carattere. Un amico, calmo di spirito ed estraneo a competizioni culturali, economiche e sociali, ma molto partecipe alla vita pubblica, mi diceva l’altra sera, che da noi lo sport cittadino preferito è quello di sparlare di un’iniziativa, di un progetto o di un libro, prima ancora che essi vengano delineati o presentati. Si parla a vanvera. Come in "Amarcord" fa il celebre Giudizio, personaggio che non vorremmo diventasse simbolo della città. [779]

 

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