Antonio Montanari
Tam Tama di Maggio 2002
Sommario
828. Musica (26.5)
827. Lavaggi (19.5)
826. No Martini? (12.5)
825. Il cappello (5.5)
Indice del Tam Tama 2002
Tama 828. Musica
Dice un antico proverbio: cambiati i suonatori, la musica resta sempre quella. Verità che vale dappertutto, tranne proprio che nel campo dei concerti o delle opere liriche dove la mano di chi dirige lascia la sua impronta indelebile. Nella vita economica non si è a teatro. Non esistono sensibilità individuali, non valgono preparazioni diverse, non emergono scuole di pensiero dissonanti. Tutto il baccano che ognuno fa per dire: noi non siamo come loro, precipita in un soporifero tran tran ripetitivo. Anche il nuovo che avanza, di fronte ai disavanzi della Fiat, non sa far altro che ritirar fuori la vecchia tiritera dell'aiuto pubblico, dell'intervento dello Stato, all'insegna di quell'aurea massima del capitalismo italiano che recita: privatizzare gli utili, collettivizzare le perdite.
Il quotidiano della famiglia Agnelli venerdì 17 apriva la pagina economica con un titolo su tutte le colonne: «Berlusconi: pronti a valutare interventi per l'auto». Nel testo si riportava tra virgolette un comunicato secondo cui «il governo è a disposizione per esaminare possibilità di intervento sempre senza arrivare a provvedimenti che possano violare la libertà di mercato e la parità degli imprenditori sul mercato». Dev'essere un tic mentale del Cavaliere quello di dichiararsi sempre «a disposizione» di qualcuno.
C'è già il precedente americano: disposto all'obbedienza aveva detto a Bush, ma poi ricevuto l'ordine di ospitare i tredici pensionanti palestinesi ha risposto di bussare al rissoso Hotel Europa. Auguriamo agli Agnelli, e soprattutto ai loro operai, che non sia un bis, che non si tratti di promesse da marinai.
Quarant'anni fa il governo introdusse una tassa sulle auto di lusso. Il ministro Colombo dovette correre in gran fretta in aereo a Torino per consegnare il decreto che la ritirava. Era l'epoca in cui a palazzo Chigi c'era Aldo Moro. Immaginiamoci adesso. Finalmente, le cose si fanno in maniera più accelerata. Nessuno pensa alle tasse sulle auto di lusso, nessuno deve volare a Torino, nessuno deve scusarsi tanto con la Famiglia Agnelli. Tutto è più veloce. Si studieranno formule intelligenti per premiare il management stapagato della Fiat, che quando non ne imbrocca una sa che non pagherà di persona, ma farà pagare le proprie incapacità sia al cittadino comune sia al semplice lavoratore della società e delle fabbriche dell'indotto.
E' la via al capitalismo italiano: buone intenzioni e cattivi manager.
Antonio Montanari [Ponte n. 20, 26.5.2002]

Tama 827. Lavaggi
All'indomani dell'11 settembre, il presidente del Consiglio Berlusconi aveva detto agli Usa di essere «a disposizione» per ogni evenienza. Quando, chiudendosi la vicenda della basilica della Natività, il governo americano ha ordinato al nostro di prendere in custodia i tredici palestinesi espulsi, il ministro degli Esteri italiano Berlusconi ha risposto picche. Fu allora che si scoprì allegramente l'esistenza dell'Europa come luogo deputato in cui (far) pelare le patate bollenti senza scottarsi le mani delicate, ed anzi acquistando meriti internazionali.
Alla vigilia d'un turno elettorale amministrativo che non preoccupa la Sinistra (sicura di non guadagnare voti, se tutto andrà bene) e che non inquieta la Destra (i sondaggi le danno il 122% dei suffragi totali nella peggiore delle ipotesi), la maggioranza di governo ha pensato di proporre la sospensione di alcune trasmissioni televisive della Rai, imponendo il silenzio totale a Enzo Biagi, Maurizio Mannoni, Michele Santoro e Bruno Vespa.
L'elenco è in rigoroso ordine alfabetico, non indica alcuna classifica di pericolosità sociale. Pur facendo ogni sforzo di fantasia non capisco che cosa apparenti il mite Bruno Vespa con gli altri tre celebri colleghi, due dei quali recentemente, da Berlusconi in trasferta bulgara, sono stati accusati addirittura di un «uso criminoso della tv».
Vespa è il simbolo della par condicio, l'unico conduttore televisivo che ha fatto da arbitro tra due onorevoli parlamentari donne che tentavano di prendersi a calci. Figuriamoci se possiamo inserirlo tra quei faziosi di cui il ministro Rocco Buttiglione ha ammesso l'esistenza, facendo però notare che «Biagi, Santoro e Vespa sono stimatissimi professionisti», e che «la democrazia italiana sopravviverebbe anche alla sospensione dei loro programmi per tre settimane». Forse il ministro voleva dire soltanto due cose. Che il buon Mannoni di Rai3 non è uno degli «stimatissimi professionisti» in quanto combattente e reduce dalla storica Telekabul. E che alla «democrazia italiana» non serve l'informazione pubblica, bastandole quella privata.
Il ministro Maurizio Gasparri ha invece dedicato un pensiero gentile all'on. Gustavo Selva di An, ricordandolo come ex piduista che non deve rompere «le scatole». Per Selva sono cose di cui Gasparri dovrà pentirsi, «infamie che andranno lavate col sangue». Ovviamente durante una diretta di Bruno Vespa della serie «Come lavare i cervelli».
Antonio Montanari [Ponte n. 19, 19.5.2002]

Tama 826. No Martini?
Luciano Canini mi ha scritto una lettera (vedi lo scorso Ponte), dai toni graziosamente apocalittici, sui quali non concordo. Non hanno ragione i reazionari dell'Ottocento i quali pensavano che la democrazia avrebbe «alla lunga» avvelenato morale e religione. Società liberale e democratica non sono la stessa cosa, e non abbiamo bisogno di un «onesto Bonaparte cattolico» (cosa del tutto improbabile se non impossibile, per un contrasto semplicemente logico fra gli aggettivi ed il sostantivo).
Abbiamo bisogno invece di tanti cardinali Martini che dicano, come lo scorso primo maggio ha fatto l'arcivescovo di Milano, che occorre «una partecipazione convinta e unitaria per i comuni obiettivi di giustizia ed equità». E che «non serve tanto lamentarsi ma serve unire insieme capacità e sensibilità e costruire, con le altre forze sociali e istituzionali, una realtà più umana».
Quanto ai giornalisti, Canini li considera degli anarchici pericolosi. Alcuni aneddoti. Mario Missiroli negli anni '50 diresse il Corrierone. A chi gli suggeriva di trattarvi argomenti spinosi, rispondeva sempre che, per farlo, sarebbe stato necessario avere a disposizione un giornale. In un suo recente (e postumo) libro-intervista, Indro Montanelli ricorda che Missiroli ad ogni crisi di governo «scriveva tre fondi, sempre gli stessi». Il primo era intitolato «Grave errore», perché ogni crisi turbava lo status quo. Dopo cinque o sei giorni, veniva il secondo, «Sulla buona strada». Infine, conclude Montanelli, giungeva il terzo, «La giusta soluzione». Nella rubrica «Iceberg» della Stampa (proprietà della Fiat), il 3 maggio si è letto che «la prova cruciale della vitalità di una democrazia è la vitalità dei suoi media».
Un ricordo di famiglia. Quando ci fu la tragedia del Vajont mio zio Guido Nozzoli scrisse per il Giorno degli articoli sulle responsabilità della società che gestiva la diga idroelettrica: fu denunciato e processato. A chiedere la sua assoluzione in sede dibattimentale, fu addirittura il Pubblico ministero. Dai cronisti ai politici: è uscito il diario postumo di Paolo Emilio Taviani. Forse nei prossimi giorni se ne discuterà. Scotteranno le sue rivelazioni sulle stragi, a partire da quella del 12 dicembre 1969, a piazza Fontana: egli tira in ballo «settori deviati dei servizi segreti». Chi ha la mia età, sa che non sono affermazioni originali. Allora non le scrissero gli ex ministri, ma certi giornalisti piantagrane.
Antonio Montanari [Ponte n. 18, 12.5.2002]

Tama 825. Il cappello
Fratelli d'Italia? Un serio conservatore come Piero Ostellino propone di cambiare inno: Fratelli De Rege andrebbe bene con quel «Vieni avanti, cretino» ben adatto, sostiene, alla nostra classe dirigente. Preoccupa che a parlar male di Berlusconi siano proprio i suoi più antichi estimatori.
L'Italia cosiddetta ufficiale, per il 25 aprile, si è divisa in più correnti. Ciampi ha detto che la Resistenza fu reazione delle coscienze a fascismo e nazismo. Il Cavaliere, anziché andare con il capo dello Stato ad Ascoli Piceno, è stato in vacanza in Sardegna, da dove ha mandato un messaggio per ricordare Edgardo Sogno, un monarchico resistente «al fascismo ed al comunismo», ma poi (aggiungo io: mi consenta, presidente) coinvolto in un tentativo di golpe.
Per il presidente del Senato Pera, dalle doverose celebrazioni della Resistenza occorre eliminare le «discriminazioni di parte». Casini, presidente della Camera, invece ha definito il 25 aprile «festa di tutti gli italiani», mettendo ancora una volta il proprio cappello sulla sedia di palazzo Chigi.
Intanto Fini ha ricevuto il plauso delle Comunità ebraiche per bocca di Amos Luzzatto («E' più avanti di Berlusconi, accetta i valori della Resistenza»), ed il Consiglio d'Europa ha definito la Lega un movimento «razzista e xenofobo», insomma la brutta copia del francese Le Pen. Il quale, abituato al pari di tutti i suoi connazionali a fare prediche a noi italiani, definisce Berlusconi alleato di un partito neofascista e chiama l'altro Cavaliere, Benito Mussolini, un ex socialista, figlio della Rivoluzione francese. Le Pen teme la concorrenza dei reazionari nostrani, e vuole l'esclusiva nazionalistica (niente Fratelli d'Europa).
Invece i Fratelli d'Italia si sono accordati in seduta congiunta delle Camere, dopo diciotto mesi, per i due giudici costituzionali mancanti, e dopo lo sciopero della sete, sull'orlo di un ricatto suicida, di quel rompiballe istituzionale di Marco Pannella. Il pomo della discordia era Filippo Mancuso di Forza Italia che, accantonato, con spirito fraterno e di partito ha dato del traditore a Berlusconi e del bandito a Cesare Previti (ovvero, Fratelli coltelli).
Al posto di Mancuso è stato eletto il prof. Romano Vaccarella, avvocato di Berlusconi nella causa contro Daniele Luttazzi (con una richiesta di danni morali per 20 miliardi).
Qualche volta sanno essere Fratelli. Se non d'Italia, almeno di Forza Italia.
Antonio Montanari [Ponte n. 17, 5.5.2002]


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