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Ponte di Tiberio e dintorni. 1. Gaetano Bresci.


Appunti e divagazioni.

Nel settembre 1888 il re Umberto I visita il lido ed il Kursaal, e pronuncia queste parole: «Qui può venire chiunque».
Pure Gaetano Bresci (1869-1901), l'anarchico giunto dall'America, passerà da Rimini prima di recarsi a Monza per regolare domenica 29 luglio 1900 i suoi conti con lo stesso sovrano.
Ospitato nel borgo San Giuliano dall'oste Caio Zanni (1851-1913), Bresci con la rivoltella portata da Paterson (New Jersey) si esercita nel cortile di palazzo Lettimi sotto gli occhi di Domenico Francolini (1850-1926), un borghese prima repubblicano, quindi socialista ed infine anarchico. Francolini abita lì con la moglie, donna Costanza Lettimi (1856-1913).
La notizia inedita era raccontata dallo scrittore e giornalista Guido Nozzoli (1918-2000), e trova conferma in altre fonti orali inedite da cui apprendiamo che Zanni, noto alle autorità come anarchico, fu arrestato dopo il regicidio e trasferito al carcere di San Nicola di Tremiti.
Forse Bresci si ferma a Rimini prima di andare dalla sorella a Castel San Pietro, dove secondo i suoi biografi conosce un'operaia, la ventitreenne Teresa Brugnoli, che porta con sé a Bologna sino al 21 luglio quando parte per la Lombardia. Ma cronache giornalistiche del tempo spiegano che Teresa Brugnoli, fervente anarchica, era l'amante di Bresci già a Paterson dove aveva lasciato una figlia di diciassette anni. Quindi anche lei era giunta in Italia dall'America, e non aveva soltanto ventitré anni.
Da palazzo Lettimi, come testimoniava una lapide dettata nel 1907 da Domenico Francolini, s'erano pure mossi «nel 1845 gli audaci rivoltosi, preludenti l'italico risorgimento», guidati da Pietro Renzi.

Il 22 dicembre 1854 davanti alla Rocca malatestiana la ghigliottina aveva mozzato il capo di Federico Poluzzi, soprannominato «Bellagamba», fratello di Laura che era la madre del ricordato anarchico Caio Zanni che ospitò Bresci.
Secondo Carlo Tonini (1896), Poluzzi era un assassino abituale («imputato, come dicevasi, di molti omicidii»), che doveva rispondere soltanto dell'uccisione di don Giuseppe Morri, mansionario della cattedrale: «La pena era il taglio della testa colla ghigliottina, e fu eseguita sopra un palco eretto nella piazza Malatesta, o del Corso, sul campo presso la rocca. Intrepido porse il collo alla scure: e un senso di ribrezzo e di orrore ne rimase per lunga pezza al popolo non usato a così fatti spettacoli».

Guido Nozzoli nel 1992 ha scritto: Bellagamba non era uno stinco di santo, anzi aveva fama pessima. Di natura indocile e considerato pertanto una «testa calda», doveva essere uno di quei giovani che, nei giorni inquieti di allora, «tra lom e scur i andeva a prét e a pulizai»; nulla deponeva a suo favore, anche se «tra chi lo conosceva, si sussurrava che altri fossero gli uccisori di don Morri e che lui avesse rinunciato a difendersi presentando un alibi per non compromettere la moglie di un fornaio con cui aveva trascorso in intimità l'ora in cui era stato ucciso don Morri».

Fonte di questa pagina:
Nuova ed originale "Storia di Rimini" edita da Bruno Ghigi.



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