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I racconti di ABI 2

LA RICREAZIONE

La ricreazione a scuola è uno dei momenti più belli. Si mangiano le merendine portate da casa, si gioca con i compagni, si scambiano le figurine, ci si riposa un po' prima di riprendere a insegnare alla maestra Franca.

Però, qualche volta, la ricreazione diventa un supplizio.

Me ne sono reso conto una mattina quando un bambino di seconda si è nascosto terrorizzato dietro di me, piangendo. Io non capivo cosa gli fosse successo e glielo stavo chiedendo quando lui mi disse di tacere, per favore, altrimenti lo scoprivano.

Il bambino di seconda è senegalese: cioè, lui è italiano perché è nato in Italia, ma è figlio di senegalesi che sono venuti nel nostro Paese anni fa per lavorare. E una banda di ragazzini di quarta e quinta lo perseguita perché lui, evidentemente, è diverso dalla maggior parte degli italiani: lui è nero.

Enon si può dire che non sia vero perché è proprio nero: intenso, lucido, liscio e nero.

Anche lui sa di essere nero. Lo sa da quando gli hanno fatto capire che è diverso dagli altri, da quando la banda gli ha detto che non è uguale a loro.

Io non mi ero mai accorto che Marco, il bambino senegalese, era nero. Nel senso che non ci avevo mai fatto caso più di tanto. E solo quando mi ha spiegato di essere perseguitato dagli altri ragazzini, mi sono reso conto che aveva qualcosa evidentemente diversa da me. L'ho tenuto nascosto fino alla fine della ricreazione, poi, al suono della campanella, l'ho accompagnato in classe e, di ritorno nella mia, ne ho parlato a Franca e ai miei compagni.

La maestra, che in quel momento era ritornata solo maestra, mi ascoltò con attenzione, seria, e al termine del mio racconto, ci chiese che cosa ne pensavamo, se pensavamo che Marco fosse veramente diverso da noi.

Annalisa: "Io penso di no".

Enrico: "Io penso che abbia solo il colore della pella diverso dal nostro e basta".

Lucia: "Non è diverso dagli altri bambini, non più di quanto lo sia io".

Giulia: "Non è che solo perché è nero deve essere de riso".

Giorgio: "E' vero che apparentemente è diverso da noi, ma è come noi, con gli stessi diritti".

Stefano: "Anche quello di fare ricreazione in pace".

Paola: "Quei bambini sono razzisti".

Silenzio.

La maestra: "Si comportano come tali, per lo meno. Io sono convinta che 'la banda' consideri un gioco perseguitare Marco. Non lo fanno per cattiveria, ma per gioco. Del resto prima che arrivasse Marco scorazzavano per il cortile o i corridoi a fare dispetti alle bambine o a stuzzicarsi tra loro. Marco è il nuovo obbiettivo, quello che tiene tutti uniti. Anche i più timidi, adesso, fanno parte della banda senza timore di essere oggetto di scherzi, perché l'attenzione di tutti si focalizza su Marco che, oltre tutto, non si difende. Perciò c'è il gioco assicurato, senza che nessuno di loro si renda conto di quanto può fargli male, di quanto può essere cattivo. Non penso che siano bambini razzisti, ma ciò non toglie che si comportino da tali. Magari realizzando in una banda ciò che sentono dire dai genitori o dalla televisione o che leggono sui giornali. Dovete aiutare Marco, difendendolo dagli scherzi più cattivi, ma dovete aiutare anche gli altri bambini a capire che, emarginando un bambino, emerginano la possibilità di imparare da lui a convivere con un'altra cultura, sicuramente affascinante. Avete l'occasione di abituarvi a vivere in una socità multirazziale, quella del nostro prossimo futuro: cercate di usarla bene".

Così, abbiamo messo a punto un piano.

Innanzi tutto abbiamo scritto una lettera indirizzata a tutte le cinque classi della scuola, con la quale spiegavamo quello che succedeva a Marco tutte le mattine; abbiamo proseguito dicendo che non era giusto e spiegando in breve perché; abbiamo chiesto l'aiuto di tutti per fare trascorrere meglio la ricreazione a Marco e abbiamo scritto che lo avremmo difeso da altri attacchi della 'banda' che si era formata contro di lui.

La lettera fu apprezzata moltissimo dalle insegnanti e dal direttore, ma tutti noi avevamo una grande paura. Gli altri ragazzini, più grandi di noi, potevano vendicarsi e farci dei dispetti cattivi e rovinare anche a noi la ricreazione. Eravamo in tanti però, tutti e venti, e se stavamo tutti assieme non potevamo temere niente. Eppoi, perché la ragione deve avere paura del sopruso?

Io, comunque, l'ho detto al mio papà e lui si è arrabb iato nei confronti dei bambini che erano così cattivi con Marco.

Io ho pensato che non mi ero mai accorto che Marco fosse diverso da me perché nella mia famiglia non mi hanno insegnato a notare le differenze. Ancora una volta ho capito di essere un bambino fortunato. Papà ha detto che avevo fatto bene a parlare con la maestra sollevando il problema e che non dovevo avere paura: avrebbe parlato con le insegnanti e con i genitori dei bambini di quarta e quinta se la cosa fosse continuata.

L'indomani mattina la ricreazione filò liscia. Marco restò con noi tutto il tempo e noi non restammo da soli: tutti i suoi compagni di seconda si strinsero attorno a noi, e attorno ai bambini di seconda che stavano attorno a noi che stavamo attorno a Marco si schierarono le maestre e dietro le maestre, che nel frattempo si complimentavano con noi per la nostra bontà, si schierarono i bambini di prima che non avevano capito niente, ma si divertivano lo stesso.

Marco era stordito perché non solo non poteva muoversi con tutta quella gente attorno, ma perché si ritrovò tra le mani pile di merendine, caramelle, biscotti, che tutti gli offrivano per dimostrargli la loro amicizia.

Il giorno dopo fu il mio turno: Marco aveva detto in giro che era stata tutta un'idea mia e così un sacco di gente si complimentava dandomi buffetti sulle guance e pacche sulle spalle. Che strazio!

Persino i genitori di Marco mi coprirono di elogi all'uscita da scuola perché il loro bambino adesso era pieno di amici che gli volevano bene e secondo loro era tutto merito mio. Non potevo dire niente perché io sono solo un bambino e i grandi, quando si mettono in testa una cosa sui bambini, pensano che sia vera anche se non lo è. Però mi faceva piacere per Marco che era un bambino simpatico, oltre tutto.

La tregua durò per qualche giorno, poi la banda cominciò ad avvicinarsi quanto più diminuiva il cerchio intorno a noi: ci dicevano parolacce e ci sfidavano e Marco cominciò ad avere ancora paura.

Il mio papà è adorabile. Il giorno che sono tornato a casa triste perché mi rendevo conto che la situazione precipitava, lui mi fece aprire una grossa scatola. C'erano dentro alcune Mini 4 WD, dei modellini di automobili da montare, che corrono velocissime.

"Sono per te", mi disse ed io non credevo ai miei occhi. Le abbiamo montate assieme, io e papà, e le abbia mo fatte correre per tutta la casa. Poi mi ha detto: "Perché non le porti a scuola, domani?".

Il mio papà è proprio un grande papà: e le Mini 4 WD sono state un vero successo.

Le ho portate a scuola e alla ricreazione, invece di andare a prendere Marco nella sua classe come facevo da più di una settimana, ormai, sono andato davanti alle porte delle classi quarta e quinta, vicine in fondo al corridoio. Ho aspettato che uscissero i bambini della banda e ho chiamato Sandro, il loro capo. Mi tremavano le gambe.

"Vuoi fare una gara con le mie Mini 4 WD in cortile?".

"Fammele vedere!".

Sandro restò a bocca aperta a guardare dentro la sacca dove avevo riposto le automobiline.

"Dove le hai prese?".

"Me le ha regalate mio papà".

Stavo diventando interessante.

"E il tuo amico negro, dov'è oggi?".

"E' giù".

"Fai giocare anche lui con queste?".

"Sì, certo".

Sandro restò in silenzio perplesso. Forse non gli piaceva l'idea di giocare con Marco, ma la tentazione di avere tra le mani quei gioielli di macchinine era troppo grande.

"Va bene, andiamo".

Ci siamo divertiti un sacco. In cortile Marco se ne stava in disparte, ma io sono andato a prenderlo e l'ho fatto giocare con noi. E' molto bravo con le automobiline, Marco.

"Che schianto!" disse Sandro della Mini che stava usando proprio mentre suonava la campana della fine della ricreazione.

"Domani ci giochiamo ancora?" gli chiesi.

"Le riporti?".

"Sì, certo".

"Mi presti quella blu?".

"Va bene":

Sandro si girò verso Marco. "Tu sei un vero asso con queste, ci vediamo domani" e se ne andò in classe.

Sandro e Marco sono diventati amici.

IL PROBLEMA

Qualche volta nella vita i problemi ai quali non pensi, che se te li raccontassero non crederesti capaci di caderti addosso così, da un momento all'altro, si materializzano davanti a te e diventano enormi macigni che pesano, pesano.

Il problema, una mattina, si è materializzato con la faccia di Luca, un mio compagno di classe. E' arrivato a scuola con un occhio gonfio e una guancia che sembrava quasi nera. Era triste, la faccia e Luca, e non aveva voglia di parlare.

Franca, la maestra, non gli ha chiesto spiegazioni, ma noi eravamo curiosi. Tuttavia Luca restava chiuso nel suo silenzio.

Ametà mattina, dopo la ricreazione, la maestra ha mandato Luca in direzione con il registro dicendogli che doveva presentarlo alla segretaria ed aspettare finché non glielo avessero ritornato.

Appena uscito Luca con l'incarico più impegnativo che gli fosse mai stato assegnato, la maestra, sedendosi sul bordo della cattedra, si rivolse a noi chiedendoci cosa pensavamo gli fosse successo.

Noi ci siamo guardati l'un l'altro senza rispondere. Poi la vocina di Maria disse: "Per me è stato picchiato".

Ecosì il problema si è materializzato tra noi e non capivamo troppo che fosse un problema ed allo stesso tempo sì, perché quando alla televisione si vede un bambino picchiato è un problema grosso e i telegiornali dicono che non deve più stare con i suoi genitori. Che tristezza.

Franca non parlava e noi cominciavamo ad agitarc i sulle sedie.

Enrico: "Anch'io prendo gli sculaccioni ogni tanto".

-Anch'io..., anch'io..., anch'io...

Franca ci guardava, proprio continuando la drammatizzazione: lei era l'allieva e noi i maestri.

Enrico: "Però non mi hanno mai fatto così male".

Maria: "Sarà stato molto cattivo".

Annalisa: "No, non può essere stato tanto cattivo; sono cattivi i grandi".

Franca: "Prendete il quaderno dei temi e scrivete questo titolo: 'Sono cattivi i grandi?' poi svolgete il tema".

Luca rientrò in classe dopo poco e anche lui prese il quaderno dei temi e copiò il titolo e cominciò a svolgere il tema.

IL TEMA DI MARIA

Igrandi non sono cattivi: hanno tanti problemi. Devono lavorare, fare la spesa, cucinare, pulire la casa, pagare i soldi, occuparsi dei bambini. Quando sono stanchi urlano e se i bambini fanno i capricci danno qualche sculaccione. Però bisogna capirli e aiutarli perché anche loro non vogliono essere cattivi.

Poi ci sono i cattivi veri, quelli che sparano e che rubano, ma forse anche loro non sarebbero cattivi se avessero qualcuno che gli vuole bene e che gli insegna a non essere così.

IL TEMA DI PAOLA

I grandi che conosco io non sono cattivi. Ci sono tanti grandi che mi vogliono bene.

Però questa mattina un nostro compagno è arrivato a scuola con la faccia gonfia e tutti noi abbiamo pensato che sia stato picchiato. A me dispiace che sia stato picchiato perché anche se lui ha fatto i capricci o è stato cattivo o non ha fatto i compiti o non ha mangiato tutto nessuno doveva fargli così male.

Non so se lui lo sa che non dovevano, ma noi dobbiamo fargli capire che gli vogliamo bene e che non deve succedere più e che se succederà ancora noi possiamo aiutarlo.

Mi dispiace che il nostro compagno stia male, perché forse gli fa più male sapere che qualcuno può fargli così male che la botta che ha ricevuto.

Speriamo non succeda più.

IL TEMA DI LUCA

La maestra ci diede un'ora per svolgere il tema e poi prese qualche quaderno e lesse le nostre opinioni. Nessuno di noi pensava veramente che i grandi fossero cattivi. Poi prese il quaderno di Luca e cominciò a leggere:

Penso che i grandi si dimentichino spesso di essere stati dei bambini. Si dimenticano di quando facevano i capricci e di quando non capivano, di quando non sapevano e di quanto sia difficile crescere tutti i giorni. I grandi non sanno che noi bambini possiamo aiutarli più di quanto non si creda: diamo la possibilità di tornare indietro nel tempo e di essere bambini per un po'. Essere bambini vuol dire non avere problemi, sognare, illudersi, credere che tutto sia possibile, se lo si vuole veramente. Vuol dire riuscire a dimenticarsi dei problemi per qualche minuto e vivere di fantasia, unendo la propria vita passata con la presente senza vivere solo di malinconie o di sconforto anche quando c'è malinconia e sconforto. I grandi pensano solo ad insegnare e mai ad imparare, e se sono i nostri genitori, spesso non sanno che noi siamo nati proprio per fare restare loro piccoli.

E' bello essere bambini e restarlo per tutta la vita, creandosi un'infanzia anche quando non la si è avuta, imparando la magia di tutti i giorni solo perché ci sono e noi ci siamo per viverli. E' una magia anche la scuola con tanti compagni che ti vogliono bene perché sei un bambino come loro e ti capiscono e con loro puoi essere bambino e basta. La scuola deve insegnare, tra le altre cose, a non crescere mai del tutto e a non riempirsi il cervello di nozioni, ma di vita. Se non cresci mai abbastanza, non ti chiedi se ad un altro importa qualcosa di te, perché credi ancora in un mondo bello fatto di amici. Credi che se la tua casa ti sta un po' stretta, puoi uscire e vivere nella casa aperta che è la tua città, il tuo mondo.

Se sei bambino pensi che oggi, adesso soffri, ma che tra qualche minuto non ci sarà più motivo e sai che non solo una mamma ed un papà sono mamma e papà, ma che ogni bambino, ogni mamma, ogni papà sono i tuoi quan do hai bisogno di un sorriso, di una carezza.

Igrandi non sono cattivi se non pensano di esserlo, se non vivono solo di problemi ma anche di vita, ogni tanto.

Noi bambini dobbiamo dirglielo, questo, tutti i giorni, finché non l'hanno imparato, finché non impareranno a lasciarci bambini, solo questo, per sempre.

Bravo Luca, è il tema più bello che io abbia mai letto: ottimo e lode. Ecco il tuo tema: portalo a casa a far leggere ai tuoi genitori e poi dì loro che domani mattina me lo devono riportare personalmente, firmato.

Luca per un attimo ebbe paura, ma noi ci siamo messi ad applaudire tutti contenti e anche lui era contento.

Io l'ho invitato a casa mia, quel pomeriggio, e la mia mamma gli ha fatto degli impacchi all'occhio e io l'ho fatto giocare tutto il giorno. Poi il mio papà ha telefonato a casa sua dicendo che lo avrebbe accompagnato a casa lui, senza disturbare i suoi genitori a venirlo a prendere. Io sono andato con loro.

Il mio papà ha detto al suo papà che c'era il tema da leggere e da firmare e che aveva saputo che Luca aveva preso un bel voto perché era stato molto bravo. Così il papà di Luca ha letto il tema di suo figlio ed è diventato triste come suo figlio quando era arrivato a scuola perché il foglio era tutto bianco. Il mio papà ha fatto come da avvocato a Luca e Luca era di nuovo triste quando è tornato a casa, però adesso aveva il nostro numero di telefono e poteva chiamarci tutte le volte che voleva e papà ha detto al suo papà di lasciarlo telefonare, se voleva.

Il papà di Luca non aveva la faccia del cattivo, neanche quando l'indomani ha portato a scuola Luca con il tema firmato: però voleva dire qualcosa e Franca non glielo ha permesso. Gli ha detto che sperava proprio che Luca non prendesse più un voto così alto nei temi ché altrimenti sarebbe stato troppo bravo per la nostra classe scalcinata.

Tutti noi volevamo più bene a Luca, adesso, e anche al suo papà e alla sua mamma. E avevamo imparato dalla nostra allieva ad essere un po' più bambini come era capace di esserlo lei, qualche volta.

I DIRITTI

"Bambini, lo sapete che esiste una carta internazionale, cioè che vale in tutto il mondo, che dice che i bambini hanno il diritto al gioco?".

Ohhhhhhh!

"E un'altra che dice che i bambini sono protetti?".

Ohhhhhhh!

"E che hanno diritto ad un'istruzione, ad essere tutti uguali, ad essere liberi? Sapete che cosa vuol dire?".

Lucia: "Io sì: vuol dire che i bambini di tutto il mondo sono uguali anche se sono diversi".

Enrico: "Ah, ah, ah!".

Franca: "Perché ridi, Enrico?".

Enrico: "Perché qualche volta quando Lucia parla non si capisce niente".

Franca: "Spiega tu, allora".

Enrico: "Anche se i bambini sono di razza diversa, o di religione diversa, hanno gli stessi diritti: devono andare a scuola, devono giocare, devono essere protetti".

Franca: "Protetti da cosa?".

Maria: "Dal diventare grandi troppo in fretta".

Paola: "Dalle guerre".

Mattia: "Dalle persone cattive che gli fanno vendere la droga o li fanno lavorare quando non devono".

Annalisa: "Dalla violenza che c'è in TV".

Giulia: "Da chi vuole mettergli in testa cose non giuste".

Franca: "Bene, avete detto tutti delle cose molto giuste. Ci sono dei Paesi nei quali non è facile essere bambini e altri nei quali non è possibile esserlo. Voi dovete imparare bene che cosa sono i diritti per poterne fare buon uso e per sapere essere cittadini giusti nel vostro Paese in modo che il vostro Paese non diventi come quegli altri. Ed allo stesso tempo per cercare di aiutare gli altri bambini degli altri Paesi a vivere meglio. Da oggi lavoreremo su questo durante le nostre lezioni. Cominciamo dai disegni. Prendete i fogli da disegno e disegnate come vorreste che fosse il mondo perché tutti i bambini possano vivere felici. I vostri disegni li esporremo in corridoio e in entrata così anche gli altri e i vostri genitori vedranno come sognate il mondo e si possa lavorare tutti insieme per renderlo migliore invece che lamentarci e basta".

Enrico: "Sì, sì, hai ragione, maestra, ci lamentiamo e basta".

Lucia: "Ci lamentiamo delle cose brutte, delle difficoltà, dei problemi senza passare mai un po' di tempo a guardare alle cose belle della vita".

Lucrezia: "Io disegnerò una bambina che guarda dalla finestra e vede un mondo stupendo".

Andrea: "Io, invece, un omino che esce di casa con un rullo per dipingere i muri e dipinge tutta la città di bei colori".

ETU, MAESTRA, COSA DISEGNERAI?

Annalisa: "Sì, maestra, dicci che cosa disegnerai?".

Franca: "E' una sorpresa, bambini, una sorpresa della vostra allieva".

NO, DAI, DICCI CHE COSA DISEGNERAI!

Franca: "E' una sorpresa, vi dico!".

Luca: "Ecco, ho trovato: io disegnerò la nostra maestra Franca: una grande che fa la bambina per aiutarci a crescere meglio".

Franca: "Sarai capace di disegnarmi tutta?".

Beh, è passato un po' di tempo. Noi abbiamo disegnato su fogli grandi perché volevamo farci stare dentro tante cose belle. Luca è riuscito a fare stare su un foglio solo tutta la maestra Franca e così è arrivato il momento di esporre i nostri lavori nell'atrio. Abbiamo appeso un disegno e un tema di ognuno e la scuola è diventata più bella perché piena di colori e di gente che veniva apposta per vedere come pensavamo fosse il mondo dei bambini, quello che i grandi non vedono mai, o non vedono più, o che fanno finta che non ci sia.

Poi, la maestra Franca ci ha fatto la sorpresa: ha portato un enorme pannello di compensato appoggiato ad un cavalletto e lo ha messo in mezzo all'atrio. Sul compensato ci aveva disegnati: tutti noi della classe terza, con tutti i nostri nomi stampati con gli stampini ad inchiostro . Ci ha disegnati tutti felici che guardavamo al futuro, uniti da una grande catena di cuoricini rossi e quando lo abbiamo visto abbiamo capito quanto ci vuole bene.

Eguardandolo, Annalisa è diventata una principessa, io un cavaliere, Luca un astronauta, Lucia una ballerina, Enrico un pirata, Paola un'attrice, Filippo un calciatore ...

Tutto è possibile nei sogni di chi si sente amato ... anche che si avverino.

 

ABI è Alessia Biasiolo. Pubblicista. Laureata in Pedagogia. Divide la sua vita tra i libri, i bambini, la gente. Vincitrice del 'Decennale Edizioni Bresciane' per la prosa; del premio di poesia 'Ugo Foscolo' per la sezione dedicata allo Sport, nel 1992; del premio 'Città di Corinaldo' per una commedia teatrale e del premio 'Acquafredda 1995' per la prosa, è alla realizzazione di uno stile narrativo vivace, profondo e spiritoso ad un tempo, come è lei, anche ... se non si vede.

 

La maestra era seriamente preoccupata. Da quando era iniziata la scuola, ed erano ormai tre mesi, Tommaso era sempre lo stesso. Tutte le mattine era puntuale, tutte le mattine entrava in classe radioso, sorridendo salutava con un rispettosissimo:" Buongiorno, signora maestra" e si sedeva al suo posto talmente contento che la cosa aveva molto di preoccupante. Pensava fosse l'effetto dei primi giorni di scuola, l'entusiasmo di arrivare in una scuola nuova, di conoscere compagni nuovi, un mezzo per farsi accettare dal gruppo, invece da tre mesi sempre lo stesso. Mai una mattina assonnato, mai che si dimenticasse un libro, un quaderno, il grembiule, niente. Trascorreva le mattinate attento alle sue spiegazioni, interessato ad ogni proposta nuova le passasse per la mente, non si distraeva per nessun motivo e confermava dei risultati scolastici eccellenti. Eppure, il suo istinto le diceva che qualcosa non andava. Prese ad osservare il bambino durante la ricreazione: giocava spensierato con i suoi coetanei, aiutava i meno abili nei compiti, ripeteva le spiegazioni da lei fatte a chi non le aveva afferrate bene, insomma un allievo modello. Tuttavia il campanello d'allarme che le si era messo a suonare nella testa era certa non fosse scattato invano. Forse un'impressione, forse la rilevazione di una smorfia, un atteggiamento, qualcosa la rendeva certa che Tommaso avesse un problema. E la sensazione divenne tangibile un pomeriggio, al termine delle lezioni. Lei usciva dalla sala dei colloqui individuali quando incrociò Tommaso che, rimasto ultimo di tutta la scuola, si avviava verso casa. Lo vide per la prima volta triste. Si avvicinò a Sara, l'assistente.

<Sara, hai visto Tommaso? Se ne va adesso.>

<Sì, è sempre l'ultimo.>

<L'ultimo?>

<Sì, è sempre l'ultimo ad andarsene a casa. Sta qui a giocare con i compagni finché non li vengono a prendere, poi si avvia anche lui.>

<Mi sembrava tanto triste!>

<Ma no, sarà stato stanco, ne fa tante qui alla ricreazione ed alla pausa del pranzo!>

Sara rideva ma lei, abituata a vedere il suo alunno gioioso, non era tranquilla nel vederlo così.

Ne era rimasta così turbata che non riusciva ad avviare il motore dell'automobile, non era ripartita al semaforo rosso ed era rimasta ferma, sotto una pioggia di clacson di protesta degli altri automobilisti, a pensare al visino di quel bambino: cosa poteva avere?

Giunse sotto casa senza essersene resa conto. C'era qualcosa di familiare nella tristezza di Tommaso, qualcosa che le apparteneva. Invece di spegnere il motore dell'automobile, fece un'inversione ad U e tornò non proprio sui suoi passi, ma sulle vaghe impronte di pneumatico, dei suoi pneumatici, lasciate sulla polvere dell'asfalto. Al primo semaforo rosso controllò sul registro che si portava sempre appresso l'indirizzo di Tommaso e vi si diresse, a tutta velocità.

Arrivò con una stridula frenata davanti ad un palazzo di sei piani, discreto. Parcheggiò in fretta, forse lasciando l'automobile di traverso, e corse al campanello. Suonò ripetutamente, ma non ottenne risposta. Allora decise di entrare nel pertugio lasciato da chissachì tra un portoncino cigolante ed un muro scrostato e salì le scale controllando i campanelli per trovare l'abitazione del suo pupillo. Trovò il bambino prima della porta. Era seduto sulle scale, apatico. Non sembrava nemmeno lui.

<Ciao, cosa fai qui?>

Il bambino alzò lo sguardo sulla maestra sorpreso. Poi la sua espressione cambiò in pochi secondi dalla gioia alla tristezza alla vergogna. La maestra si sedette accanto a lui.

<Non hai le chiavi di casa?>

<Sì, le ho>.

<Non entri?>

<Sono solo. Non ho voglia di entrare per restare da solo. Ho paura. Tutta la casa vuota ed io che devo vuotare la lavapiatti, rifare il letto, preparare il tavolo e la cena: sono stanco. Non posso invitare amici perché se succede qualcosa non c'è nessuno con me. E' triste>.

<I tuoi genitori quando tornano?>

<Alle sette. Non verrei mai a casa>.

<Anch'io preparavo il tavolo da piccola, sai?>

<Sì?>

<Non avevo la lavapiatti da vuotare, ma aiutavo la mamma a lavare i piatti>.

<Arrivavi al lavandino?>

<All'inizio no, ma poi sono cresciuta>.

<E quando non ci arrivavi?>

<Mi mettevano lo sgabello>.

<Vuoi vedere la mia camera?>

<Certo>.

Entrò in una nicchia di luce, in un appartamento pulito e ordinato, ma vuoto. Girò per le stanze guidata dal suo alunno e provò un grande affetto per lui nel vederlo felice di mostrare ad un'estranea i suoi tesori: un vaso di conchiglie raccolte al mare, un pesce rosso, una collezione di videogiochi, una di videocassette, tanti libri, proprio tanti.

<Mi sono organizzato la settimana: un giorno guardo un film, un altro gioco e gli altri leggo, sempre dopo avere fatto i compiti> si affrettò ad aggiungere.

<I tuoi genitori non possono tornare prima?>

<No, perché non possono lavorare part-time; finiscono alle sei e ci vuole più di un'ora per tornare a casa. Quando la mamma riesce a d essere qui prima delle sette è una festa>.

<E se fossi ammalato?>

<La mamma chiede qualche giorno di permesso, ma io non voglio che succeda. Una volta sono stato malato dieci giorni, l'ho fatto apposta per stare con la mia mamma, e lei è stata sgridata dal suo datore di lavoro. Non voglio che la mamma venga sgridata e, se la licenziano, noi abbiamo dei grossi problemi>.

<State assieme sabato e domenica?>

<Oh, sì!> c'era magia nella sua voce, gli occhietti luccicanti di gioia. <E facciamo tante cose: andiamo a passeggio, andiamo dai nonni che abitano lontano, facciamo le spese: è bello!>

La maestra divenne pensierosa e il bambino, accorgendosene, le offrì uno dei suoi succhi di frutta.

<Perché sei diventata triste?>

<Oh, niente. Posso fermarmi qui ancora un po'? Vorrei parlare ai tuoi genitori>.

<Certo, che bello. Faccio i compiti e poi giochiamo?>

<No, giochiamo subito. I compiti li farai domani>.

<Perché sei diventata triste?>

<E' brutto essere soli>.

<Già>.

Un'ora e mezza dopo arrivò la mamma, una giovane signora graziosa che aveva visto solo una volta quando le aveva portato il bambino a scuola, il primo giorno di lezione.

<Salve, mi scusi se sono rimasta qui tutto il giorno, ma volevo tenere un po' di compagnia a suo figlio>.

<Qualcosa non va a scuola?> chiese subito la mamma, preoccupata.

<No, sono qui per chiederle un favore. Io vivo sola e trascorrere il pomeriggio chiusa in casa a correggere compiti nel silenzio totale non è bello. Potrei venire qui, finite le lezioni? Accompagnerei a casa il bambino e mi fermerei fino alle sette>.

La mamma la guardò un momento fisso negli occhi, poi comprese. Riconoscente.

Non poteva dire di no.

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