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Racconti per bambini 2

"Sicuri?" chiesi io. E in un lampo balzai dalla cesta e corsi sui mobili tutt’intorno più volte causando una confusione tale che il sacco con le montature quasi rubate cadde a terra mentre gli uomini non capivano cosa stessa succedendo. Saltai in testa ad uno, graffiai l’altro e i miei sbuffi erano tanto forti che i due presero ad urlare dallo spavento. L’umana telefonò alla polizia mentre il ladro del sacco scappava e l’altro urlava dal terrore. I due tizi rimasti all’esterno, vista la mala parata, presero a correre in direzioni diverse, raggiunti dai due che avevo aggredito, ancora urlanti, ma con tante parolacce da dire perché non erano riusciti nel loro intento. Quando arrivò la polizia, ormai del tentato furto non restavano che poche tracce: l’umana con gli occhi sbarrati, un sacco di montature sparso per terra, dei graffi su quasi tutto il mobilio che sembrava non luccicare più come al solito. Io stavo di guardia accanto alla porta, quasi dovessi esibire il mio cinturone che, purtroppo, non avevo con me in negozio. I miei antenati sarebbero stati orgogliosi di me: avevo sventato una rapina e, se mi ci fossi messo, sarei riuscito anche ad acciuffare i briganti. Tanto nessuno si sarebbe mai preso la briga di andare a controllare i miei precedenti. Non si poteva certo dire che il mio Gatto con gli Stivali fosse uno stinco di santo, dal momento che era riuscito ad avere fama e fortuna con degli stratagemmi! Del resto la fortuna è una dea bendata anche per i gatti e se non la si aiuta un po’ va a finire che la benda la fa sbattere contro il muro invece che addosso alle persone giuste. Forte del mio successo personal e, la sera rientrai nella mia cantina misurando qualche centimetro di zampe in più. Fui accolto con festeggiamenti a non finire, da un piatto di leccornie uscite dalla migliore marca di scatolette per gatti e non c’era micetta che non mi facesse le fusa. Ero al settimo cielo. Ben presto, tuttavia, le mie giornate tornarono uguali: cantina cesta, cesta negozio, negozio cantina. Unico svago era salire di tanto in tanto sui tetti e farmi una passeggiata fino alla Pallata, a guardare con le orecchie dritte e il muso curioso tra le tende di una mansardina, antica casa del nonno. Era stata ristrutturata e adesso non ci abitava più la vecchia signora che, quand’ero piccolo, mi raccontava quanto fosse bello mio nonno e di quando vide nascere mio padre. Era una nonnina discendente diretta del salumiere che il mio avo aveva riempito di fortuna. Lei sapeva che noi gatti potevamo parlare come gli umani e si aspettava che anch’io lo facessi da un momento all’altro. Adesso, al posto della casa decadente, c’era un appartamentino grazioso dove avrei voluto vivere se non fosse stato per un uomo che fumava il sigaro e per un cane che, sono certo, non sarebbe stato molto interessato alla storia della mia famiglia.

La mia vita ripiombò nella malinconia e continuavo a ripetermi che non potevo pretendere di salvare gli umani tutti i giorni. Di solito sono loro ad occuparsi di noi e non noi che togliamo loro dai guai!

Tant’è che stavo meditando di mordicchiare un po’ le bambole, diventate nel frattempo cinque, che mi stavano vicine nella vetrina, quando mi trovai addosso lo sguardo familiare di un passante. Ci vollero pochi secondi per farmi ricordare il volto di uno dei banditi di due o tre settimane prima, uno di quelli che si erano fermati fuori a ‘fare i pali’, come avevo sentito dire dagli umani. Poco lontani c’erano anche gli altri e in un baleno capii che non erano tornati per il negozio, per concludere la rapina, ma per vendicarsi di me. Mi rizzai sulle zampe, la coda dritta e ferma, il pelo irto ancora più grigio e nero, la rabbia aveva cancellato tutte le altre sfumature. La bionda dalla sedia dove era intenta a riordinare gli occhiali mi chiese cosa stesse succedendo, ma non attese risposta. Non avevo bisogno di parlare, come facevo ormai ogni giorno per tenerle compagnia: vide gli uomini di sfuggita e chiamò subito la polizia, attivando il comando automatico di bloccaggio delle porte. "Apri subito, è una faccenda tra me e loro" le dissi, ma lei non sentiva ragione. "Ti uccideranno e io non posso permetterlo. Tra poco arriverà la polizia e li arresterà." Sbuffai tra i miei lunghi baffi senza perdere la concentrazione con la quale guardavo i loschi individui sbeffeggiarmi perché protetti dal vetro. "Voglio essere sicuro che non la scamperanno, stavolta" e dovette per forza aprirmi la porta. Uno dei quattro aveva cominciato a colpire la vetrina con una spranga e, se non fosse stata antisfondamento, io sarei finito invetrato dal veterinario. La situazione precipitò. Io mi avventai contro la porta mentre si stava aprendo, uno degli uomini estrasse una pistola, forse per gatti forse no. Io, con una finta, portai il gruppetto in un vicolo. Seguivano me per desiderio di vendetta lasciando il negozio libero tra una folla di passanti che non capiva cosa stesse accadendo. Saltai ciottoli e schivai automobili, imboccai a tutta velocità un altro vicolo e mi trovai con un muro di fronte. "Ci siamo" esclamai. Era il mio angolino preferito, dove sapevo esserci una gatta interessante che ci vedeva poco e non usciva spesso. Lì andavo ad esplorare il mondo con la mia mamma, non appena iniziati a muovere dei veri passi. Era il mio territorio. Fiutavo la paura e la tensione, l’attivazione entusiasmante del sangue che circolava a ritmo incalzante. I balordi arrivarono e mi avventai sul primo mordendogli il naso. Quello armato sparò senza colpirmi per timore di colpire il compagno e questo fu l’errore fatale; un attimo dopo la sua mano sanguinava. Il terzo ebbe un graffione sugli occhi, cosa che mi costò quasi una denuncia, e il quarto scappò a gambe levate quando gli dissi: "Vuoi anche tu la tua razione?" Era il più giovane e non ebbe il coraggio di aggredirmi. Nel frattempo gli altri si erano ripresi e io, giù a colpire di nuovo. Nel mentre arrivarono i miei fratelli e il seguito della famiglia. Ci fu una rimpatriata di ricordi cromosomici e tutti combatterono eroicamente finché non arrivò la polizia. Erano già pronte le manette, ma i poliziotti non ebbero l’animo di usarle. I tre ceffi erano maschere di sangue e stupore, incapaci di capire cosa gli era successo in quel giorno, venerdì, per cui già i gatti sono famosi per portare sfortuna. Quello fu il mio vero giorno di gloria. Confessarono tutto, i malandrini, per paura di non essere arrestati e no n essere portati via di là: essere puniti da dei gatti era ben peggio della prigione.

Così ecco la storia della mia semplice vita. Da quel giorno io sono diventato ben più di un gatto nel quartiere storico della città. Sono diventato il Gatto con gli Occhiali perché la mia bionda amica mi ha visitato in lungo e in largo dopo l’aggressione inferta al nemico e, avendo notato che i miei occhi non erano perfetti, ha deciso di mettermi una splendida montatura rossa con lenti specialissime, da gatto proprio. Sono talmente famoso che davanti alla vetrina ci sono sempre più gatti che persone, tutti a controllarsi la vista e a provare occhiali o lenti a contatto. Tutti. Compresa ‘lei’ che ha sostituito nel mio cuore la bionda umana e mi ha permesso, visto che sono sempre impegnato nelle visite (traduzioni, spiegazioni e altro ai miei simili felini) di essere sostituito nella cesta sempre in vetrina da dei micetti che, per essere discendenti del famoso Gatto con gli Stivali, beh, non sono proprio niente male.

 

Alessia Biasiolo

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