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Commedia scena seconda

Aumenta la luce sulla scena. Resta la barella. Tempi attuali, stessa città di fondo.

Il dottore in camice bianco sul fondo riprende a recitare il Giuramento di Ippocrate mentre le luci sono su di lui. Gli si affianca Ippocrate e via via le altre voci come nella prima scena. Sul finire della recitazione entrano gli attori: due ragazzi mezzi stracci, un pacchetto in mano. Arrivano furtivi parlottando tra loro e si siedono sulla barella. Aprono il pacchetto e cominciano ad armeggiare con delle siringhe.

Tossico: Dicono che non si guarisca da quella malattia.

Altro tossico: Già.

Tossico: Morire a vent'anni?

Altro tossico: Che ti dà questa vita?

Tossico: Niente.

Altro tossico: Allora?

Tossico: Volevo diventare immortale come mi sembrava con la roba, non morire appestato!

Altro tossico: Appestato?

Tossico: Ho letto cosa dice il Ministero. Siamo noi il rischio.

Altro tossico: Per chi?

Tossico: Per noi, per tutti!

Altro tossico: Tutti chi?

Tossico: Gli altri!

Altro tossico: Che ti frega degli altri?

Non risponde. Guarda perplesso la siringa che ha in mano, poi di sottecchi il pubblico.

Altro tossico: Rispondi! Che ti hanno dato?

Tossico: Botte e odio. Tanto odio.

Altro tossico: Allora, che ti frega degli altri?

Tossico: Niente.

Altro tossico: Appunto. Pensa alla roba. E ai tuoi pari. Già ci trattano da morbo, tanto vale esserlo davvero. Eppoi, tanto non vivi con questa (fa uscire uno spruzzo dalla siringa verticale). Siamo già morti, anzi. Morti dentro. Senza speranza, perennemente al margine di una società di filosofi senza meta, di armi e misericordia, di Pilati in camice, in toga, in tonaca e in doppiopetto. Come mio padre. Com'ero io. Vuoto. Morto.

Tossico: Ma dicono che è grave, che è terribile!

Altro tossico: Anche vivere come topi è terribile. Se ci siamo ridotti, perché ci hanno ridotti, a vivere nelle fogne delle loro cattedrali di sapere e di lusso relegando l'amore nelle pagine dei rotocalchi e la famiglia nella cornice sul tavolo dell'ufficio, possiamo riempirci del nostro padrone che sta lì, come una spada di Damocle sulla nostra testa. Ed esserlo di rimando per loro una spada che trafigga i cuori di dispiacere e la mente di paura. Paura di diventare come noi, pattume della vita. (Si alza e parla rivolto al pubblico). Mio padre vive terrorizzato dall'idea di diventare misero; mia madre morirebbe senza una doccia al giorno; mia sorella non sa cos'è la vita senza un tappo nelle orecchie che manda suoni strampalati. E io sono un boomerang che li annienta tutti: il figlio mal riuscito. Diamo da fare a frotte di psicologi che altrimenti sarebbero a spasso; borse di studio a ricercatori che mai potrebbero lasciare l'Italia ... Malati? Come per l'epatite? Hanno guadagnato miliardi su quella malattia usandoci come cavie visto che ne eravamo la causa (sarcastico). Ed ora? Non siamo altro che i nuovi untori di un nuovo secolo. La storia si ripete. Capri espiatori di un'immonda società (puntando il dito verso la platea). Marcia dentro (torna a sedersi sulla barella accanto al compagno). Come siamo noi (pausa). O loro (pausa). Chissà (pausa). Non si sa mai chi comincia (pausa). Né chi porta avanti la storia (abbassando la voce e guardando per terra, diventando cupo; poi alza g li occhi e guarda il pubblico. Si alza lentamente). Tanto vale toglierci di torno. Siamo guardati. E diamo fastidio (pausa). Anche a loro diamo fastidio. Su, dai, andiamo!

Si alza anche l'altro, prendono la barella ed escono di scena. Fuori campo si sentono le medesime voci di popolo che gridano all'untore.

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