Musica: Nel cuore di tenebra del 55° festival della canzone italiana di Sanremo.

 

Cinque giorni all’inferno (per non parlare delle prove)

 

DAL NOSTRO INVIATO

SANREMO -  In vena di allargarci e grazie alle tasche piene dei tanti soldi ricavati dal taglio alle tasse del governo - operazione economica che ha permesso ai ceti meno abbienti di accedere a Ferrari, ostriche e champagne –, Sicilia Libertaria sbarca al Festival di Sanremo.

 

Antinferno

In provincia di Imperia, a 15 km dalla Francia, a 487 s.l.m., con i suoi sessantamila abitanti c’è Sanremo, città dei papaveri e delle papere. Protetta alle spalle da una catena montuosa che la ripara dai venti del nord, gode di un clima particolarmente mite. Così, almeno, dicono le guide turistiche, ma la verità è che di notte ci sono tre gradi sottozero: la stessa temperatura che si può riscontrare nei cervelli di chi ha selezionato le canzoni per questo 55° festival della canzone italiana.

Il primo impatto con l’ambiente avviene con la lettiera della gatta, oggetto che troneggia nella  hall della pensione in stile neolitico (zona Pigna, il centro storico di Sanremo) dove scarichiamo armi e bagagli. Tra le cacche della micia si intravede un foglio di giornale dove, aguzzando la vista, si può leggere : “Finchè le priorità sono soltanto economiche, è difficile che la musica torni ad essere la colonna sonora delle nostre vite” (Paolo Bonolis, conduttore di Sanremo. Cachet: due miliardi di vecchie lire. Da una intervista a Repubblica del 25/02/05.) Poi dice che uno soffre di aerofagia.

 

Le prove alle quali assistiamo non migliorano l’umore: nel teatro c’è freddo, i cantanti provano con i cappotti, e la prima parola che dice tale Felini Federica – giovane valletta fieramente nemica della dizione –è “Zao”. La scenografia hi-tech (luci, schermi, microled e laser a migliaia)  è degna di una apparizione mariana: e non a caso, la prima visione è quella di Umberto Tozzi circonfuso da una bionda frangetta. Iniziano a scorrere le immagini che il nostro ha scelto per commentare la sua canzone: Einstein, Che Guevara, Madre Teresa, Gandhi. Manca solo l’orso Yoghi e la mamma di Berlusconi.  Al primo refrain la serotonina è già arrivata a zero: scappo di corsa in un bar e moooolto alcol dopo, in testa mi risuona ancora un verso di quella canzone: “Era una cena fredda che hai consumato in fretta”. “Cosa avrà voluto dire l’autore con questo ermetico verso?” chiedo all’improvviso allo smorto barista che sta armeggiando con lo stereo. Il cadavere neanche si gira, preme il play e parte “Dieci Stratagemmi” di Battiato. La birra diventa subito saponata, i pesciolini dell’acquario iniziano a dare capocciate suicide nei vetri e come in un Satori a Sanremo, diventa subito chiaro cosa c’è all’origine della prolissa attività artistica di Battiato: mangia male, in fretta e sicuramente come cuoco Sgalambro non è il massimo, sempre in giro per casa com’è a canticchiare “La vie en rose”. Chiaro che il Battiato non vede l’ora di uscire da casa per andare a rinchiudersi con gli amici in uno studio di registrazione. La prima giornata nella città dei fiori si chiude così, tra malinconie alcoliche, illuminazioni da bar e cattiva musica. Senza aver concluso niente, a parte un proficuo approccio con un pusher che staziona sotto l’Hotel Royal, a settecento metri dal teatro Ariston: è Cuffaro sputato, a parte il cappellino con la scritta “Padania rules” e l’improbabile accento bergamasco.

 

I ^giornata - girone del vomito.

Approdiamo alla prima serata del festival sufficientemente rasserenati dai loschi scambi effettuati con il Cuffaro padano. Ma grazie ad una sigla pronamente scelta, la show svolta immediatamente in un infernale trip psichedelico con contenuti, luci e suoni capaci di storcere occhi ed orecchie anche a Lemmy dei Motorhead. Prima, in videopillola, la cronaca del lancio, nello spazio, del codice contenente tracce del genere umano e, fra queste, anche la musica. Dice: ma se qua a Sanremo  genere umano e musica sono merce di pregio, che bisogno c’era di mandarle nello spazio, in pasto ai marziani, invece di sparare il razzo direttamente sul teatro Ariston? Poi, si presenta sul palco un tipo di nerovestito con fender a tracolla e iniziano a volare per l’aria del teatro note distorte di chitarra elettrica, feedback che sembrano fischi di bombe portatrici di democrazia. Volendo giustamente mettere i puntini di bombe sulle i di patria, il nazional-chitarrista solitario inizia quindi a suonare Fratelli d’Italia: quella che non cantano più neanche negli stadi, impegnati come sono a sputarsi addosso. Sì, proprio quella: litaliasèddesta! Suonata con una chitarra elettrica che a Jimi Hendrix nella tomba gli saranno girate tipo pale d’elicottero! Quarant’anni dopo Woodstock! E il tricolore che sventola sul palco! Le luci Azzurre! Il Piave che mormora! Chi non piange è comunista! Forza! Italia! Nel deliquio che segue, s’odono note di Battisti e di De Andrè, che speriamo nessuno glielo vada a riferire al Faber: questo porcherie è meglio tenercele tra noi vivi. Tra le immagini della serata che sopravviveranno in eterno: la scritta “Uomo bastardo” che Marcella Bella esibisce sul culo e lo sbocco di vomito con il quale, alla seconda strofa della canzone di DJ Francesco sporco i pantaloni del mio vicino di poltrona. Di musica, neanche a parlarne: solo annunci funebri in diretta. L’indomani, si saprà che 16.599.000 teleutenti hanno assistito a questo scempio: piangi i tuoi figli, Italia.

 

II^, III^ e IV^ giornata – girone delle manìe

Sì, è vero: dovrei parlare di musica, non di come con questa edizione del festival si sia tornati all'ignominia del televoto, parente stretto delle altrettanto discutibili giurie demoscopiche, dei sondaggi, delle schede elettorali, delle elezioni di ogni specie, di tutti i candidati, di ogni vincitore.

Parlare di musica, dovrei: non dei 300mila euro del cachet di Tyson. Bonolis dice che servono "per parlare con lui e scoprire che cosa c'è alle radici della rabbia". Troppo facile rispondere che sarebbe bastato andare in un corteo di disoccupati, o fare la fila alle poste insieme ai pensionati per scoprire cosa c’è alle radici della rabbia. Facile, vero, ma non sanremese. Qua si preferiscono gli snuff movies alla realtà: gli abiti meringati della Clerici ne sono la triste conferma.

 

E quindi parliamo di musica: ad esempio i Concido - in gara nei Giovani    che nel testo del loro brano “Ci vuole K”; ripetono la parola "kulo" DIECI volte;  oppure i versi immortali che canta la già citata Marcella Bella: “ Volare sopra una farfalla è impossibile, lo so.” Canzoni che segnano profondamente l’animo e il fegato dell’ascoltatore, contribuendo nello stesso tempo a lavorare ai fianchi il già basso livello culturale della nazione intera.

Vista com’era andata la prima serata e sfruttando vergognosamente una feroce dermatite supporosa di chiara origine nervosa, stimmata che mi aveva miracolosamente colpito durante l’esibizione di Peppino di Capri, mi sono quindi tenuto alla larga dall’Ariston. L’esperienza della prima sera mi era bastata e a parte la dermatite che per grattarsi ormai ci volevano unghie d’acciaio, avevo ancora lo stomaco sottosopra, di notte vedevo gli scarafaggi sul soffitto e nonostante tutto sapevo che la botta forte, quella capace di uccidere un cavallo, doveva ancora venire: la serata finale. Mi sono quindi dedicato al silenzio, a ricostituenti passeggiate per vecchie zone di spaccio conclamato, deserte librerie, attigui ed affollatissimi negozi di videotelefonia, zozze taverne, manifesti con le facce dei cantanti a milioni, volantini di sconti all’ultimo sangue, comunicati che annunciavano ottocentesche bombe sull’ Ariston dichiarando contemporaneamente: "Noi non amiamo le luci della ribalta; le sfruttiamo se opportuno."  Saranno i troppi anni di esposizione al tubo catodico della porca tv: cosa volete che vi dica. Fatto sta che ho comperato “Cuore di tenebra” di Conrad e mi sono rintanato nella pensione aspettando l’Armageddon, la battaglia finale per il vincitore: cantanti squartati e telespettatori crocifissi alle antenne. Live from Sanremo, Teleitaly.

 

V^ giornata – girone degli orrori

Oggi, all’alba, ho finito di leggere le 122 pagine di “Cuore di Tenebra.”  Sono pronto: pronto per la serata finale,  pronto a  sprofondare nel cuore di una tenebra immensa. Pronto per l’orrore…

 

Aldo Migliorisi ([email protected])

Hosted by www.Geocities.ws

1