Il cd che compriamo in negozio a 20 euro, costa (copertina compresa) 50 centesimi circa

MEGLIO PIRATI CHE CORSARI

 

Quest’anno gli alberi di natale hanno iniziato a sbocciare sin da novembre: era autunno e nonostante le foglie ancora non si decidessero a cadere, c’era già chi aveva decretato siberiane bufere di neve  plastificata. Preceduta da tale scenografia, la festa del Santo Consumo si approssima, seminando bramosie e falciando portafogli.

E quindi, laddove un improvviso guizzo d’acquisto vi colga, indirizzandovi verso il più vicino negozio di dischi, non illudetevi: non state cedendo ad un irrazionale privato desiderio. Molto più tristemente, fate soltanto parte di quel 30% di consumatori che nel periodo di natale incrementa (è statistica) il fatturato dell’industria discografica. Topini da laboratorio e mucche da mungere, in altre parole. Ma approssimandosi agli espositori di cd, inevitabilmente la bestemmia fiorisce spontanea, sebbene non risolutiva. 20 euro circa per un discoide di plastica argentata è un prezzo da folli che oltre al vituperio di santi e madonne, urla contro ogni logica. Ora, al topino-mucca che si chieda perché cazzo i cd debbano costare così tanto, bisognerà far presente che il prezzo finale di un compact è così composto: 20% iva, 14% siae, dal 33 al 37% al rivenditore, un misero 5-7% all’artista,  e tutto il resto mangime per pescecani discografari.

 

Prima considerazione: i libri in Italia, in quanto media culturale, pagano il 4% d’iva. La musica registrata, in quanto baccano, il 20%. Ovvero: il libro delle barzellette di Totti è evento culturale; le sinfonie di Mozart, visto che usano lo stesso supporto di Paola e Chiara, no. E’ la politica culturale del Governo, bellezza.

Col suo navigato stile da cosca e le sue folli pretese, c’è poi la siae: ultima barzelletta, quella di far pagare i diritti d’autore anche sulle suonerie dei cellulari (10 centesimi di euro per ogni suoneria che riproduce brani coperti da copyright). Tra le altre chicche, se si andassero a leggere i regolamenti societari, si scoprirebbe che quando invitiamo a casa degli amici e magari mettiamo un pò di musica dovremmo, in ossequio alle leggi,  compilare il borderò (l’elenco dei brani suonati) e pagare la siae in quanto ascolto non privato, ma pubblico. E sempre a proposito di regolamenti, il Vs. aff.mo si dichiara testimone di un’istruttiva scenetta: qualche anno fa, durante una parata d’artisti di strada, ad una ragazza sui trampoli che con una trombetta faceva perepepè, fu chiesto, dal responsabile siae cittadino, di compilare seduta stante il borderò. Anche nel perepepè sono rintracciabili echi di musiche depositate e diritti da difendere... c’è una forma di sfruttamento illecito del diritto d’autore, sosteneva rosso in volto il panzuto funzionario. La ragazza, forte dei suoi trampoli che la alzavano di mt 0,70 sopra le umane coglionaggini, fu giusta: lo sfanculò pesantemente e pubblicamente. “Sparare a tutto quello che si muove”, diceva il generale Westmoreland, famigerato comandante delle truppe Usa nel Vietnam.  Non azzardatevi quindi a fischiettare in giro senza bollino siae sulla testa: andreste incontro a feroci sanzioni. Parola dei duri della Società Italiana degli Autori e Editori, piccini.

 

Rovistando nella merda, si scopre poi che l’industria del disco adotta politiche economiche stile cartello di Medellin. Le “cinque sorelle” che, collettivamente, controllano il 90% dell’industria discografica mondiale (Capital Records, Sony, Time Warner, Bertelsmann, Seagram Universal) nel 2001 sono state condannate dalla Federal Trade American a pagare una multa plurimiliardaria per aver in comune accordo tenuto alti prezzi dei cd, danneggiando i consumatori. Collusione oligopolistica, si chiama, e significa fottere tanti soldi alla gente.

Oltre alla graziosa politica dei prezzi suesposta, c’è poi anche la clamorosa truffa del supporto fonomeccanico. Ovvero la storiella dei formati sempre più evoluti: LP CD DCC DAT Laserdisc Minidisc DVD mp3. Tutte sigle che sostanzialmente significano una sola cosa: come far comperare lo stesso disco più volte allo stesso utente diminuendo contemporaneamente i costi di produzione e aumentando i prezzi del supporto. La metafora del consumatore-animale mitologico metà topo da laboratorio e metà mucca da mungere, si adatta perfettamente a questo ultimo discorso… E sempre a proposito d’animali, non bisogna dimenticare i serpenti: viscidi, senza palle, senza orecchie. Tali e quali i discografici.

 

Di fronte ad una crisi di mercato così forte (-16% nell’ultimo triennio), bisogna dire che se non seguirà la strada della distribuzione on line e dell’abbassamento dei prezzi (cosa che per altro già s’inizia a intravedere), all’industria discografica come l’abbiamo finora conosciuta resta sicuramente poco da vivere. Non si tratta semplicemente di “pirateria”: nuove tecnologie ispirano pratiche inedite, che cambiano le modalità di circolazione e di fruizione della musica. Una vastissima fascia di pubblico non conosce più il feticismo legato all’oggetto-disco. Il contenuto, il corpus misticum può essere in formato mp3: non c’è più bisogno del supporto e il futuro è la smaterializzazione. Detto così, sembra un film di fantascienza: ma è una vera rivoluzione, irrefrenabile e irreprimibile. E la paura del futuro genera schizofrenia, lamentazioni apocalittiche e tentativi di arrestare e reprimere.

 

Le major si muovono così su tre diversi piani: quello dell’espediente tecnologico, quello dei balzelli e quello dell’azione poliziesca e giudiziaria.

Gli espedienti tecnologici parlano di cd “anti-copia”, cioè non eseguibili su pc. Peccato però che sempre più persone ascoltino i loro cd direttamente dal computer... Proteste, richieste di rimborso, conseguente figura di merda delle case discografiche.

Altro espediente, il cd con contenuti “revocabili” (non più ascoltabili dopo un certo numero di ascolti o dopo una certa data). Verrebbe istintivamente da dire che un’innovazione del genere – che letteralmente nega il futuro – impedirebbe la trasmissione della cultura e della memoria. Ma con questi argomenti (cultura, memoria) non si va tanto lontano, specialmente se gli interlocutori sono pescecani analfabeti.

Per quanto riguarda i balzelli: nell’agosto 2002 Il Governo ha introdotto nel decreto di recepimento della direttiva Ue sul copyright (che regala alle industrie discografiche diverse centinaia di milioni di euro a titolo di rimborso della pirateria subita) una rincaro del tributo siae  (da 0,01 a 0,23 euro su ogni pezzo) su supporti vergini (cd e dvd) e apparecchi di registrazioni (masterizzatori, videoregistratori) che vengono utilizzati dai consumatori per copie private. Se poi si copia sul supporto l’ultimo cd degli Impaled Nazaren, o le foto dei pupi, non importa: siamo tutti pirati.

La guerra del copyright ha in realtà adottato le stesse modalità della “guerra contro il terrorismo”: bombardamenti a tappeto su obiettivi “facili” e rapide vittorie (vedi Napster) che tali sono solo sulla carta, poiché i veri bersagli restano intatti a appaiono in grado di continuare indisturbati la loro azione di guerriglia. .Colpirne 1 per educarne 100: prima vittima Brianna La Hara, una ragazzina newyorkese di 12 anni che scaricava da internet canzoncine da cartoni animati, condannata a pagare una multa di 2.000 dollari. E’ questa la geniale trovata dei potentissimi strateghi della RIIA (Recording Industry Association of America): ovvero, come portare in tribunale praticamente ogni ragazzo occidentale sotto i 25 anni. C’è anche il tariffario: per ogni brano scaricato da internet beccato sul vostro computer, si rischia una sanzione amministrativa di 153 euro per opera.

A questa tecnica da cecchino si aggiunge un’altra arma, ben conosciuta in diversificati settori della politica mondiale: il terrorismo verbale, con affermazioni del tipo “ la pirateria musicale Internet equivale a 4,5 miliardi di dollari”. Dichiarazione dell’osservatorio base di settore, IFPI (International Federation of Phonografic Industry), che non ha assolutamente fondamenta verificabili. Il fatto che qualcuno scarichi senza autorizzazione un cd dei Deicide al prezzo immaginario di 20 euro, non significa necessariamente che quel  cd lo compererebbe davvero.

 

Dopo questo penoso intercalare di cifre che sottolinea ancora una volta come, secondo l’industria,  l’unica libertà del consumatore sia quella di consumare, è bene ricordare che esistono i cd-r e che in queste Sante Serate la loro verginità si può comperare ad euro 0,70 circa contro i 20 euro che il mercato pretende per quelli già sverginati dall’industria. E sarà vostro compito, o Fratelli della Costa, corrompere questo virginale ed economico compact disc registrabile, magari adagiandolo su un morbido masterizzatore e facendolo accoppiare con qualche tosto mp3 scaricato (possibilmente gratis) da dove sapete voi.

 

 

Volendo chiudere con un fatuo sfoggio di nozioni,  visto che si parla di pirateria, sarà conveniente ricordare la differenza tra Corsari e Pirati. I Corsari, legalmente autorizzati (con la famosa “Patente di Corsa”) da un re che in cambio intascava un cospicuo pizzo sul bottino, depredavano e saccheggiavano. I Pirati pure, ma agivano per conto loro: senza regie autorizzazioni e senza pizzi da versare. I primi, se catturati, venivano considerati prigionieri di guerra; i secondi venivano invece impiccati al pennone più alto. Comportamenti uguali, ma grazie ai lasciapassare governativi, pene diverse. Pensierino natalizio: se la ragazzina che scarica le canzoncine d’asilo è una Pirata, il discografico che vende un prodotto che ha un costo industriale (copertina compresa) che non supera i 50 centesimi a 20 euro e passa, è  allora un Corsaro? Ricordate: il Paese di Babbo Natale non esiste, l’Isola della Tortuga sì. Fate la cosa giusta, fratelli.

Aldo Migliorisi ([email protected])

 

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