Fuori dal tunnel delle verità in supposta.
La capa gira
Il
ritardo che ci contraddistingue, dovuto a povertà di mezzi più che a renitenze
ideologiche da setta, ci fa incontrare il cd di questo mese solo grazie alle
insistenze sonore dello stereo a palla dei vicini di casa, che
maleducatamente invade - come solo Berlusconi potrebbe - liquefando mura
divisorie e provati timpani del vs. aff.mo.
Sfidando
così sempre di più il ridicolo e le perplessità, forti dell’affetto
masterizzatore di amici dal cor gentile, osiamo quindi avventurarci per
universi sconosciuti e solitamente sottovalutati, parlando di dischi che mai
dovrebbero risuonare in case di persone serie colte responsabili e impegnate
come converrebbe essere e come i nostri cari ci vorrebbero. L’oggetto di tale
vergogna è un cd, “Verità supposte “di CapaRezza, uscito il giugno scorso,
esploso imprevedibilmente e il cui brano “Fuori dal tunnel” è diventato
tormentone ineludibile e, in epoca di cavalieri, divertente cavallo di
Troia con una pancia piena di parole vere. E a proposito del brano in
questione, bisogna subito dire che al di là dell’uso distorto che i vari fessi
possono farne, il coro è da assumere a manifesto d’intenti. Inutile
sottolineare poi che i veri bersagli non hanno capito un cazzo e citano con
faccia da omini di stagno versi che dovrebbero invece pietrificarli, solo se
avessero pudore. Merce di pregio, in quest’epoca dove non esiste più neanche la
vergogna.
L’ironia lazzarona
e assolutamente scorretta di Caparezza macina parole divertenti e discorsi
seri, con contenuti ad alto potenziale intellettivo corrosivamente spalmati su
un mix tra Frank Zappa e Cypress Hill; zapping nel trash sonoro che ci ammerda
le orecchie in questi tempi di penosi zombi figuranti. Capa – rezza, non rozza
- mischia deputati e pinocchi, l’Intrepido, Paolo Limiti e (come potrebbe non
essere altrimenti, con quel testone ipertricofico che si ritrova), anche la
scapigliatura, confondendo però Boito con coito. Non illudetevi: il nostro è
anche scorretto, volgare e non lesina rutti e pernacchie.
L’untorello Caparezza porta
confusione e lui per primo non ha certezze da insicuro: un cd che si chiude con
un brano che si chiama: iodellavitanonhocapitouncazzo merita rispetto e
attenzione. ”Io sono Caparezza e vengo dalla
monnezza”, dice il nostro in una traccia, presentandosi come un incubo
metallaro alla Freddy Kruger, e zittendo così qualsiasi cacchina intellettuale
che vorrebbe concedere passaporti ormai fuori corso. La cosa gli fa onore,
evidenziando la sincerità e il gusto del paradosso che sono ulteriori doti
profuse in questo sorridente ed energetico lavoro. Caparezza ha la lingua
sciolta, non facendoci rimpiangere italici rappers più quotati e rispettati:
guerra, razzismo, omologazione culturale sono i temi (non gli unici, che si
parla anche d’altro) sui quali il nostro ha qualcosa (d’intelligente) da dire.
In “Verità supposte” i luoghi comuni sono sezionati dalla ferocia di un pulp
sonoro e linguistico che, in quest’italica campagna elettorale permanente, ubriaca
e svela il ridicolo spacciato per buonsenso.
Il
ritmo, se ci si ferma ad una fruizione dislessica, senza ascoltare cioè le
parole che scavano in profondità, è ottima colonna sonora nonché energizzante
spunto per muovere il culo piagato da ascolti truci e catatoniche. L’inferno
televisivo, l’obbligo modaiolo e l’apparenza sono maciullate senza pietà per
nessuno, chiamando le cose col proprio nome. Gli undici anni, intellettiva età
media del telespettatore dell’era berlusconiana, sono vilipesi, non dimostrando
il nostro nessuna compassione per l’infanzia abbandonata dall’intelligenza.
Il sig. Rezza Capa, come direbbe Bruno Vespa (citato anche lui nel cd, non
preoccupatevi, che il museo degli orrori è ampio e replicabile come le
architetture di Borges), ha testa, oltre che rezza, sveglia e sottolinea gli
errori, le premesse e le illusioni che hanno devastato generazioni intere di
aspiranti musicisti, carne al macello per discografici. Lui, ex MikiMix in una
sua precedente vita musicale, conosce bene la tonnara: ha alle spalle due
Sanremo giovani ed altre cazzate, mattanze dove l’essenziale prestazione
artistica richiesta era l’abbronzatura. Prima dare il culo, poi essere
qualcuno, consigliavano spassionatamente ai giovani tonni i sanguinari rais
dell’industria discografica.
In questo lavoro il trash quotidiano è sminuzzato e ricomposto con
architetture sonore alla Will Coyote, dove il sapore prevalente è intelligenza
vs. lobotomia televisiva mediatica e griffata: la vita bassa da look anni
settanta viene ridotta a metafora che spiega il vuoto circostante. Caparezza
non si risparmia in vocine, vocioni e campionamenti da tritacarne: l’atmosfera
è da cartone animato, e pazienza se i puffi in questa cartunia hip-hop si
ritrovano inculati. Carlo U. Rossi, che già abbiamo visto meritoriamente
all’opera con Mau Mau ed affini, orchestra la produzione mettendo tutto e di
più: liscio, metal, televisione e immondizia varia, dimostrando che
l’intelligenza non è necessariamente collegata alla seriosità, anzi, molte volte
ne è soffocata. La mancanza di sorrisi è sempre asfissiante e mortale.
Il
ventinovenne Salvemini Michele da Molfetta, a.k.a. CapaRezza, tira fuori tutte
le minchiate ingollate per anni e le risputa con consapevole ironia, arma
micidiale contro chi castra sorrisi e intelligenza. Gli arrangiamenti
usano tutto quello che c’è da usare, senza pudore: dalle canzonette sceme alle
chitarre potenti di “Vengo dalla luna”, fiammeggiante brano dove l’antirazzismo
smette l’ abito buono e sfancula tutti i signorotti che si fanno vanto del
santo attaccato sul cruscotto. “Io non sono nero, non sono bianco, io non
provengo da nazione alcuna: io vengo dalla luna”, rima il ns. su un bel refrain
tosto alla Eminem. Che fa zompare a più non posso, sciogliendo grassi ed alzando
il livello della serotonina di chiunque si ostini a deprimersi volontariamente
con tristi cantautori impegnati come da contratto sindacale.
”Verità supposte” è fortemente consigliato a perplessi e
depressi; a quanti si circondano esclusivamente di videocassette di lugubri e
muti films siberiani; a quanti si trincerano dietro colti libri sull’uso della
punteggiatura nel settecento inglese o ascoltano soltanto le suonate funebri di
Hartmann; utilissimo poi a militanti ombrosi che disprezzano il ballo e a
quante, capelli sciolti sulle spalle e perennemente vestite di nero mai
sorriderebbero, neanche sotto tortura.
I 57’ e 40’’ di questo
lavoro sono una boccata di aria fresca che fa bene ai bioritmi al sorriso e
all’intelligenza. E pare, laddove dovessero servire scuse, che un
brano di questo cd, “Follie preferenziali”, sia stato adottato come colonna
sonora da molte frange, sveglie e giovani, dei recenti cortei pacifisti.
Gli
alieni yodel dell’ultimo brano sono quindi il perfetto contesto dove si esplica
il pensiero del molfettano. “Io sono vivo solo se sfilo la stilo e scrivo”:
detto in epoca d’analfabeti di ritorno, lascia spazio a possibilità
lontane millenni dai pregiudizi e dalle impressioni superficiali che
potrebbero allontanarci da lavori intelligenti come questo. Perseverando
nell’ascolto, c’è poi il rischio che le supposte (verità) di Caparezza possano
entrare (loro sanno da quale parte) in corpo, smuovendo e divertendo. Nonché,
tali sono le controindicazioni, istigando pericolosamente a pensare.
Aldo Migliorisi ([email protected])