Grazie ad un vocabolario italo-napoletano e al posteggiatore più famoso d’Italia, Berlusconi diventa paroliere, che parolaio lo era già.

Canta Arcore, Arcore miliardaria

 

Questo mese il lavoro è di quelli sporchi, o fratelli. Di quelli tosti, che quando arrivano sono capaci di trasformare lo stereo in un sanguinolento bancone di macelleria. Tutto inizia con un trafiletto della Repubblica di luglio: “Il 3 ottobre sarà pubblicato il cd di canzoni napoletane scritte da Berlusconi e Mariano Apicella”. A fine agosto, sempre Repubblica, annuncia che l’uscita del cd è posticipata a Natale. Goourghh!! Trattenuto per un mese, alla fine lo sbocco di vomito sgorga schifato. Passato l’incazzato straccio per terra, inizia la caccia a notizie irriferibili e foto agghiaccianti.

 

Il Presidente del Consiglio, un vanesio miliardario lombardo, scrive canzoni in napoletano con un posteggiatore da ristorante (quello dell’hotel Vesuvio di Napoli, per la precisione), tale Apicella Mariano. Alla notizia –questa- ci sarebbe poco da aggiungere, che la penna cade di mano tramortita, non senza prima ricordare un altro cavaliere -di Predappio questa volta- che amava farsi fotografare mentre con occhi gorilleschi indossava burinescamente un innocente violino, simbolo di delicato core e spirto gentile, a mò di scopetta.

Ma torniamo al cd: nove canzoni in napoletano, tre in lingua, tema unico l’amore; titolo presumibile: “Meglio ‘na canzone”. Tanto per incominciare, l’oggetto, anche se è dal Natale 2001 che se ne parla, ancora non c’è. Nel frattempo, la canzone “’A gelusia” di Berlusconi-Apicella è stata presentata in anteprima a “Porta a Porta”su raiuno, ha partecipato al festival di Napoli su retequattro, è stata cantata davanti ad alte personalità del mondo politico ed istituzionale; interpretata da Peppino di Capri e fatta suonare da Putin all’orchestra sinfonica di Mosca durante la visita del nostro capo di governo in Russia. Come promozione, roba che neanche Albano e Romina dei bei tempi.

In preda alle nostalgie per i trascorsi giovanili come barzellettiere, intrattenitore e cantante di balera, recentemente il nostro è tornato ad esibirsi sopratutto in occasione di feste, matrimoni e conventions di Forza Italia. Indimenticabile e trascinante lo show tenuto dal cavaliere, intervenuto come testimone alle nozze, al matrimonio Rotondi-Spatola. Presentato da Peppino Di Capri come un “illustre collega”, il Presidente del Consiglio  ha corroso le palle a tutti i 500 invitati esibendosi in un repertorio da film musical-balneare anni 50, “Scalinatella” compresa, fino ad approdare, con assoluta faccia tosta spacciata per auto-ironia, a “Tu vuò fa l’americano”. Siamo nel febbraio 2003, in piena crisi irachena, ma l’Unto se ne fotte del buon gusto. 500 spettatori, ¾ d’ora di concerto, Peppino Di Capri come spalla e Palazzo Ferraioli come palcoscenico. Vuoi mettere?

 

 Nel frattempo, continuano ad arrivare notizie da fare accapponare la pelle: Berlusconi, con la scusa della beneficenza pro Unicef, continua a minacciare collaborazioni col pedo-produttore Tony Renis (già losco sfruttatore di minori: remember Nikka Costa e la sua terribile “On my own”), Baccelli, il succitato Di Capri, Gigi D’Alessio. All’attività concertistica nel frattempo il cavaliere ha aggiunto quella compositiva, con ritmi da fabbrichetta milanese: 14 fine settimana in Sardegna, dall’una alle quattro di notte tutti dedicati al lavoro, vocabolario italo-napoletano e posteggiatore con chitarra a portata di mano. C’è poi onestamente da riconoscere che Berlusconi, durante queste fatiche,  ha costantemente cercato l’aiuto e il giudizio dei suoi compagnucci di merenda: Ignazio La Russa ha suggerito il titolo “Meglio ‘na canzone”; il cadavere di Cirino Pomicino è stato telefonicamente riesumato per una prova d’ascolto e persino l’ottantenne boss democristiano Don Antonio Gava pare che abbia dato il suo sta bene, battendo il bastone a tempo durante l’esecuzione di “’A Gelusia” ad opera del duo Berlusconi-Di Capri.  E Bossi? Costretto ad ascoltare canzoni napoletane scritte da un milanese, il Bossi pare abbia abbozzato, e sembra anche che durante i tristemente famosi lunedì di Arcore, accompagnato alla chitarra dal solerte Apicella, abbia latrato la sua personale versione della napoletanissima “Maruzzella”.

Infine, arriva anche un file audio di “A gelusia”. E qua mi fermo, che al vomito si è aggiunta una diarrea cattiva, tignosa, irritata. Dirò solo una cosa: che la micia, appena ha sentito la canzone suddetta, prima ha incominciato a soffiare, poi ha gonfiato la coda tipo mongolfiera e subito dopo è sparita da casa per tre giorni.

 

Continuando con la bassissima macelleria, basterà serenamente dire che il lavoro – a prescindere dallo schifo che fanno gli stessi titolari - fa abbastanza schifo da se medesimo: i versi scritti dal nostro tentano -non riuscendoci- l’impossibile,  giacché privi di materia prima o Poesia o Cuore che dir si voglia. La scelta di un’altra lingua per scrivere parole di canzoni è ancora una volta psicologico segnale di maschera, attrezzo del mestiere a cui è da sempre avvezzo il nostro. E a dire il vero, più che una recensione musicale, ci sarebbe da scrivere un trattato di patologia criminale, se non proprio una raccolta di barzellette. Il tema è il solito: Amore. Anzi “ammore”, che l’Unto questa parola -dalle sue ville e beghe e rancori così lontana- non riesca neanche a scriverla, se non travestendola con un idioma che non gli appartiene. A questa impotenza emotiva nel comporre i testi, c’è da aggiungere la personale visione musicale del posteggiatore in livrea: Apicella usa una sintesi lobotomizzata tra banalità da piano bar e jingle della Barilla, il tutto giocato sulla stanca ripetizione del giro di do a malapena edulcorato da diminuite e settime aumentate.

 

L’intera operazione potrebbe anche essere letta come metafora dell’uomo e del suo stile: adocchiata una canzone con le parole precedentemente scritte da tale Gigli - sodale del famigerato Apicella - il nostro, con la scusa di “rendere la canzone comprensibile anche a Torino o Milano” , traduce alcuni versi dal napoletano all’italiano e con denti da pescecane scippa così la canzone, cadendo nella coazione a ripetere che da sempre contrassegna lo stile e le fortune sue proprie.

E a proposito di stile: Berlusconi, negli anni ’50 raccontava barzellette, cantava, chiacchierava e intratteneva. Come ora, né più né meno, sebbene con diverso pubblico: l’intrattenitore da balera s’è riciclato in Presidente del Consiglio. Quando si dice la coerenza, e il destino negato.

 

Per gli increduli, c’è doverosamente da precisare che tutte le notizie riportate in questa sede – da Bossi che canta “Maruzzella” al bastone segnatempo di Gava – sono tratte da articoli ed interviste già pubblicate su quotidiani locali e nazionali, scovate in rete e mai smentite. Niente di quanto scritto finora è inventato, tranne il sensibile animo da paroliere napoletano che l’Unto reclama a sé come ulteriore ed ennesimo travestimento da spot subliminale.

 

In chiusura volgiamo deferenti il pensiero agl’incolpevoli alberi assassinati per farne libretti del cd, comunicati stampa e quant’altro, non senza prima citare il profetico Flaiano:  “la situazione è tragica, ma non seria”.

 

Aldo Migliorisi ([email protected])

                                                           

Hosted by www.Geocities.ws

1