Musica: Visioni neo platoniche e tentazioni
nu-folk
Forse nascere in
una città di provincia non è poi così male. Aguzza la vista e abitua alla
riflessione e alla lentezza, sviluppando magari una passione da entomologo, se
non da cacciatore di farfalle: e inevitabilmente affila lo spillo da piantare
tra gli occhi del collezionato, lepidottero o umano che sia. La otto tracce di “Don Luiggi e altri canti
a-sociali”, cd interamente composto e suonato da Antonio Mainenti, potrebbero
magari dirci qualcosa, a tale proposito. Come spiegare altrimenti gli incontri
che si possono fare in questo lavoro: il filosofo Porfirio con il vinto Don
Luiggi, l’ oltrepassata Child in Time dei Deep Purple con Otello Profazio? Con
l’ atletica, forse: rincorsa, presalto, battuta e volteggio. Per la quale
acrobazia é bene procurarsi una potente pedana elastica tipo Reuther, a otto
robuste molle d’ acciaio che caricate dalla spinta a pié pari rilascino potenza
al piano d’ appoggio, lanciando in alto l’ idea. E permettendo di volare a volo
d’uccello.
In questo caso, la rincorsa per il presalto é fatta
attraversando strade e bar, miserie, canti tradizionali, cene fredde, passato,
ironia disillusa e tempo sprecato: osservando e ricordando tutto. E’ forse
quello che fa Antonio in questo suo lavoro, parlandone con un linguaggio che
solo frettolosamente si potrebbe cercare di intruppare in qualche genere. La
successiva atletica battuta é fatta invece su molle forti ed elastiche: l’
intenzione, l’ approccio sincero che
non strabusa, pur possedendole, delle qualità da musicista. E così il volteggio
avviene con diverse e leggere figure, tutte interessanti: la canzone popolare
scarnificata da suoni sintetici; i campionamenti in tempo reale, le costruzioni
a colonna sonora e il teatro della quotidianità raccontato con la prosa fredda
e ironica qusi da Cantacronache.
La forma di “Don
Luiggi e altri canti a-sociali” é da fanzine, adottandone i pregi. La sostanza
é invece fatta da evocazioni flashback fantasie libri passioni trasmutate in
coerente musica. La quale musica,
attinge a piene mani nelle tradizioni popolari e frequenta, usandone gli
strumenti e facendoli a malapena intravedere, forme d’arte diverse che tra
gusci di lumaca, specchietti, pietruzze e perline colorate, a volte
nascondono rari zaffiri o mai viste
farfalle.
Il pregio da fanzine di questo lavoro é la velocità di
realizzazione e la mobilità dell’ oggetto.
Realizzato (cioé ottimamente autoprodotto) in una settimana e fatto
circolare immediatamente a prezzo politico (si può richiedere al costo di
cinque euro scrivendo a: [email protected]), restituendo così all’ oggetto
la sua funzione strumentale e non sovraccaricandolo di aspettative da ego
ipertrofico. Tutto qui, direte voi. Sì: il gesto sudescritto -arte come attivismo, azione che segue
l’idea- risponde con la realtà dell’ utopia a tutti i ragionamenti gemebondi da
provincia del pensiero. Nei deserti, é necessario coltivare visioni. Producendo
forme d’ arte, musica; considerandosi con la leggerezza che richiede il volo a
vento; agendo, infine, con la determinazione dell’ atleta che batte a piedi
uniti sulla potente pedana elastica a doppio molleggio, pronto ad innalzarsi
per volteggi che faranno vibrare l’ aria.
-Mr. Burroughs,
qual’ é secondo lei il futuro del rock? -La scultura- rispose all’ incauto
giornalista l’ invasato scrittore beat. Ascoltando il lavoro di Antonio
Mainenti, la profezia di William S. Burroughs acquista un senso: l’ arte del
togliere, del liberare dalla pietra superflua la forma che ne é nascosta, é
bene esercitata nei brani di questo cd.
Che inizia con
un propedeutico e traditore invito al
viaggio: “Amici, amici”, tradizionale canto del carcere che parla di
nostalgia per la libertà persa.
Suggestiva introduzione ad un disco che non risparmia invece beffe verbali e
musicali, come ad esempio nel secondo brano, “Amici di Rausa”. Ballata che tra
luccichii di coltelli e lame che colpiscono alle spalle, parla con sadica
ironia dellíamicizia: quella utile per fare l’ usciere, ad esempio, e di tutto
un microcosmo di provincia che non suscita nessuna nostalgia .
“Zagara” é
tratta dalla colonna sonora di uno
spettacolo teatrale (esercizio al quale il nostro, insieme a concerti ed altri
progetti, si dedica da tempo) e nel montaggio sembra quasi mostrare le immagini
e le suggestioni delle pietre e delle zagare, mischiando, come succede spesso
in questa terra -e di conseguenza nei lavori e nei volteggi musicali dei suoi
figli particolarmente cari alle Muse- sacro e profano. Le atmosfere pulite, tra
chitarre acustiche e voce bella e calzante (una delle piacevoli sorprese di
questo lavoro), sono completate con inserti diabolicamente spuri: parole,
rumori, distorsioni, voci.
La title track,
la mitica e avvinazzata “Don Luiggi”, é mossa ballata quasi spagnoleggiante che
alcolicamente trascende in una svergognata reprise di “Child in Time” -
marranzano compreso -, perfetta base
sonora per i lamenti di questo sconfitto e mal maritato moscone da bar. Tristezze
di provincia raccontate da uno sfrontato narratore che sicuramente, assieme ai
Deep Purple, ha ascoltato con uguale curiosità i lamenti di tutti i Don Luiggi
del mondo. In “Cravatta” l’a-sociale Mainenti, partendo come tranquilla ballata
che profuma di mare, con un doppio avvitamento afferra a mezz’aria “Fila la
lana” di De André, e non contento, spara in sequenza micro loops di chitarre
metal e vocalizzi sintetici. Quasi un televisivo zapping tutto teso a
descrivere, con questi bruschi passaggi sonori, gli scarti e le differenze.
L’ intero
lavoro è ben congegnato, permettendo di avere una visione diversificata
delle sensibilità di Antonio Mainenti: poesia, amore per le tradizioni,
musicalità. E ironia, sguardo allucinato, curioso e attento; contaminato e
affascinato dalla unicità del diverso (e a tale proposito basta dare un’
occhiata alla galleria di foto che il nostro, con attitudine da
antropologo, sfoggia sul suo sito:
www.mainenti.cjb.net). Il neo platonico Porfirio domina la penultima traccia,
stralunata invettiva anticristiana, con colta ambientazione nella Sicilia dell’
anno zero. Crocefissioni, imperatori, romani barbari, vengono contrapposti a
sante autoctone protofemministe e all’ antico, nonché sicilianissimo, culto di
Venere. Il neo-platonico Porfirio, trascrittore e degno compare del
misticheggiante Plotino, diventa uno zorro eretico del III secolo, primo nemico
dei cristiani. Tutto questo bailamme pro leoni e contra cristiani é sostenuto
da una base paganamente jazzata sulla quale la voce di Antonio tira fuori un
bella tavolezza di modi espressivi.
Il cd si chiude con un altro tradizionale,
”La vitti ‘mpinta a n’arvulu” delicata ballata, eseguita con la sola voce e
chitarra, ottimo esempio delle qualità e delle intenzioni che si possono
trovare nei 36 minuti abbondanti di “Don Luiggi e altri canti a-sociali”.
Interessante, consigliato e piacevole volteggio sonoro di Antonio Mainenti.
Aldo Migliorisi
([email protected])