Samurai e Bushido
da: "I Samurai" di A. Alabiso © 1997 Newton & Compton

 


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BUSHIDO

Con questo termine, che significa 'via del guerriero' (bushi = guerriero, do = via), si intende un insieme di norme comportamentali che costituirono il codice etico, morale, pratico, dei samurai. Il bushido, che probabilmente si tramandava oralmente e segretamente sin dai primi samurai, venne messo per iscritto da Tsuramoto Tashiro che raccolse le regole del monaco samurai Yamamoto Tsunemoto (1659-1719) nel testo intitolato Hagakure, che significa 'all'ombra delle foglie'. All'inizio questo testo fu fatto circolare segretamente tra i samurai del feudo di Nabeshima e sembra che solo nel 1906 sia stato stampato e reso pubblico. Nel bushido confluirono apporti scintoisti, confuciani, zenisti e mentre le regole base rimasero invariate nei secoli, alcune particolarità muteranno assieme agli avvenimenti storici. Inazo Nitobe scrivendo il suo Bushido (1900) ne classifica due tipi: un bushido guerriero e un bushido confuciano. Il primo corrisponderebbe al periodo Kamakura e Momoyama, e viene ricordato nei racconti epici giapponesi come Heike monogatari, il Soga Monogatari, e tutte le saghe che hanno per protagonista Yoshitsune, lo sfortunato fratello di Minamoto Yoritomo; il bushido confuciano si svilupperà invece nel periodo Tokugawa per diventare un vero e proprio codice morale, basato appunto sull'etica confuciana che tendeva a trasformare i guerrieri in burocrati.
Nitobe nel suo libro affermava:
"II bushido è indubbiamente una morale eroica che regola la retta azione del guerriero e disciplina il suo animo"
In effetti ai samurai erano spesso attribuiti due termini: bun che stava ad indicare la saggezza di tipo confuciano e bu che era invece riferito al contesto marziale. Infatti una delle doti più importanti del samurai doveva essere il giusto equilibrio tra azione e riflessione.
Si legge nell'Hagakure:
I samurai vivono due tipi di vita, quella privata e quella pubblica; vivono nelle loro case in un modo e sul campo di battaglia in un altro, ma è un vero soldato soltanto chi vive sempre come se fosse su un campo di battaglia.
Se il termine bushido sembra quindi essere piuttosto moderno, i valori e le norme a cui si ispira fanno parte sia del più profondo patrimonio del Giappone, che di altre componenti quali elementi taoisti, confuciani, buddisti, militari, anche se resta difficile una catalogazione qualitativa e quantitativa se non quando questi elementi presentano innegabili evidenze storielle. Allo scintoismo si devono elementi quali lo spirito fiero e bellicoso degli antenati, l'attaccamento al clan e alla stirpe, il senso sacro della spada, il simbolo del fiore di ciliegio che verrà adottato da tutti i samurai, la devozione per i vivi e i morti, la gerarchia e l'autoritarismo, la tendenza a organizzarsi in sette. Dal confucianesimo i samurai apprenderanno invece l'integerrima lealtà verso i superiori, chu; dal buddismo zen il bushido riprese tecniche e spiritualità che rivestirono di dignità le arti marziali. La formazione del samurai ideale fu comunque il risultato di varie componenti, religiose, filosofìche, sociali, che interagirono determinandone le regole comportamentali. Sarà infatti il buddismo zen a rendere lo spirito del samurai forte come la sua spada; per il guerriero che aveva innata la semplicità scintoista non fu difficile assimilare le dottrine essenziali dello zen. Il samurai doveva infatti mostrare impassibilità e autocontrollo in tutte le circostanze, per cui fin da ragazzi imparavano a non tradire emozioni e per arrivare a ciò erano necessari anni di esercizio. Lo zen contribuì in maniera determinante al raggiungimento di questo ideale autocontrollo in quanto con le sue tecniche insegnò al samurai la padronanza totale delle proprie emozioni.
Originario dell'India, lo zen era stato introdotto in Cina dal monaco Bodhidharma (sec. vi d.C.) e giunse in Giappone durante il periodo Kamakura. La sua semplicità di pensiero e azione si rivelò la più congeniale all'animo del guerriero; lo zen insegnò al samurai a credere nella propria volontà, a meditare prima e dopo le battaglie, a ricercare dentro se stesso la ragione dell'esistenza; insegnò inoltre a fare in modo che la vita spirituale diventasse un tutt'uno con quella quotidiana, e insegnò anche come l'uomo possa integrarsi con la natura. La frugalità che i samurai avevano adottato in ogni manifestazione della propria vita, si trasforma nella semplicità dei templi zen, dove la roccia, il legno, gli alberi, sapientemente combinati, formano un ambiente naturale e rilassante. La perfezione dello spirito si raggiungeva nello zen non soltanto con la speculazione ma anche attraverso azioni pratiche, mentre gli insegnamenti base non si apprendevano da testi scritti ma dalla voce di un maestro. Lo zen fece presa tra i samurai perché insegnava a utilizzare non soltanto la mente ma tutto l'essere; non si praticava la meditazione fine a se stessa ma si vivevano intensamente tutte le azioni purché eseguite in base a princìpi etici. Da qui nasceva la magnanimità dei samurai verso i deboli, i vinti, o la possibilità di scrivere versi, o ritirarsi in una piccola stanza a bere del tè.
Si legge nell'Hagakure:
Un soldato dovrebbe seguire internamente la via della carità ed esternamente quella del coraggio; quindi il monaco impari dal soldato il coraggio e il soldato impari dal monaco la carità.

 

LE ARTI MARZIALI

Con i termini, arti marziali, si indicano quelle tecniche di combattimento individuale, usate soprattutto dai samurai, che in Giappone vengono chiamate bujutsu dai due ideogrammi cinesi bu (militare) e jutsu (tecnica, metodo).
Queste arti, definite in Occidente marziali dal nome di Marte dio della guerra, possono essere distinte in due gruppi principali:
1. quelle praticate a mani nude: Aikido, Judo, Jujutsu, Karate, Sumo ecc.
2. quelle con le armi, che a loro volta si suddividono in a. maggiori: arco, lancia, spada, equitazione, nuoto; b. minori: arte del ventaglio, arte del jitte.
Non esistono risposte alla domanda su quando nasce il bujutsu.
Le più antiche fonti storiche giapponesi tramandano come pratiche e metodi di combattimento fossero in uso molto tempo prima che la scrittura venisse introdotta dalla Cina (VI secolo d.C.). La mancanza di documenti scritti, dovuta al fatto che gli antichi isolani non possedevano un sistema di scrittura, rende difficile ancora oggi ricostruire i fatti avvenuti in quei tempi lontani, ma le prime fonti storiche riportano come le popolazioni che arrivarono in Giappone durante il VI secolo a. C. e che poi formarono il clan Yamato, dovettero combattere contro abitanti forti e coraggiosi che meritarono la considerazione dei vincitori. Il periodo che precede l'era cristiana vide in Giappone l'affermarsi del clan, uji, che come quello cinese, tzu, si sviluppò in base a vincoli di parentela e di territorialità costituendo la prima espressione socio-politica.
Come afferma Seligman: "II giapponese è stato essenzialmente membro di clan, con tutti i sentimenti di gruppo che questo comporta". Sarà comunque il clan Yamato, con il suo culto solare, a imporsi sugli altri, a dare inizio alla stirpe imperiale e a uno Stato centralizzato che prese a modello quello cinese. Il clan giapponese era formato da una famiglia, che gli dava il nome e ne diventava la guida, a cui se ne univano altre nel tempo. Fin dagli inizi la loro coesistenza fu però tutt'altro che pacifica, come dimostra la gran quantità di armi trovate nelle tombe dal 250 a.C. al 550 d.C. Lo stato di guerra nel Giappone antico era praticamente una condizione abituale mentre la pace veniva considerata un periodo eccezionale. In base a quanto riferiscono gli annali cinesi del periodo Sui (589-618) nel VII secolo d.C. armi e guerrieri erano in piena efficienza come dimostrano i ritrovamenti di archi, balestre, lance lunghe e corte, frecce con punte d'osso e ferro, armature in cuoio. La nascita del bujutsu perciò si perde nei primordi del Giappone e comunque se può essere iniziato come tecnica e metodo per insegnare a combattere, con il tempo diventa una vera disciplina che coinvolgeva sia le doti fisiche che quelle interiori dell'individuo. Durante i secoli le guerre furono competenza esclusiva dei clan aristocratici e i loro legami con la Corea e la Cina permisero di acquisire esperienze e armi e quindi di affermarsi militarmente. La spada appartiene ad esempio al complesso di simboli propri del clan imperiale e la tradizione ne fa risalire allo scintoismo il procedimento di forgiatura, tanto che nella psicologia del samurai, il feticismo della spada riflette aspetti dello scintoismo primitivo. I conflitti si protrassero anche dopo che il clan del Sole fondò uno Stato nazionale che modellò su quello cinese. Fu proprio il continuo stato di guerra tra i vari clan e alle frontiere a favorire lo sviluppo di una classe militare separata e con una storia distinta da quella dell'aristocrazia da cui pure discendeva. La casta militare forniva anche sovrintendenti, marescialli, guardie ai ricchi nobili della capitale oltre ad amministrare e sorvegliare i loro lontani possedimenti. Poco alla volta i guerrieri pretesero sempre maggiori ricompense e privilegi tanto che nel 1185 costituirono il primo governo di stampo militare, il bakufu con a capo il militare più importante, lo shogun.

ARTI MARZIALI E ZEN

Fu in questo periodo che il buddismo zen iniziò a influenzare notevolmente la vita dei samurai insegnando che la meditazione non serviva soltanto a conseguire 1' 'illuminazione' (satori) e quindi a entrare nel nirvana, ma poteva far acquisire particolari tecniche, oltre a una certa indifferenza per la vita, che avrebbero permesso ai samurai di diventare guerrieri perfetti. Fu così che i samurai cominciarono a frequentare i templi buddisti per migliorare il loro modo di combattere e imparare le discipline mentali che i monaci zen erano in grado di insegnare. Dal periodo Kamakura alla fine di quello Tokugawa, quindi, il rapporto zen-guerriero si rivelò di primaria importanza. La semplicità dei samurai trovò infatti nello zen la dottrina più congeniale; non era necessaria l'erudizione appresa dai testi, ma ognuno poteva sviluppare le proprie potenzialità attraverso le tecniche della concentrazione che si basavano essenzialmente su esercizi respiratori centrati nel ventre, hara. La pratica di fissare la mente sull'addome era già stata introdotta in Giappone verso 1'800 d.C. in quanto faceva parte delle tecniche meditative della setta Tendai. Attraverso la respirazione addominale infatti l'uomo cercava di mettere in relazione la propria respirazione fìsica con quella cosmica; più riusciva in questo, più l'individuo si integrava con l'ambiente, più sviluppava i suoi poteri intuitivi e percettivi, più reagiva prontamente ai pericoli. Quindi il samurai cercò di recepire dallo zen tutto quello che poteva servirgli per migliorare le sue capacità di combattente. Il samurai era un guerriero professionista per cui non amava dissertare sull'immortalità dello spirito o sull'etica, ma era interessato ad apprendere ciò che lo perfezionava sia come uomo che come guerriero. Lo zen insegnava infatti a potenziare il coraggio, la prontezza, l'abilità, l'equilibrio psico-fisico, ecco perché diventa il credo dei samurai. Se le arti marziali assumono quindi in Giappone un aspetto prevalentemente utilitaristico in quanto vennero insegnate sia come metodi difensivi che aggressivi, per cui perfezionarono tecniche, armi, strategie che insegnavano a uccidere oltre che a difendersi, le stesse arti servirono anche a sviluppare la coordinazione fìsica, mentale e psicologica dell'individuo. Come era successo per la cerimonia del tè, le arti del combattimento divennero un modo di vivere la realtà, discipline utili all'integrazione del singolo nella società in cui vive, attraverso la combinazione di apprendimento teorico e pratico. Anche in questo campo il Giappone fu debitore alla Cina confuciana; il Libro dei Mutamenti, YiJing, insegnava infatti all'uomo come inserirsi e non opporsi al flusso perenne degli eventi, se voleva sopravvivere. Ogni situazione o avvenimento che si presenta nella vita, se affrontato nel modo sbagliato, adottando cioè un'opposizione violenta, assume caratteristiche soltanto negative in quanto costringe ad un impiego considerevole di energie psico-fisiche; se invece si cercherà di sfruttare la forza insita nell'evento, inserendosi in esso, diventando un tutt'uno con esso, non solo non sprecheremo le nostre energie, ma queste verranno raddoppiate e quindi potranno essere usate per avere il controllo in ogni situazione. A tale fine lo zen predicava la necessità di arrivare al "vuoto mentale", necessario per intraprendere bene qualunque cosa. Un proverbio zen dice: "Questo è così, ma se vi fissate su di esso, allora non è più così". Qualunque cosa uno faccia, se continua a pensare all'idea di farla, non ci riuscirà.
Il maestro zen Takuan diceva:
Se non ponete la vostra mente in nessun luogo, essa vi pervaderà il corpo diffondendosi in tutto il vostro essere, cosicché quando avrete bisogno delle mani essa farà lavorare le mani, quando avrete bisogno dei piedi essa farà lavorare i piedi e così via. Essendo la mente presente ovun-que ne abbiate bisogno, essa compirà le funzioni di cui avrete bisogno; se invece fissate la mente in un solo posto essa sarà presa da quel posto e le vostre funzioni saranno ridotte. Dovrete lasciare andare la vostra mente attraverso tutto il corpo, senza indugiare in nessuna direzione, in questo modo la mente seguirà ciascuna situazione nel suo svilupparsi e non perderà d'occhio le azioni degli avversari. Dovremo tener viva la mente senza indugiare su nulla di particolare. Il samurai non deve permettere alla mente di fissarsi sull'avversario, anche se ciò può significare che non sarà il primo a estrarre la spada.
Spiegava il samurai Yagyu Munenori:
Quando iniziate a imparare a combattere con la spada, non conoscete ne la giusta posizione, ne come si maneggia, così non avete nulla da considerare mentalmente e se l'avversario vi colpisce, non fate altro che combattere, senza pensarci troppo. Poi, quando apprendete le posizioni, le tecniche, la vostra mente sarà occupata da più elementi che vi frastorneranno quando vorrete attaccare. Ma se praticate giorno dopo giorno e mese dopo mese le tecniche della spada, non fisserete più la vostra attenzione e sarete come un principiante che non sa nulla. In questo senso si dice che il principio e la fine sono la stessa cosa; quindi l'inconsapevole irruenza del principiante e la preparazione finale si fondono.
Un altro passo degli scritti di Yagyu dice:
Quando uno non si concentra su nulla, tutto diventa più facile. Per questa ragione lo zeri ha come fine la libertà della mente da ciò che essa contiene. All'inizio, quando non sappiamo nulla, non ci poniamo domande; poi, quando si apprendono alcune nozioni, qualcosa ti blocca e ti rende tutto più difficile. Soltanto quando ciò che è stato studiato viene assimilato completamente, abbandona la mente e la pratica subentra alle nozioni; solo allora si agisce spontaneamente, senza che uno percepisca ciò che sta facendo. Tutto consiste nel rinunciare a preoccuparsi. Tuttavia se non si fa pratica, si avranno in mente solo regole che impediranno di fare qualunque cosa.
Nel Libro dei cinque anelli del samurai Miyamoto Musashi (XVII secolo) si può leggere:
Per le arti marziali lo stato mentale dovrebbe essere "vuoto". Rilassatevi e assaporate completamente questo momento di benessere, in modo che il rilassamento non cessi neppure per un istante. La mente non deve trascinare il corpo così come il corpo non deve trascinare la mente. Prestate attenzione alla mente, non al corpo. Una volta che avrete affinato l'intelletto al punto che potrete vedere qualunque cosa, saprete distinguere i lati positivi e negativi di ogni cosa.
Lo zen insegnava ai samurai la libertà incondizionata, priva di paura, dubbi, esitazione, che consente la più totale spontaneità di azione. Il samurai apprendeva a vedere la realtà così com'era, indipendentemente da ogni influenza e riconosceva le situazioni prima dei propri nemici, prevedendo quindi le reazioni degli avversari. La padronanza di questa tecnica si raggiungeva soltanto attraverso la rimozione di ogni preoccupazione dalla mente. Scriveva a questo proposito il samurai Yagyu:
La rimozione delle preoccupazioni è necessaria per poter percepire le intuizioni; se le preoccupazioni non vengono eliminate, esse vi domineranno e voi non riuscirete a vedere nulla. E, mancando di vedere, avrete perduto. Vedere con il cuore e con la mente è fondamentale; solo così i vostri occhi vedono davvero. Il vedere con gli occhi viene dopo il vedere con la mente e con il cuore. Aggiungeva inoltre:
È patologico pensare ossessivamente a qualcosa e per impedire che ciò avvenga non resta che tonificare la mente. Quando la mente indugia su qualcosa, prendono forma vari pensieri che stagnano nella mente; supponete ad esempio che dieci persone vi colpiscano in successione. Parando il primo colpo la vostra mente non si sofferma su di esso ma continuate a parare gli altri. Sebbene la vostra mente lavori dieci volte, se impedirete che si soffermi su uno di essi in particolare e parerete i colpi isolatamente, non sarete sconfìtti; se la mente si soffermerà su di un solo colpo, voi lo parerete, ma quando il secondo avversario vi colpirà voi soccomberete. Quando la mente non si impegna in un punto particolare riesce a fare più cose contemporaneamente. Se guardiamo una sola foglia di un albero, non vediamo le altre; se non ci si fìssa su una singola foglia allora si vedono le restanti.
A questo proposito rimase famoso un episodio legato al maestro zen Shoju Rojin (XVII secolo). Un giorno un gruppo di samurai stava facendo pratica di concentrazione e durante una pausa uno di loro fece notare al maestro che se egli era esperto nelle tecniche meditative, per quanto riguardava la pratica i samurai erano decisamente superiori. Il vecchio maestro colse allora l'occasione e sfidò tutti i samurai a colpirlo mentre egli si sarebbe difeso soltanto con un ventaglio dall'ossatura metallica. I guerrieri raccolsero la sfida e attaccarono il vecchio da più parti con le loro lunghe spade, ma il vecchio tenne testa al combattimento e parò ogni colpo. I guerrieri, esausti, convennero che il maestro era in grado di utilizzare la sua percezione oggettiva che gli permetteva di non sbagliare neppure un colpo su mille. Praticare lo zen significa imparare a utilizzare bene la propria mente e quindi servirsene nel migliore dei modi; più la mente si rafforza, più diventa utile. Gli esercizi di sviluppo vanno praticati quindi con il maggior impegno possibile. La gente troppo spesso ha frainteso il termine zen = senza pensiero, interpretandolo come qualcosa che è al di fuori del mondo, quindi un elemento inutile alla società. In effetti la mente zen non è vuota, irrazionale, o di un altro mondo, ma al contrario rivela la sua estrema praticità nella vita quotidiana mostrando l'irrazionalità di un'esistenza dominata soltanto dagli istinti e dagli impulsi. I cultori delle arti marziali insegnarono quindi il distacco dal proprio io come pratica di controllo su se stessi. Conseguentemente il concetto dell'ineluttabilità della morte serviva ai samurai come uno dei metodi più efficaci per liberare la mente dall'attaccamento alle cose terrene.
Suzuki Shosan un guerriero diventato cultore zen scriveva:
"Quando la gente dimentica che dovrà morire e agisce come se fosse immortale, non apprezza ne utilizza gli anni che passano". La tradizione delle arti marziali ha quindi sviluppato in Giappone una grande varietà di tecniche, con e senza armi, che hanno messo in pratica questi insegnamenti.
I maestri zen comunque affermavano:
"Ogni genere di apprendimento, sia sacro che profano rappresenta il cancello, non la casa; devi passare attraverso di esso per entrare nella casa che si trova oltre".
Le arti del combattimento non furono praticate soltanto dai guerrieri ma ben presto si diffusero in tutte le classi sociali. La divisione delle varie categorie sociali in Giappone non fu mai così netta come avrebbero voluto i vari legislatori, tanto che lo stesso decreto di Hideyoshi (1588) che disarmava i commoners non faceva altro che evidenziare come la maggior parte della popolazione possedesse e usasse le armi. Proprio per questi motivi Hideyoshi si adoperò perché la classe militare fosse l'unica ad avere il privilegio di usare quelle armi che l'avevano portata al potere. Questo diritto di supremazia dei militari venne spesso ostacolato dai monaci buddisti che svilupparono tecniche di combattimento sia con le armi che senza. Se in Cina Sunzi aveva sottolineato il carattere collettivo del combattimento, in Giappone le arti marziali ne evidenziarono il carattere individuale. Come scrive Wittfogel: "Gli eserciti prima dei Tokugawa erano formati da piccole bande indipendenti che combattevano come individui, non come unità di una formazione tattica". (...) Ai combattimenti singoli seguiva poi la mischia in cui i samurai a cavallo cercavano di abbattere i samurai nemici e i loro seguaci a piedi. Durante le invasioni mongole (1274 e 1281) i samurai attesero gli invasori nella baia di Hakata e rimasero sbalorditi quando i mongoli non risposero ai loro discorsi ma lanciarono nugoli di frecce a distanza considerevole (anche 220 metri). Uccidevano quindi evitando il combattimento corpo a corpo. Questo carattere individuale del combattimento si mantenne inalterato nei secoli tanto che era ancora evidente quando i Tokugawa si scontrarono con i loro nemici a Sekigahara (1600) e Òsaka (1615).

 

CRONOLOGIA DEL GIAPPONE


10.000-300 a.C.: Periodo Jomon. Ceramica con impressioni a corda; piccole figure in terracotta.

300 a.C.-300 d.C.: Periodo Yayoi. Economia agricola, riso, bronzo, ferro; grandi campane. Ceramica con ruota del vasaio.

400-700: Periodo Kofrin (delle grandi tombe). Haniwa (statuine di varie forme tra cui molti guerrieri).

552-645: Periodo Asuka. Introduzione del Buddismo. Influenza cinese e coreana. Riforma Taika.

645-794: Periodo Nara. 1° Capitale. Influenza Cinesi Tang.

794-1185: Periodo Heian. Capitale ad Heian. Kyo (Kyoto). Sette Ten-dai e Shingon. Cultura Fugiwara.

 1185-1333: Periodo Kamakura. Primo shogunato. Introduzione del buddismo Zen. Influenza cinese Song. Invasioni mongole.

1333-1573: Periodo Muromachi. Shogun Ashikaga. Splendore culturale. Le due corti.

1573-1615: Periodo Momoyama. I grandi condottieri. L'unificazione del Giappone. I castelli.

1615-1867: Periodo Tokugawa o Edo (Tokyo). Il dominio dei Tokugawa. La nuova capitale. La lunga pace.

1868-1912: Periodo Meiji. Le riforme. La modernizzazione del Giappone.

1912-1926: Periodo Taishò. Occidentalizzazione del Giappone.

1926-1989: Periodo Showa. Le riforme. I conflitti.

1989-oggi: Periodo Heisei.

 


 

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