Sola nel
dilatato spazio
mi ritrovai ad ingoiare sangue,
mentre intorno a me
luci sfocate danzavano divertite
al suono della mia disperazione.
Dita esangui
strinsi
intorno a un pugno di sabbia sfuggente,
che le mie lacrime
resero densa.
Il corpo
abbandonato sulle ginocchia stanche,
i capelli che urlavano al vento,
mentre l’eco del dolore
mi tuonava nelle orecchie.
Ad un tratto
i miei occhi dilatati
parvero scorgere una luce nascente,
mentre tutto spariva
e i miei arti parevano vivi.
Sorrisi al mio
amore,
che si tendeva verso il baratro
per condurmi in un mondo di luce.
Pregavo perché
le gambe reggessero ancora,
perché non fossero così provate
da abbandonarmi nel momento
in cui avrei potuto raggiungere la salvezza.
Allora capii,
capii che tutto quel camminare
le aveva rese forti
e in grado di sopportare
l’immane sforzo finale.