Il centro commerciale era veramente
affollato. D’altronde era domenica pomeriggio.
Oltrepassai le porte automatiche con la mia borsetta di jeans appoggiata su una
spalla; mi ero messa forse un po’ troppo in tiro per l’occasione, ma in ogni
caso il mio umore era decisamente nero. Dimostrare al mondo che sono bella è il
mio modo di reagire alle delusioni per non cadere in depressione.
Circa una mezz’ora prima mi aveva telefonato il ragazzo di cui ero stata
innamorata per più di due anni.
Avevo sempre saputo di non interessargli, però ogni volta che mi parlava di una
delle sue ragazze sentivo come una pugnalata al cuore.
E quel giorno, anche se ormai credevo di averci rinunciato, non era andata
diversamente.
Amo farmi del male, forse è per questo motivo che gli ho chiesto come fosse
andata la serata con la sua nuova fiamma. Come da copione era stato tutto
perfetto; lui era felice.
Io no.
Naturalmente ho mentito e gli ho detto che ero contenta, poi l’ho salutato.
Fine del discorso.
Così eccomi lì, maglia attillata, gonna con lo spacco, stivali e trucco
curato; diversi ragazzi si giravano a guardarmi.
Mi sentivo compiaciuta, ma comunque triste.
Girai senza meta per il grande spazio attorno a me, visitando i vari piani.
Finalmente arrivai all’ultimo, quello dei giocattoli e dei peluche.
Fu lì che lo vidi.
Teneva in braccio un bambino… ed era semplicemente delizioso.
Ovviamente il pargolo non era suo, ma vederlo il quella maniera mi colpì lo
stesso.
Lo analizzai meglio: biondiccio, capelli né lunghi né corti tirati
all’indietro, occhi azzurri. Non era il tipo di ragazzo che ti giri a
guardare, ma a me
piaceva parecchio.
Abbassai lo sguardo verso il basso: bel sedere! Aveva le gambe storte tipiche
dei calciatori.
Lo persi di vista per qualche attimo, poi incrociai il suo sguardo. Ci
osservammo per qualche secondo, poi io distolsi lo sguardo, maledicendomi subito
dopo per averlo fatto.
Decisa a riparare all’errore appena commesso cercai più volte il suo sguardo:
il bimbo che teneva in braccio aveva cominciato a piangere, così lui tentava di
consolarlo cullandolo leggermente e mettendogli tra le mani alcuni enormi
pupazzi. Era talmente tenero che mi sarei messa a piangere. Avevo lo stomaco
contratto e sentivo la testa leggera…ma poco dopo lo persi di vista una
seconda volta.
Girai più volte il reparto inutilmente. Sembrava sparito nel nulla.
Rassegnata, mi diressi verso i miei che mi aspettavano di fronte alle scale
mobili che portavano, a seconda della scelta, in su o in giù.
Ad un tratto ricomparve, seguito da quelli che dovevano essere i suoi genitori e
altre persone che non riuscii ad identificare.
Lo fissai come ipnotizzata. Dopo qualche attimo anche lui si accorse di me, ma
non riuscì a sostenere a lungo il mio sguardo e arrossendo leggermente lo
abbassò.
Ancora una volta dai miei occhi era trasparso più del dovuto.
Avevo già cominciato ad inveire contro me stessa quando lui si voltò ancora,
fissandomi. Questa volta gli sorrisi, invitandolo con lo sguardo; lui si arrestò,
ma poi venne richiamato dai suoi e con un ultimo sguardo se ne andò.
Avrei tanto voluto corrergli dietro e fermarlo, ma rimasi lì, con lo stomaco
contratto fino allo spasmo ed un forte senso di nausea. Era una sensazione
inconfondibile.
Non l’avrei rincontrato mai più e presto forse sarebbe diventato
nient’altro che un remoto ricordo di uno spicchio della mia esistenza.
Ma me ne ero innamorata.