Articolo apparso sul numero del 16 giugno di Avvenimenti

Parlando della guerra dei Balcani, sia a Michail Gorbaciov che a Noam Chomsky è venuto di paragonare gli orrori del Kosovo a quelli della Colombia. A ragione visto che, mentre dal primo gennaio al 24 marzo 1999 (data di inizio dei bombardamenti della Nato) i morti in Kosovo sono stati 124, nel paese latinoamericano una cifra simile era già stata raggiunta e superata l18 a gennaio, quando i paramilitari realizzarono decine di massacri di contadini in varie regioni del paese per partecipare a loro modo ai negoziati di pace iniziati in quei giorni a San Vicente del Caguàn tra il governo di Andrés Pastrana e la guerriglia comunista delle FARC. Da allora gli ottimisti si sono dovuti ricredere. Cinque mesi di trattative nella zona smilitarizzata del sud del paese hanno portato soltanto alla redazione di un agenda “per una nuova Colombia per tutti quanti”, con un elenco di temi e principi così universali e generici da essere condivisi da tutti. In realtà furono proprio quei massacri di gennaio ad allontanare ogni illusione di pace. Le FARC posero come pre-condizione del negoziato l’impegno dello Stato a smantellare i gruppi paramilitari e a depurare l’esercito dai loro alleati più smaccati. Da parte loro i parà, che non hanno mai smesso di massacrare sotto gli occhi dei militari i presunti “collaboratori della guerriglia”, sono arrivati a sequestrare la senatrice liberale Piedad Córdoba, presidente della Commissione governativa di pace, per ottenere un riconoscimento politico di “forza belligerante” e un posto al tavolo delle trattative. Lo stesso metodo del sequestro è stato utilizzato dall’altro gruppo guerrigliero, l’ELN, che,  sentitosi sottovalutato dal governo, ha realizzato nell1ultimo mese clamorosi sequestri di massa, prima di un aereo di linea, poi di un centinaio di fedeli riuniti in una chiesa di Cali, per strappare la smilitarizzazione di una zona nord-orientale del paese, dove indire una convenzione con gli esponenti della società civile. Di fronte ad una realtà sempre più incontrollabile, Pastrana si è rivelato solo e impotente come “il generale nel suo labirinto” di Garçia Marquez.  Il 25 maggio scorso il suo isolamento è parso drammatico quando, per protestare contro le eccessive concessioni fatte alle FARC, si sono dimessi col ministro della  Difesa Rodrigo Lloreda Caicedo, ben 17 dei 34 generali di cui conta l’esercito.  Sebbene la crisi nel vertice delle Forze Armate sia parzialmente rientrata, il rischio-golpe nel paese, che si fregia di averne subito uno solo durante tutto l’ultimo secolo, è molto alto. Quello straccio di democrazia che esiste ancora in Colombia, e la stessa sorte di Pastrana, è legato da un debole filo che va dalle montagne e le selve colombiane fino alla Casa Bianca, passando per le caserme e le piazze riempite ogni giorno di più dalle marce delle vittime del neo-liberalismo economico più selvaggio. Il filo si può spezzare da un momento all1altro.

Il 17 giugno, dalle 17 alle 24,  a Padova, nella sala Rossini del prestigioso caffè Pedrocchi, si terrà un Convegno Internazionale su”Il caso Turra: impunità e diritti umani in Colombia”. All’iniziativa, indetta dall’associazione Giacomo Turra con il patrocinio del Centro per i Diritti Umani dell’Università di Padova, coordinata da Gianni Minà, parteciperanno gli scrittori e giornalisti Luis Sepúlveda, Maurizio Chierici e Guido Piccoli, il magistrato Felice Casson, i docenti Leita, Papisca e Maria Clara Galvis dell’Università Javeriana di Bogotà, il questore di Teramo ed ex-responsabile della DIA in Colombia, e Giulio Girardi della Fondazione Lelio Basso e presidente del Tribunale d’Opinione realizzato a maggio a Barrancabermeja, luogo di un’efferata strage compiuta l’anno scorso dai parà e dai militari.  L’iniziativa di informazione e denuncia vuole spingere il governo italiano ad appoggiare concretamente la battaglia per la giustizia per  Giacomo, ucciso da cinque poliziotti il 5 settembre 1995.  I Turra e gli amici dell’associazione e del comitato Solidaridad Colombia percorreranno ogni strada per raggiungere la verità. Il governo D’Alema, che si dice così sensibile sul tema dei diritti umani, vuole continuare a lasciarli soli?


 
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