Ernesto Guevara nasce il 14 luglio 1928 a Rosario, in Argentina. È
il primo figlio di Ernesto Guevara Lynch e Celia de la Serna, una coppia
di genitori anticonformisti, molto comprensivi e dalle larghe vedute.
L'infanzia del giovane Ernesto è felice, e neppure l'onnipresente
asma che l'accompagnerà anche nella sua vita di adulto, riesce ad
impedirgli di praticare diversi sport e di divertirsi con gli amici. Per
niente amante della pulizia e del vestire bene, Ernesto si troverà
anche da adulto a combattere contro malelingue che lo definiscono straccione
per il suo modo di vestire; anche se in fondo l'opinione altrui, se contrastante
alla sua, non ha mai riscontrato molto peso da parte del giovane Ernesto.
E già qui si nota la prima grande contraddizione della sua vita:
difatti da grande non si stancherà mai di ripetere che tutti hanno
uguale diritto alla parola e che le opinioni altrui sono molto importanti.
Un giorno, quando già era un giovane (secondo le sue numerose
ammiratrici, di bell'aspetto), decide di prendere la sua fida bicicletta
Micròn, di montarci sopra un motore e di partire per un lungo viaggio
(ben 4500 km) attraverso l'Argentina. Non sarà l'ultimo viaggio
che farà, e in seguito ne affronterà uno anche con il suoi
amico Alberto Granado. Fu in quel periodo che in lui iniziò a manifestarsi
il rifiuto alla civiltà moderna. Difatti nel suo diario scrive:
mi rendo conto che è maturato in me ciò che da tempo cresceva
nel tumulto urbano: l'odio per la civiltà, la volgare immagine delle
persone che si muovono come impazzite al ritmo di quel frastuono immenso.
In quel periodo Ernesto si avvicina anche al Marxismo. Il suo spirito
errante lo porterà molto in giro per tutta l'America latina, dove,
tra una rovina azteca (la sua grande passione) e una manifestazione operaia,
maturerà il suo spirito ribelle.
Stabilitosi in messico con la sua prima moglie Hilda Gatea, da cui
avrà anche una figlia, Hildita, Ernesto fa la conoscenza con alcuni
esuli cubani con idee rivoluzionarie, che influenzeranno molto la sua vita.
Tra di essi ce n'è anche uno con la stoffa da Leader, un certo Fidel
Castro.
Durante quei mesi che passano insieme, Ernesto inizia ad interessarsi
a ciò che capita nell'altra parte dell'emisfero, nella cina comunista
di Mao. Difatti, alla nascita di sua figlia Hildita, annuncerà:
la mia anima di comunista si gonfia a dismisura: è cresciuta
come quella di Mao Tse Tung. Ernesto inizia anche ad esercitarsi a
sparare, in previsione della tanto attesa rivoluzione predetta dagli esuli
cubani.
Questa previsione non si rivelerà infondata, perchè il
25 novembre 1956, alle prime luci dell'alba, ottantadue uomini in tuta
salgono su un piccolo battello in legno, il Granma, nel porto di
Tuxpan, a sud di Tampico, il "che" (anche se non sa ancora che in futuro
lo chiameranno così), viaggia in qualità di ufficiale sanitario.
Tra di essi quattro uomini che passeranno alla storia: Fidel Castro, suo
fratello Raul, Camilo Cienfuegos e Ernesto Guevara, l'unico argentino della
spedizione.
Il Granma, che Fidel aveva acquistato da un imprenditore nordamericano,
poteva portare soltanto venticinque passeggeri, e resistette relativamente
bene ai sette giorni di navigazione con il mare grosso e ottantadue uomini
a bordo.
Anche grazie ad una buona dose di fortuna, all'alba del 2 dicembre
1956 i ribelli avvistano Cuba.
Sia il Che che Fidel Sono uomini realisti, ma entrambi hanno un modo
differente di affrontare le situazioni. Sullo sbarco fortuito a Cuba (anche
se più che uno sbarco fu un naufragio) Fidel dirà:
è stata la dimostrazione di come la volontà umana riesca
ad avere la fortuna al suo fianco, mente il che: siamo realisti,
perseguivamo l'impossibile.
Così iniziò la famosa guerriglia per conquistare Cuba
scacciando il dittatore Fulgencio Batista.
Che cosa si può dire su quei lunghi mesi che i ribelli passarono
nella Sierra Maestra, lottando contro un esercito intero, aiutati all'inizio
da sporadici contadini, ma che riuscirono a sensibilizzare tutto il popolo
di Cuba portandolo dalla loro parte? Forse l'unica cosa che si può
dire di quel lungo periodo fatto di imboscate, battaglie, bombardamenti
e lunghe marce, è che vi parteciparono uomini coraggiosi, uomini
risoluti ad andare fino in fondo alla faccenda, che disprezzavano il pericolo
e guardavano al futuro con ottimismo. Nella mente di tutti questi uomini,
sopravvissuti e non, aleggiava impronunciata la frase Patria o Muerte,
che poi sarà lo slogan di Fidel.
È durante le lunghe marce (o forse durante le soste...) che
Ernesto si vede affibbiarsi il suo ormai famosissimo soprannome, il Che,
per la mania gli argentini di mettere questa parolina dieci o venti volte
per frase.
Attorno al Che cresce in fretta una leggenda e un'aria di mistero,
tanto che più di una volta egli stesso sentirà dire: " fate
largo, fate largo, arriva il Che". Egli è visto dal popolo come
un benefattore, sempre pronto a sacrificarsi e a stare dalla parte del
debole.
A cavallo tra il 1958 e il 1959 i ribelli assediano l'Avana, e il primo
giorno del nuovo anno il dittatore Batista sale su di un aereo privato
verso l'esilio, lasciando la capitale in mano ai ribelli..
Vittoria.
Questo è il premio di estenuanti mesi di guerriglia dove troppi
vili sono sopravvissuti lasciando i coraggiosi e i valorosi a morire sul
campo. Ma l'obiettivo è finalmente raggiunto.
Lo storico contemporaneo Eric Hobsbawm dira: "Fidel vinse perchè
il regime di Batista era debole, non aveva appoggi, se non quelli derivati
dalla convenienza e dagli interessi personali, ed era diretto da un uomo
impigrito da un lungo periodo di corruzione... Fidel evidenziò tutto
questo, logicamente, le sue forze ereditarono il governo. Era stato abbattuto
un cattivo governo che aveva scarsi appoggi". Tutto questo è vero,
sicuramente, però non bisogna dimenticare la differenza di ideali
per i quali le due parti in lotta combattevano: Da una parte c'era il bisogno
sempre più forte di arricchirsi alle spese del popolo, mandando
quest'ultimo a combattere. Dall'altra la voglia di essere liberi nel proprio
paese, di eliminare una feroce e spietata dittatura. È per questo
motivo che molti soldati dell'esercito di Batista cambiavano schieramento
e andavano ad unirsi ai ribelli, intuendo qual era l'ideale più
puro.
L'arrivo di Fidel nella capitale, l'8 gennaio 1959, fu l'apoteosi di
un lento percorso dall'oriente. Quando entrò all'Avana, in coincidenza
con lo sciopero generale, il Che impose subito le sue regole, vietando
la vendita di alcolici e il gioco d'azzardo. Ma Cuba lo pervase, entrando
nel suo corpo di argentino distaccato. Persino il padre, in una telefonata,
non riconobbe la voce di suo figlio a causa dell'accento cubano che si
era impadronito di Ernesto.
Da quel giorno Cuba volta faccia. Fidel decide di cambiare tutto il
marcio che c'era prima con Batista, per esempio proponendo una riforma
agraria, una nuova industrializzazione e cercando di dare a tutti ciò
che è giusto.
Nel frattempo le relazioni con gli Stati Unito si fanno sempre più
tese, e l'allora presidente J.F. Kennedy minaccia in continuazione sbarchi
armati sull'isola. Ce ne furono anche un paio ma con scarso successo.
L'affare non è semplice, e i cubani si trovano presto senza
fondi. In loro aiuto viene l'Unione Sovietica, concedendo un prestito e
la promessa di future collaborazioni, anche se non è ancora ben
chiaro se lo fece per motivi umanitari verso un paese ideologicamente simile,
o solo per ripicca verso gli Stati Uniti.
Il 2 giugno 1959 Il Che si sposa un'altra volta, con una ribelle e
combattente di nome Aleida March.
Alla fine di ottobre del 1959 la rivoluzione perde un quadro chiave,
Camilo Cienfuegos. L'aereo che lo trasportava da una provincia in un'altra
scomparve senza lasciare traccia in un incidente o in un presunto attentato.
Fidel e il Che parteciparono di persona alle ricerche. Camilo era stato
un compagno straordinario per il Che, nella conquista delle province orientali.
Semplice, grande amante della vita, senza altre ambizioni che quella di
essere al centro dell'azione, Camilo controbilanciava il lato pensoso dell'argentino,
mentre gli era pari nella giocosità. Anch'egli era un ragazzo mai
cresciuto. Dopo due settimane di intense ricerche, l'aereo fu considerato
scomparso. Poco dopo il che dedicò a Camilo uno dei suoi testi fondamentali,
concepito come un manuale pratico per rivoluzionari e scritto all'inizio
di quello stesso anno, La guerra di Guerriglia.
All'inizio di quel libro il Che scrive:
Questo lavoro ha la pretesa di di porsi sotto una dedica in memoria
di Camilo Cienfuegos, che avrebbe dovuto leggerlo e correggerlo, se il
destino non gli avesse impedito di assolvere questo compito.
Tutte queste righe, e quelle che seguono, possono considerarsi un'omaggio
dell'Esercito Ribelle al suo grande Capitano, al più grande capo
guerrigliero che questa rivoluzione abbia mai dato, al rivoluzionario senza
macchia e all'amico fraterno.
Camilo fu il compagno di cento battaglie, l'uomo di fiducia di Fidel
nei momenti difficili della guerra, il combattente pieno di abnegazione
che del sacrificio fece sempre uno strumento per temprare il suo carattere
e per forgiare quello della truppa. (...)
Non si deve vedere però Camilo come un eroe isolato che va
compiendo imprese meravigliose spinto dal suo impulso del suo genio, bensì
come una parte del suo popolo che lo formò, così come forma
i suoi eroi, i suoi martiri o i suoi condottieri nell'immensa selezione
della lotta e nella rigidità delle condizioni in cui essa si effettuò.
Non so se Camilo conoscesse la massima di Danton sui movimenti rivoluzionari:
"Audacia, audacia e ancora audacia"; in ogni modo la mise in pratica nelle
sue azioni, conferendole, inoltre, l'attributo delle altre condizioni necessarie
al guerrigliero: l'analisi precisa e della situazione e una meditazione
anticipata sui problemi da risolvere in futuro.
Nel primo capitolo di questo libro il Che riassume, se così
si può dire, L'essenza della lotta armata:
La vittoria armata del popolo cubano sulla dittatura di Batista,
è stata, con l'epico trionfo riferito dai giornali del mondo intero,
un fattore di modificazione dei vecchi dogmi sul comportamento delle masse
popolari dell'America latina, dimostrando tangibilmente la capacità
del popolo di liberarsi di un governo che lo opprime, per mezzo della lotta
guerrigliera.
Riteniamo che la rivoluzione cubana abbia portato tre contributi
fondamentali alla meccanica dei movimenti rivoluzionari americani; i seguenti:
1. Le forze popolari possono vincere una guerra
contro l'esercito
2. Non sempre si deve aspettare che si producano
le condizioni favorevoli alla rivoluzione; il focolaio insurrezionale può
crearle
3. Nell'America sottosviluppata, il terreno della
lotta armata deve essere fondamentalmente la campagna.
A Cuba il Che, oltre a fare moltissimo volontariato sotto forma di
manodopera nei cantieri, occupava posizioni di spicco chiaramente senza
montarsi la testa.
Ma la vita sedentaria non faceva per lui.
In quel periodo Cuba forniva appoggio agli altri movimenti rivoluzionari
della vicina America latina e, nel 1966, il Che parte per la volta della
Bolivia, dove era in atto una feroce dittatura militare, per ritornare
a fare il guerrigliero.
Sulla guerriglia in Bolivia il Che scrive un diario (Diario di Bolivia)
che sarà pubblicato più avanti, dopo la sua morte, e riscuoterà
un successo incredibile.
La guerriglia in Bolivia gli va malissimo: Lo stato, avendo seguito
le vicende di Cuba, era militarmente più preparato e l'appoggio
fondamentale da parte dei contadini era inesistente o quasi.
Difatti l'8 ottobre 1967 viene catturato nei pressi del villaggio contadino
di La Higuera.
Il giorno dopo, il 9 ottobre 1967, il che viene assassinato e il mondo
intero perde il più grande rivoluzionario di tutti i tempi.
Ma di lui muore solo il suo corpo: il suo spirito, sotto forma di ideale,
e ancora presente in ognuno di noi.
Hasta la victoria, comandante!