E' difficile che oggi turisti statunitensi mettano piede all'Avana;
e se lo fanno, non sono più quelli di un tempo, attratti dagli
sgargianti manifesti e dalle allusioni sussurrate. Oggi, i viaggiatori
che giungono all'isola sono mossi da un preciso intento, quello
di assistere a un esperimento sociale. Non trovano chiasso, le automobili
sono poche, le vetrine non traboccano di merci. C'è
una sola maniera per affrontare i mali di sempre, la miseria e il tiempo
muerto, l'analfabetismo e la corruzione, ed essa é
consistita e consiste nell'abolire il privilegio e quindi lavorare,
lavorare duramente. L'Avana ha cessato così di essere la Bengodi
dei turisti, il luogo dove il piacere e il divertimento non conoscevano
soste. Che, giunte al potere, le rivoluzioni debbano fare i
conti con una realtà meno rosea di quella sognata dai suoi dirigenti,
costituisce forse una regola. Comunque, la rivoluzione
cubana presenta una curva di sviluppo senza precedenti. I giovani che,
quasi vent'anni fa, parteciparono all'assalto contro la
caserma Moncada, credettero di individuare il loro programma nella
autodifesa pronunciata da Fidel davanti al tribunale, La
storia mi assolverà. Si trattava, come s'è detto, di
un programma di nazionalismo avanzato, nel quale facevano spicco la
riforma agraria e la nazionalizzazione dei monopoli elettrici e telefonici
statunitensi. Il turbine del 1957/58 travolse anche il
programma di Fidel. I documenti di quegli anni, e soprattutto le dichiarazioni
rese da Fidel alla stampa nordamericana, o non
facevano parola o addirittura apertamente revocavano le nazionalizzazioni;
la riforma agraria non era dimenticata, ma se ne
limitavano gli effetti e l'accento era posto sulle elezioni da convocarsi
una volta abbattuta la dittatura. A che cosa si doveva
questa mitigazione del programma? Alla necessità di coinvolgere
tutte le forze, compresa la grande borghesia zuccheriera, nella
battaglia contro Fulgencio Batista. L'ora della ridefinizione dei programmi
suonò quando la rivoluzione fu al potere; la grande
borghesia zuccheriera l'intendeva a modo suo, e lo stesso facevano
gli Stati Uniti; l'esercito ribelle formato da poveri contadini,
lavoratori rurali ed urbani, giovani rappresentanti radicalizzati della
classe media avevano anch'essi la loro idea della rivoluzione.
Le conseguenze sono ben note. Una intera fase venne "saltata" con stupefacente
rapidità, accantonando il programma di
nazionalismo avanzato esposto ne La Storia mi assolverà. Fu
il "grande balzo" degli anni 1959-61: la proprietà terriera venne
abolita, i capitali USA espropriati insieme ai possessi della grande
borghesia zuccheriera e della borghesia industriale. E lo
scontro fu inevitabile, fino al tentativo di invasione organizzato
all'estero e del quale il presidente Kennedy si dirtà pubblicamente
responsabile: il vano tentativo controrivoluzionario, lo sbarco a Playa
Giròn. E venne la crisi cubana, quando l'URSS installò
sull'isola rampe di missili nucleari che in un secondo tempo ritirò.
E ancora il blocco economico, i sabotaggi, gli incidenti
organizzati a partire dalla base navale che gli USA continuano a tenere
a Guantanamo, in territorio cubano. In tale contesto, che
e virtualmente uno stato dì guerra, risultava difficile pensare
alle elezioni; inoltre, da un lato il governo rivoluzionario ereditava
dalla struttura politica preesistente uno strumento elettorale viziato
in partenza, dall'altro la maggior parte dei politici, benché si
fossero lasciati indurre ad affrontare la dittatura, non parevano più
disposti a rinnovare l'alleanza con la rivoluzione ora che
questa, conquistato il potere, si stava dando un programma degno di
lei. E, come un secolo prima avevano fatto i loro colleghi
francesi, quando c'era stata la Comune di Parigi, gli uomini politici
imitarono i rappresentanti della classe di cui erano dopo tutto
i portavoce, la grande borghesia zuccheriera, e se la svignarono alla
volta di Miami. E li rimasero. Il biennio 1959-1961 vide
compiersi il grande balzo: riforma agraria, nazionalizzazioni, campagna
contro l'analfabetismo, il tentativo di invasione a Playa
Giròn fatto fallire nel giro di settantadue ore, la proclamazione
del carattere socialista della rivoluzione. Fu il "grande balzo",
furono le grandi illusioni. Cuba, vetrina del mondo nuovo; Cuba, avanguardia
della rivoluzione continentale. Ma alle grandi
illusioni non ha fatto seguito la delusione, salvo in coloro che, in
buona fede, sognavano la rivoluzione pura e in coloro che
sognavano una Cuba contrapposta all'Unione Sovietica. Sull'isola, una
presa di coscienza nuova rimpiazzò le illusioni,
imponendo l'aperto riconoscimento delle difficolttà e degli
errori commessi. Ed é a questo livello che la rivoluzione cubana
si
integra nel contesto del fenomeno rivoluzionario generale: la realttà
impone assai spesso mete più modeste di quelle desiderate
o previste dai leader. E ciò spiega i discorsi autocritici di
Fidel o quelli da lui pronunciati, verso la fine del 1971, in Cile: discorsi
non meno rivoluzionari di quelli a suo tempo fatti dal giovane tutto
proteso verso la lotta armata. E' questa, semplicemente, la
risposta dell'esistenza stessa, la inappellabile risposta dei fatti.
Anche nell'America centrale e meridionale, durante gli anni '60, le
illusioni seguirono una strada e i fatti invece ne seguirono un'altra.
Un'intera generazione, uscita per lo più dalle fila della classe
media, fece proprie quelle aspettative. Si, la rivoluzione cubana costituisce
certo un esempio di lotta, non però un modello da
esportare. La lezione costò vite di valorosi, tra esse quella
dell'argentino che un giorno partì a bordo del Granma deciso a
battersi per la liberttà dei cubani, Ernesto Che Guevara. Questo
certo non basta a togliere alla rivoluzione cubana l'importanza
che le spetta nel processo storico. Da tempo era noto che nell'America
centrale e meridionale qualcosa poteva esser fatto. Ma,
ahime, i risultati erano stati assai scarsi: la rivoluzione messicana
era stata messa in frigorifero, la boliviana s'era risolta con un
processo involutivo, la guatemalteca era stata schiacciata. E più
di recente, ecco la rivoluzione cubana, che ha inaugurato un
nuovo ciclo, nel quale rientrano le esperienze tuttora in corso: il
Fronte popolare cileno, i militari nazionalisti di sinistra del Perù,
i
nuovi atteggiamenti positivi di una serie di paesi del continente nei
confronti degli Stati Uniti. E a sua volta la rivoluzione cubana
rivela tratti singolari, inediti, per la maniera con cui si inserisce
nel processo rivoluzionario contemporaneo dal punto di vista
geografico, dal momento che non ha frontiere in comune con nessun altro
paese socialista, e insieme, storico, perché non trae
origine, né direttamente né indirettamente dalla congiuntura
di una guerra mondiale, e infine ideologico perché affonda radici
nel
nazionalismo. Ecco, questa é Cuba, la prima repubblica socialista
dell'America.