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ARCIDIOCESI DI CATANIA

Luigi Bommarito

Arcivescovo di Catania

 

Ai fratelli e alle sorelle

delle Comunità neocatecumenali

della Chiesa che è in Catania

Per conoscenza

ai presbiteri dell'Arcidiocesi

 

Carissimi nel Signore Gesù,

lungo il mio servizio episcopale svolto per circa quattordici anni nella santa Chiesa di Dio che è in Catania, non ho mai cessato di ringraziare il Signore per la ricchezza, la varietà e la vivacità pastorale incontrate non solo nelle comunità parrocchiali e nella vita religiosa ma anche nelle associazioni, nei movimenti e nelle varie aggregazioni ecclesiali di cui è ricca la nostra Diocesi catanese.

In sintonia con il S. Padre Giovanni Paolo II e con l'Episcopato italiano, reputo un grande «dono di Dio», una vera e propria «ondata di grazia» le varie forme di aggregazione di fedeli, da quelle più antiche a quelle più recenti, che nella loro molteplicità sono segni «della ricchezza e della versatilità delle risorse che lo Spirito del Signore Gesù alimenta nel tessuto ecclesiale» (Christifideles laici, 20), tanto da essere «accolte con gratitudine e responsabilmente valorizzate», come sottolinea. la nota pastorale della CEI Le aggregazioni laicali nella Chiesa (nella introduzione).

In verità in questo prezioso contesto di grazia, come pastore di tutto il gregge affidatomi da Dio, quando mi è stato possibile, sono stato gioiosamente presente per incoraggiare, benedire, stimolare e promuovere, ma contemporaneamente - come era ed è mio preciso dovere - anche per correggere quegli aspetti che, a volte, nelle loro espressioni si sono manifestati in maniera piuttosto «problematica», ora per difetto ora per eccesso.

É stato ed è anche il caso delle comunità neocatecumenali che ho seguito con stima, affetto e - come tutti sapete - con alcune perplessità. Ho avuto modo di discuterne con responsabili del «Cammino» dentro e fuori la nostra Diocesi.

Posso confermare che le mie perplessità di tipo teologico‑pastorale che sto per comunicarvi hanno incontrato dappertutto - a partire da molti miei confratelli Vescovi - una perfetta consonanza sia sul piano delle idee come su quello delle esperienze concrete vissute con una certa sofferenza nell'ambito di molte chiese locali italiane e non solo italiane.

Mi sono chiesto tante volte, e nel contempo sento di chiedere anche a voi, se non sia opportuno far luce e dare precise risposte a delle richieste di chiarimento che fino ad oggi purtroppo sono rimaste evase, col rischio che si possano continuare a fomentare ancora di più perplessità e insofferenze varie in mezzo al popolo di Dio. Credo opportuno, pertanto, elencare alcuni aspetti del vostro «Cammino» che mi sembrano bisognosi di necessarie, pertinenti e urgenti chiarificazioni.

Se non l'ho fatto prima - mai però ho nascosto le mie perplessità anche se unite a sentimenti di ammirazione - è perché ho atteso l'approvazione del Cammino da parte del S. Padre. Ritardando ancora tale approvazione, vi confido le ragioni che, da sempre, cioè da quando, a Monreale, da sacerdote ho frequentato la catechesi del Cammino, mi hanno lasciato perplesso.

1)    Si nota che in molte comunità neocatecumenali ai Presbitero viene di solito riconosciuta o quasi «concessa» solo la dimensione cultuale e funzionale dell'ordine sacro, mortificandolo se non addirittura privandolo della sua connaturale dimensione giurisdizionale che - come ben sappiamo - è parte integrante e costitutiva dell'Ordine stesso. Spesso, infatti, è il catechista che si appropria indebitamente della potestà giurisdizionale propria del sacerdozio ministeriale.

Ci si chiede: quale consonanza ci sia col n. 28 della Lumen Gentium la quale precisa che «nelle singole comunità locali i sacerdoti rendono; per così dire, presente il Vescovo, ...santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata»?

Un presbitero, a me carissimo, mi ha confidato che dopo oltre 20 anni non ha chiaro ancora il suo ruolo di presbitero nell'equípe dei catechisti.

2)       Lungo l'iter catechetico del «cammino» viene rigidamente e pesantemente sviluppata la situazione della nullità dell'uomo anche se battezzato e quindi l'incapacità dello stesso cristiano di aprirsi - senza l'apporto della comunità neocatecumenale - alla grazia redentiva di Cristo, come se l'evento storico della Risurrezione non avesse risolto e provocato i benefici dell'Alleanza di tutti e di ciascuno con Dio. In altre parole: come se la virtù teologale della Speranza - virtù infusa dallo Spirito in ciascun battezzato col Battesimo - rimasta impoverita e defenestrata, non avesse più nessuna voce in capitolo. Ma la fede cristiana corredata dalla preghiera e dai Sacramenti non è già in se stessa portatrice di luce, di pace, di forza, di gioia, di vittoria sul male? A cosa si riduce il cristianesimo se viene a mancare la teologia della Speranza?

3)    Con molti Vescovi di mia conoscenza - di cui accludo interventi e testimonianze che fanno molto pensare - faccio osservare che va provocando confusione, malumori e disagi pastorali, il fatto che ancora da parte delle comunità neocatecumenali si continua a celebrare in forma riservata e privata l'Eucaristia del sabato sera e addirittura la Veglia della Pasqua del Signore, evento strepitoso dell'Amore di Dio teso per natura sua a radunare insieme tutto il popolo di Dio in un'unica grande famiglia.

Si divide il popolo di Dio in due, come blocchi composti in classi e categorie diverse, l'uno di serie A e 1'altro di serie B, come fossero cioè schieramenti separati e contrapposti, incapaci di riconoscersi tutti fratelli. Hanno proprio torto coloro che pensano che le comunità neocatecumenali costituiscono una chiesa parallela?

Non dobbiamo accogliere in un'unica comunità anche i più poveri e i più deboli, i meno catechisticamente preparati che spesso, senza volerlo né saperlo, sono ritenuti fuori del recinto o forse sono rimasti «fuori» per colpa di noi stessi che ci riteniamo i più vicini, più praticanti e osservanti?

Qualcuno può pensare: ma il Sacramento non agisce proficuamente già «ex opere operato»? Perché allora dare tanta importanza solamente alla partecipazione del gruppo dei più qualificati? Forse che l'ex opere operantis (inteso anche come azione di comunità di prescelti) per merito della sua modalità di «cammino», e solo perché diversa da altri «cammini», riesca a rendere più meritevole ed effica­ce il Sacramento?

4)         Sappiamo da San Paolo che lo Spirito affida i suoi carismi ai singoli battezzati - e di conseguenza anche ai singoli gruppi ecclesiali - per il bene comune (cfr. 1 Cor 12, 7), per esempio per il bene comune dell'intero popolo di Dio presente in ogni parrocchia. La comunità neocatecumenale, come pure qualche altro movimento ecclesiale, impongono invece esattamente il percorso inverso, comportandosi in modo tale da strumentalizzare il bene comune per garantire il loro proprio carisma, assolutizzando le loro scelte e imponendo il loro metodo come fosse insuperabile, unico rispetto a tutti gli altri e, per qualcuno addirittura, l'unico salvifico.

5)      Di conseguenza, non di rado capita di constatare che nelle parrocchie ove sano presenti in maniera consistente le comunità neocatecumenali, non sempre è facile la convivenza né tanto meno la collaborazione con le altre realtà ecclesiali operanti in loco.

Con coloro che mi hanno accompagnato, durante la Visita pastorale, in una parrocchia, ne abbiamo fatto amara constatazione.

Penso che una maggiore sintonizzazione con il piano e gli indirizzi pastorali del Pastore della diocesi potrebbe ridimensionare la presunta convinzione che il proprio metodo sia il più perfetto fino ad avere la precedenza su tutti gli altri, come se avesse l 'imprimatur dello Spirito?

6)         Sappiamo dal vangelo che il messaggio di Gesù procede dolcemente sul versante libero e liberante del «Si vis...» (se vuoi...) e si evidenzia fino a svilupparsi chiaramente e amichevolmente su di un piano di amore la cui espressione emblematica è la «parabola del figliol prodigo»: un padre che attende il figlio perduto, gli va incontro, lo abbraccia, lo perdona per lo sbaglia commesso, lo riveste, gli mette l'anello al dito, fa festa, lo scusa persino di fronte al fratello maggiore che non la pensa come lui!...

Il cammino neocatecumenale a volte sembra invece camminare sul versante intransigente del «tu devi», sul filo di un «imperativo categorico» di kantiana memoria, col rischio molto facile di cadere in una sorta di fondamentalismo integralista destinato, come purtroppo accade, a fomentare divisioni e separatismi vari, creando inevitabilmente piccoli ghetti o pericolose «chiesuole» nell'ambito della stessa chiesa di Dia nata invece per essere un'unica grande famiglia del Padre.

7)      Non vorrei parlare degli scrutini che, spesso, scarnificano le coscienze con domande che nessun confessore farebbe. Ma come ciò può essere permesso ad un laico sia pure catechista?

Non vorrei parlare neppure delle confessioni pubbliche... Ma chi può autorizzare uno stile che la Chiesa, nella sua saggezza e materna prudenza, ha abolito da secoli?

8)      Ho letto con attenzione e interesse la lettera che recentemente (Roma, 5-4-2001) il Santo Padre ha rivolto al Card. Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i laici: una lettera molto significativa e oltremodo importante. Il Sommo Pontefice chiede un giudizio definitivo sul «Cammino neocatecumenale» proponendo un attento e accurato discernimento da parte dello stesso Consiglio Pontificio alla luce degli indirizzi teologico pastorali del Magistero.

In realtà, non essendoci stata fino ad ora - dopo decenni di presenza delle vostre comunità in vari paesi del mondo - una vera e ufficiale approvazione dello Statuto alla luce delle norme emanate dalla S. Sede e dalla CEI, i giudizi sulla bontà del vostro «Cammino» non sono sempre concordi perché di fatto variano da diocesi in diocesi e da parrocchia in parrocchia, in base a comportamenti ed esperienze locali. Vi si chiede pertanto molta riflessione prima di continuare il cammino in maniera sicura e definitiva. La sottomissione al giudizio della Chiesa é il biglietto di presentazione più credibile, valido e decisivo.

 

Carissimi, come vedete - lo dicevo già all'inizio - le parole che vi scrivo. invocano semplicemente chiarezza su alcuni punti rimasti ancora in zona d'ombra e di conseguenza attendono adeguati cambiamenti di prassi pastorale, per i1 bene delle nostre comunità parrocchiali.

Sono certo che l'amore che vi lega all'ascolto della Parola, all'Eucaristia, al servizio della carità e al giudizio della Chiesa, riuscirà a modificare ciò che é modificabile e a correggere ciò che è opportuno e urgente correggere, allo scopo di vivere serenamente, insieme con tutti i fedeli delle nostre parrocchie, quell'unità e quella comunione che fu e che è il grande anelito di Gesù: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola» (Gv 1-7,21).

Posso attestare comunque di vedere, senza ombra di dubbio - nelle vostre comunità, come in ciascuno di voi - la presenza vivificante dello Spirito di Gesù che vi ha portati e vi porta a compiere opere pastorali degne di ammirazione, perché realizzate con sacrifici di tempo, di affetti, di denaro e di gesti di zelo missionario anche fuori il nostro Paese. Adesso occorre però riesaminare i passi compiuti e rivedere e verificare - alla luce della ecclesiologia conciliare, del Catechismo della Chiesa cattolica, degli orientamenti del Piano pastorale dell'Episcopato italiano e del Piano pastorale del proprio Pastore - quanto le nostre comunità parrocchiali attendono dal carisma che vi è stato affidato dal Signore e che speriamo venga riconosciuto quanto prima dallo Spirito attraverso l'approvazione dello Statuto da anni presentato alla S. Sede.

Il Signore Gesù e la Vergine Santa benedicano e assistano il vostro Cammino perché sia illuminato dalla Scrittura santa da voi meditata e perché viva in stretta comunione col Vescovo, con i parroci e con tutte le realtà ecclesiali che lo Spirito suscita per il cammino di santità di tutto il popolo di Dio.

Con larga cordiale benedizione anche per l'Avvento e per il Natale del Signore nostro Gesù.

 

Avvento 2001                                        vostro + Luigi, arciv.


APPENDICE I

 

 

 

INTERVENTI VARI

SULLE COMUNITÀ NEOCATECUMENALI

 


Lettera del Santo Padre al presidente del Pontificio Consiglio per i laici

 

Al Vescovo Fratello

James Francis Stafford

Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici

 

1.            Sono passati ormai quattro anni da quel memorabile 24 gennaio 1997, nel quale ebbi modo d'incontrare gli Iniziatori del Cammino neocatecumenale e, con loro, i numerosi responsabili delle comunità del Cammino sparse nel mondo. In quella circostanza, unendomi alla loro preghiera di lode e di ringraziamento al Signore per i frutti preziosi portati dal Cammino in trent’anni di vita, non mancai di sottolineare l’importanza di alcuni adempimenti ineludibili, dai quali dipende l'esistenza stessa del Cammino. Tra questi, la stesura di una precisa normativa statutaria in vista di un suo formale riconoscimento giuridico (cfr "L'Osservatore Romano", 25 gennaio 1997, p. 4). Si apriva così una fase nuova, decisiva per l'avvenire di questa realtà ecclesiale.

 

2.            Già nell'Esortazione Apostolica Christifideles laici (30 ottobre 1988) ricordavo che "nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa" (n. 24), e rimandavo a quanto è scritto al riguardo nella Costituzione dogmatica “Lumen Gentium”: "Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr 1Tess 5, 12.19-21)". E’ a questa condizione, infatti, che i carismi, nella loro diversità e complementarietà, possono cooperare al bene comune (cfr Christifideles laici, 30).

Non è, dunque, un processo facile quello del riconoscimento e dell’accoglienza dei carismi. Esso richiede un discernimento profondo della volontà di Dio e deve essere accompagnato dalla preghiera costante, perché i cuori si aprano docilmente alla voce dello Spirito nella comunione ecclesiale. Culmine di questo processo è l'atto ufficiale del riconoscimento e dell'approvazione degli statuti come chiara e sicura regola di vita, un momento che le realtà ecclesiali interessate vivono sempre con grande gioia e con viva gratitudine nei confronti di Dio e nei confronti della Chiesa. Nuovo punto di partenza, esso è infatti segno visibile di una identità ecclesiale matura (cfr Christifideles laici, 30).

 

3.            So con quanto zelo e sollecitudine pastorale il Pontificio Consiglio per i Laici si è adoperato e si adopera per accompagnare il Cammino neocatecumenale in questa tappa determinante della propria vita, l’elaborazione degli statuti. Ho affidato questo compito delicato, Signor Cardinale, a codesto Pontificio Consiglio per i Laici, a motivo dell’autorità che gli compete, in base alle norme canoniche vigenti, come anche per la singolare esperienza che esso ha nella materia. Proprio in questo si fonda la speranza di un felice esito del procedimento, ormai avviato verso la fase conclusiva.

Mentre esprimo al Pontificio Consiglio per i Laici il mio vivo apprezzamento e la mia riconoscenza per la serietà e il rigore posti nell'adempimento del compito assegnatogli, confermo la sua competenza nell’approvazione dei suddetti statuti, una volta che essi saranno debitamente redatti, e lo incarico di continuare ad accompagnare il Cammino anche in futuro. Sono certo che, nell'adempimento di questo suo mandato, il Pontificio Consiglio per i Laici potrà contare sulla collaborazione e sullo spirito di filiale docilità del Cammino neocatecumenale.

 

 

Nell’affidare al Signore, per l'intercessione di Maria Madre della Chiesa, l’attività del Dicastero che Ella presiede, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, come ai Suoi Collaboratori e Collaboratrici, la mia affettuosa Benedizione.

 

 

Dal Vaticano, 5 Aprile 2001

IOANNES PAULUS II

 


Indicazione

 

del Santo Padre Giovanni Paolo II ai neocatecumenali

 (L’Osservatore Romano, 11-2-1983, pp. 1-2; nn. 1.5).

       “Il vostro itinerario di fede e il vostro apostolato siano sempre inseriti nella parrocchia e nella Diocesi”. …Seguire i metodi, le indicazioni, gli itinerari, i testi offerti dagli Episcopati, come pure esercitare il ministero della catechesi nella comunione e nella disciplina ecclesiale...

       “Non chiudetevi in voi stessi, isolandovi dalla vita della Comunità parrocchiale o diocesana... Il diritto della Chiesa è un mezzo , un ausilio e anche un presidio per mantenersi in comunione col Signore. Pertanto le norme  giuridiche, come anche quelle liturgiche, vanno osservate senza negligenze e senza omissioni”.

 


 

APPENDICE I

         

         Puntualizzazioni

         di alcuni tra i tanti Vescovi, da me condivise.

 

Dalla nota Pastorale della Conferenza Episcopale Umbra sulle comunità neocatecumenali in Umbria (Assisi, 2-3-1986).

 

“I Vescovi si sentono però in dovere di fare delle riserve circa il ruolo dei catechisti che, almeno in alcune comunità, lascia poco spazio al presbitero per l’esercizio concreto della sua responsabilità di pastore. In particolare negli scrutini il catechista deve guardarsi dall’assumere una responsabilità di pastore.

In particolare negli scrutini il catechista deve guardarsi dall’assumere una posizione che a volte sembra pericolosamente avvicinarsi a quella del confessore. Si usi ogni riguardo perché i peccati occulti non vengano manifestati, se non nel segreto della confessione sacramentale”.

 

“Il rischio da evitare è che la piccola comunità neocatecumenale faccia un cammino parallelo a quello della più vasta comunità parrocchiale e diocesana, non inserendosi organicamente nella pastorale ordinaria.

E’ vero che, nella fase avanzata del loro cammino, alcuni neocatecume­ni assumono in parrocchia il servizio di catechesi, di animazione liturgica e di carità ed entrano a far parte del Consiglio pastorale; ma è anche vero che una certa chiusura, propria soprattutto delle giovani comunità, è avvertita dagli altri fedeli e spesso dagli stessi sacerdoti come una divisione, creando non poche difficoltà”.

 

“Riguardo alla Messa festiva, ripetutamente in tempi recenti i docu­menti del Magistero (cf. Eucharisticum Mysterium nn. 26-27; Eucaristia, Comunione e Comunità, nn. 71 e 81; il Giorno del Signore n. 10) hanno insistito su una precisa direttiva pastorale: eliminare il più possibile frazionamenti del popolo di Dio nel giorno del Signore.

I gruppi ecclesiali particolari devono tenere le loro celebrazioni nei giorni infrasettimanali, per poi confluire tutti insieme la domenica nell’assemblea parrocchiale, allo scopo di manifestare concretamente l’unità della comunità cristiana e di animare la comune liturgia a edificazione di tutto il popolo.

A questa linea pastorale dovranno adeguarsi anche le comunità neoca­tecumenali dell’Umbria. La Messa festiva, riservata ad esse, sarà consentita solo nelle convivenze mensili e annuali, come nei tradizionali ritiri ed esercizi spirituali”.

 


Da un Decreto vescovile di Mons. Mervyn Alessander

Vescovo di Clifton (15-3-1994).

“Tuttavia, ho ricevuto lettere di altri parrocchiani le quali mi rivelano che il Neocatecumenato ha condotto a divisioni nella Parrocchia. Naturalmente desidero molto che, per quanto umanamente possibile, all’interno della famiglia della parrocchia ci siano armonia e collaborazione”.

“Questo è anche l’anno della famiglia, nel quale noi tutti dobbiamo cercare di coltivare buoni rapporti. Chiedo pertanto alle Comunità del Neocatecumenato di non iniziare nuove catechesi, di non celebrare la propria Messa di Vigilia del Sabato sera, né la propria cerimonia di Vigilia Pasquale, per un periodo di dodici mesi”.

“L’unità delle parrocchia richiede che tutto venga fatto in modo comune e che accetti tutti. In altre parole i programmi catechetici, il coinvolgimento dei giovani, i gruppi parrocchiali ed i comitati non dovrebbero essere più esclusivamente neocatecumenali e dovrebbero essere rappresentativi dell’intera Parrocchia”.

 


Dalla lettera pastorale del Card. Silvano Piovanelli,

Arcivescovo di Firenze, 25-3-1995

 

Nella Diocesi di Firenze, a motivo della presenza consistente delle comunità neocatecumenali “Non sono mancate, tuttavia, rigidità e chiusure, incomprensioni e sospetti, che talora sono arrivati a dividere la comunità parrocchiale o comunque a generare tensioni molte acute”.

“Ai fratelli del cammino neocatecumenale è richiesto un cuore grande, che sa porsi in atteggiamento di umiltà superando la tentazione di credersi migliore degli altri”.

“Il sacerdote parroco non può scegliere un unico metodo di evangelizzazione, ma deve esaminare ogni cosa e tenere ciò che è buono (1 Tess. 5,21).

Eviterà così il rischio d’imporre a tutti, di fatto, un determinato modo o metodo per seguire la strada del Vangelo.

Non è infatti, pensabile di poter arrivare a tutti solo mediante il cammino neocatecumenale. E questo, non per deliberata chiusura allo Spirito, ma per il fatto di sensibilità diverse e differenti storie delle persone all’interno dell’unica comunità cristiana.

Tale considerazione vale non solo per il cammino neocatecumenale, ma per qualunque altro metodo o spiritualità. Tanto che si può tranquillamente affermare che all’interno di una comunità parrocchiale vi possono essere molteplici forme ed esperienze di vita cristiana, ma nessuna può essere proposta come assoluta o esclusiva.

Non vi può essere una parrocchia solo neocatecumenale, come non vi può essere una parrocchia solo carismatica, o solo “cursiglista”, o solo focolarina, o solo francescana o solo carmelitana ecc.

“Una comunità più profonda tra i sacerdoti del presbiterio e un contatto più vero e senza prevenzioni tra parrocchia e comunità neocatecumenale, attenueranno il rischio che i neocatecumenali considerino la loro esperienza come l’unica strada per costruire la parrocchia e vivificare la Chiesa e gli altri fedeli guardino al cammino come ad una Chiesa diversa”.

 


Da un documenti del Card. Salvatore Pappalardo,

già Arcivescovo di Palermo, il 22-2-1996

“Nelle celebrazioni liturgiche la Parola come lodevol­mente avviene sia posta al centro dell’assemblea, però sia diverso il luogo da cui vengono rivolte le munizioni, le introduzioni, l’animazione dei canti. Le munizioni, poi, non esorbitino per nu­mero ed estensione. Le omelie non si riferiscano alla nuda Parola, ma tengano conto del vivo magistero della chiesa, degli approfondimenti teologici, del senso della fede del popolo cristiano, af­frontando anche le problematiche più attuali della storia e della società in cui viviamo”.

“Il cammino, da solo, non è la chiesa; pertanto esso non si distacchi dalle liturgie eucaristiche comuni, partecipi alle più im­portanti celebrazioni diocesane presiedute dal vescovo, e si mantenga in cordiali rapporti con il resto del popolo di Dio presente nella parrocchia o nel luogo dove esso opera. Le messe delle comunità neocatecumenali non siano celebrate di domenica o nei giorni festivi, ma soltanto in giorni feriali, e non siano mai precluse agli altri fedeli”.

“Il presbitero, soprattutto se parroco, non si lasci assorbire to­talmente dal Cammino o da altra aggregazione, specialmente nei giorni festivi, e sia presente in parrocchia, impegnato nella conduzione dell’intera pastorale e a servizio di tutta la comunità.

Emergano, in ogni caso, con chiarezza, il ruolo e la responsabilità sacramentale e ministeriale del presbitero - soprattutto se parroco - anche rispetto ai «catechisti», pur riconoscendo a questi responsabilità e ruolo formativo nei riguardi degli altri fratelli laici e delle comunità”.

 


Dalla Nota Pastorale della Conferenza Episcopale Pugliese ai Presbiteri della Puglia sul «Cammino neocatecumenale»

 

“Si fa osservare che purtroppo «le linee del Cammino» ed i sussidi utilizzati procedono per vie autonome, senza riferimento ai piani pastorali della CEI e delle Diocesi. Si nota una certa difficoltà ad armonizzarsi con altre esperienze ecclesiali e forme associative”.

A proposito poi di «Veglia pasquale»:

            “Uno dei punti di frizione più frequenti è la celebrazione della Veglia pasquale. Gli aderenti al "Cammino" sin dall'inizio hanno elaborato una forma celebrativa particolare più ampia, arricchita di ulteriori elementi, prolungata per l'intera notte fino all'alba, e dichiarano che essa costituisce per loro un momento fondamentale, praticamente insostituibile. Questa esigenza però entra in conflitto con l'altra non meno importante di non frazionare la comunità cristiana in gruppi separati, in eucaristie "parallele", proprio nel momento culminante di tutto l'anno liturgico, nella celebrazione di quel mistero di salvezza che ci fa Chiesa introducendoci nella comunione con Dio e con i fratelli”.

La Congregazione del Culto divino, nella lettera Paschalis solemnitatis del 16.1.1988, così si esprime: "Si favorisca la partecipazione dei gruppi particolari alla celebrazione della veglia pasquale, in cui tutti i fedeli, riuniti insieme, possano sperimentare in modo più profondo il senso di appartenenza alla stessa comunità ecclesiale".

“Gli aderenti al "Cammino neocatecumenale", come ogni altra comunità o movimento, devono valorizzare il Catechismo della Chiesa cattolica , il Documento-base Il rinnovamento della catechesi e i vari volumi del Catechismo per la vita cristiana della CEI. Devono studiare e seguire i programmi della Chiesa che è in Italia e le linee della pastorale diocesana”.

 

“I responsabili laici, soprattutto in occasione degli "scrutini" per i vari passaggi devono astenersi dall'entrare nel campo più intimo delle coscienze, evitando tutto ciò che può dare l'idea di un procedimento inquisitorio; promuovano il discernimento sugli atteggiamenti, non sulle scelte specifiche: le mete spirituali più impegnative si limitino semplicemente a proporle. I presbiteri, anche in questa delicata materia, come in ogni altra occasione, conservino le loro responsabilità pastorali, senza lasciarsi ridurre a un ruolo puramente funzionale di ministri dell’Eucaristia e dei Sacramenti”.

 

 


 

Dalla lettera del Vescovo di Vicenza

Mons. Piero Nonis, inviata il 18-12-1996

 

“Nello stesso tempo abbiamo pure ricordato che la citata Lettera pontificia è accompagnata da una nota che precisa come il Papa non intenda imporre una scelta, ma lasci "al giudizio degli stessi Ordinari di agire secondo le esigenze pastorali delle singole diocesi". Per questo ho voluto condividere con voi il mio dovere di aiutare il Cammino Neocatecumenale ad armonizzarsi nella specifica situazione della diocesi vicentina, caratterizzata soprattutto dalla centralità della parrocchia, resa difficile dal nostro tempo, ma ancora viva e decisiva per la nostra pastorale”.

            “E' anzitutto necessario che la progettazione del cammino e la sua conduzione concreta, si compiano nel contesto della programmazione pastorale organica che la parrocchia elabora con scelte e verifiche periodiche, in attuazione del Piano pastorale diocesano e a partire dalla responsabilità propria del Consiglio pastorale parrocchiale (cf. Sinodo Diocesano, nn. 21 e 27). In tale contesto il Cammino sarà effettivamente proposto e attuato come una delle possibilità offerte alla crescita cristiana delle persone, e riceverà lo stesso impegno di ogni altro itinerario di fede comunitario”.

“In ogni caso la scelta di proporre in parrocchia l'annuncio kerygmatico in vista dei Cammino o altre forme di "missione" ad esso legate; oppure di istituire il Cammino o nuove comunità neocatecumenali oltre a quelle già esistenti, dovrà essere sottoposta anticipatamente dal Parroco all'approvazione del Vescovo, presentando anche il parere motivato del Consiglio pastorale parrocchiale. Viste le difficoltà da voi stessi segnalate, non ritengo opportuna - fino a un più maturo discernimento - l'esperienza dell' "annuncio missionario" proposto dai membri del Cammino alle famiglie della parrocchia”.

“Sono emerse invece posizioni diverse circa l’incompatibilità - da me più volte affermata, e riconosciuta da altri Vescovi italiani - fra le messe domenicali per comunità e gruppi particolari, e il significato essenziale, e non formale-rituale, del Giorno del Signore (domeniche e festività), giorno della comunità nel quale il popolo di Dio è convocato a celebrare insieme la Pasqua del Signore (cf. Sin. Dico., nn. 44, 48, 52); la mia Lettera Nel Giorno del Signore, 1995, n.8,2)”.

“D’altra parte è bene ricordare che anche la Notificazione citata nella lettera del Papa a mons. Cordes rinvia a due autorevoli documenti della S. Congregazione dei Riti che presentano indicazioni inequivocabili nel senso da me affermato. Il primo è l’Istruzione Eucaristicum mysterium (25.5.1967), la quale afferma la centralità e la comunitarietà della messa domenicale (cf. nn. 6-7, 16-18) e a proposito delle messe per gruppi particolari afferma: "si celebrino di preferenza, per quanto è possibile, nei giorni feriali. Che, se non possono essere spostate durante la settimana, si abbia cura di conservare l’unità della comunità parrocchiale, inserendo i gruppi nelle celebrazioni parrocchiali" (n. 27). Il secondo è l’Istruzione "Actio pastoralis" (15.5.1969) sul tema delle messe per gruppi particolari, nella quale sono ribaditi i principi del documento precedente (cf. n. 5), e si precisa che la facoltà di celebrare fuori del luogo sacro non va normalmente concessa nelle domeniche e nelle feste di precetto (cf. n. 10/a)”.

 


Da una Nota della Conferenza Episcopale della Basilicata a firma del Presidente Mons. Ennio Appignanesi (1-3-1998).

 

1.   Le celebrazioni del triduo pasquale si svolgano, anche nelle comunità neocatecumenali, secondo quanto è prescritto nel Messale Romano, insieme a tutta la comunità parrocchiale, negli orari più idonei a favorire la partecipazione di tutti i fedeli, evitando inopportune moltiplicazioni di celebrazioni che, in tal caso, attenuerebbero il significato - valore dell’azione liturgica che è sempre celebrazione della Chiesa quale si manifesta in ciascuna assemblea. Come ricordano i Vescovi Italiani nella Nota pastorale "Il giorno del Signore" (1983) "il gruppo o il movimento, da soli, non sono l'assemblea..., così come sono parte della Chiesa. Per tutti vale la raccomandazione della Chiesa antica a non diminuire la Chiesa e a non ridurre di un membro il Corpo di Cristo con la propria assenza (Didascalia degli Apostoli, 27). E il corpo del Signore non è impoverito solo da chi non va affatto all'assemblea, ma anche di coloro che, rifuggendo dalla mensa comune, aspirano a sedersi ad una mensa privilegiata e più ricca" (n. 10).

 

“Per quanto attiene alla Veglia pasquale i Vescovi dispongono che venga celebrata una sola Veglia pasquale in ogni parrocchia, durante la notte, alla quale partecipano anche le comunità neocatecumenali, le quali: sono sollecitate a non predisporre un'altra celebrazione un’altra celebrazione dopo lo svolgimento della liturgia della grande Veglia, solo per attendere l'alba, perché questo finirebbe per sminuire il valore sacramentale e pedagogico della Veglia stessa, così come è proposta nel Messale.

 

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