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A trenta anni dalla morte di Lucio Fontana - e un anno prima del centenario della sua nascita - ho creduto opportuno iniziare un cammino di ricerca che non dovrebbe fermarsi con la celebrazione dell'anniversario dell'anno venturo, ma svilupparsi costantemente aggiungendo nuovi materiali utili alla conoscenza della persona e dell'opera di quest'artista ancora poco compreso (mi si permetta di dirlo) dal pubblico, il quale lo associa ancora all'immagine riduttiva della "tela tagliata", e spesso frainteso anche da chi dovrebbe "ufficialmente" avere altri strumenti critici.
Ho, così, incominciato il cammino, nella speranza che altri vogliano unirsi a me.
Chiarisco subito che questo sito non si propone di riempire vuoti che solo persone ben più competenti di me potrebbero colmare, ma ha la presunzione di offrire con semplicità notizie di base su tutta l'opera fontaniana.
Senza la pretesa di farmi critico d'arte ho quindi iniziato questo lavoro trasformando in ipertesto (con varie modifiche e aggiunte) una tesina che avevo scritta nel 1996, in occasione dei miei esami di Maturità Artistica. La Nota introduttiva che segue rappresenta, pur rielaborato, il nucleo della prefazione di tale tesina.

NOTA INTRODUTTIVA

Il primo problema che si presenta di fronte a Fontana (e di fronte a molti artisti del nostro secolo) è quello di dare una collocazione alla sua opera: scultura o pittura? Quasi per caso ho trovato la risposta in una frase dello stesso Fontana:

"Sono nato a Rosario di Santa Fé sul Paranà, mio padre era un bravo scultore, era mio desiderio esserlo, mi sarebbe piaciuto essere anche un bravo pittore, come mio nonno, m'accorsi però che queste specifiche terminologie dell'arte non fanno per me e mi sentii artista Spaziale" (1).

In queste parole è racchiusa la sua essenza artistica.
Egli afferma di non essere né scultore, né pittore, bensì "artista Spaziale", ma si ha l'impressione che tale "terminologia dell'arte" sia stata da lui coniata per riunire nelle proprie mani i mestieri del nonno e del padre, ricostituendo un'ideale comunione con ciò che è all'origine del suo essere. Questa unione non lo porta, però, a un ritorno alla tradizione - o almeno non a un ritorno diretto - lo spinge invece, paradossalmente, verso un'arte che sembra risolversi nella "distruzione" di pittura e scultura, una contraddizione soltanto apparente visto che la rottura si pone in termini conoscitivi, costruttivi.
È partendo da questo presupposto che ho deciso di non trascurare gli inizi dell'arte di Fontana e i suoi aspetti legati al "commercio", perché credo sia indispensabile seguire lo sviluppo di questa continua "composizione-scomposizione" di pittura e scultura - nel suo duplice aspetto artigianale e artistico - per giungere a comprendere meglio la purezza delle sue opere più conosciute: quei Concetti spaziali solitamente conosciuti come "Tagli".

Ciò che più colpisce, quando si inizi a conoscere l'opera di Fontana, è la quantità di pregiudizi che ancora esistono su di essa, sia da parte di quel pubblico che la conosce e ne mantiene vivo il ricordo, pur ritenendola un'ulteriore beffa al "buon nome" dell'arte, sia da parte della critica che (con rare e significative eccezioni), pur interessata alle ricerche fontaniane, ha spesso dimenticato i naturali - e necessari - presupposti ai Concetti spaziali, ovvero le sculture in gesso e in bronzo e le opere in ceramica degli anni della formazione.
Fontana, come molti artisti degli anni '50,  è stato quindi irrigidito in schemi preconcetti che si riconducono in sostanza alla figura del sovversivo, del mistificatore, del rivoluzionario ad ogni costo, oppure dell'innovatore che all'improvviso, quasi per caso, scopre il segno-gesto del taglio della tela. Ma Fontana non era né questo né quello: egli era un artista che amava sperimentare, ma sempre in una prospettiva evoluzionistica della propria opera, senza dimenticare il passato e senza smettere di meditare sulle precedenti esperienze.
È per questa sua natura di sperimentatore (oppositore dell'"Accademia", ma anche tecnico finissimo che torna, a volte, a realizzare opere "accademiche") che credo sia necessario esser predisposti ad ogni sviluppo, morale ed artistico, della sua opera, ma non solo: anche conoscere la personalità di Fontana è essenziale.
Egli, affermano gli amici, era un uomo semplice, comprensivo, cordiale, malinconico e generoso, sempre ottimista, pervaso da sottili problematiche nascoste, ma aperto all'amore per la vita: "sembrava un gentiluomo dei tempi passati, ed invece era volto al futuro".
Proprio questo vitalismo "positivo" spinge l'artista all'esaltazione del gesto come atto carico di energia, un gesto che, annullando lo spazio limitato della superfice in un illimitato fluire spazio-temporale, rompe ogni, pur nuovo, canone dell'Astrattismo, per muoversi già verso l'Informale, anche per via dell'utilizzo del "flottage"
(2) e del "dripping" (3).
Fontana si sente vicino ai futuristi, a
Boccioni in particolare, da lui profondamente ammirato, proprio per le  affinità vitalistiche, a cui si affiancano simpatie modernistiche. Il dinamismo fontaniano non è, però, futurista, non ha linee-forza, è più indeterminato, tende all'inorganico, al primordiale continuum spazio-temporale.

Un'altra accusa che spesso è stata rivolta a Fontana è, poi, quella di aver svolto una ricerca meramente decorativa (4). In realtà si può considerare questo "decorativismo" - spesso inconscio - come un'ulteriore conseguenza del suo armonioso vitalismo, che gli fece raggiungere la piacevolezza della linea e del colore, anche se, a quanto si dice, la presa di coscienza dell'effettiva decoratività della sua opera causò in lui delusione. Si racconta infatti che, in seguito al successo avuto alla XXIX Biennale di Venezia, nel 1958, egli abbia colpito una sua tela con una lama, "producendovi un taglio che gli rivel[ò] immediatamente la potenzialità di quel gesto creativo" (5) - ma si vedrà come questa "leggenda" sulla nascita dei "Tagli" sia inattendibile.

Un'altra componente dell'arte di Fontana che dovevo prendere in considerazione è il suo modo di ambientare le opere, che inglobano anche il contenitore. Si comprende così come cambi per l'artista l'idea stessa di "fruitore", ora coinvolto emotivamente "all'interno" dell'opera, quindi non più "esterno" o "altro".

Ovviamente non potevo trascurare neanche la tendenza al primordiale, caratteristica che lo conduce, dalle prime raffigurazioni in cui l'espressività primitiva è tangibile alla purezza di una superfice bucata o tagliata, simbolo di primeva essenzialità.

In conclusione, per comprendere l'opera di Fontana, non mi sono potuto limitare al solo periodo dello Spazialismo, né semplicemente alla dicotomia figurativo-astratto che appare sin dai primi anni; non ho potuto prendere in esame i suoi lavori senza considerarli nello spazio in cui sono stati ideati e, nonostante la coerenza dell'evoluzione artistica fontaniana, mi son sempre dovuto ripetere che "al di là delle sue stesse intenzioni [...] egli volge la sua tensione vitale verso i primordi, alle soglie dell'inconscio" (6) superando ogni schema precostituito.

Provo piacere, infine, nel citare le parole dell'Artista che, a proposito dei "Buchi", dichiarava:

"Io buco, passa l'infinito di lì, passa la luce, non c'è bisogno di dipingere, [...] tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto".

Luciano Colavero

 

 

 

(1) da Antologia di scritti e disegni, a cura di Leonardo Sinisgalli, Edizioni Meridina, Milano, 1954. (Torna)
(2) Tecnica che consiste nel gettare il colore in modo radente sulla superfice pittorica. (
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(3) Sgocciolamento del colore sulla superfice pittorica. (
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(4) da Guido Ballo, Lucio Fontana. Idea per un ritratto, Edizioni Ilte, Torino, 1970. (
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(5) Giorgio De Marchis, L'arte in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Storia dell'arte italiana, il Novecento, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1982. (
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(6) Guido Ballo, Lucio Fontana. Idea per un ritratto, Edizioni Ilte, Torino, 1970.
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